Obbligazioni e contratti – Tutela del credito – Urbanistica e edilizia – Tensostruttura realizzata senza permessi e configurazione del reato edilizio anche se sussiste la buona fede fondata sulle mere dichiarazioni del venditore

Obbligazioni e contratti – Tutela del credito – Urbanistica e edilizia – Tensostruttura realizzata senza permessi e configurazione del reato edilizio anche se sussiste la buona fede fondata sulle mere dichiarazioni del venditore

1. Con sentenza di cui in epigrafe il tribunale di Bergamo assolveva L.M. dal reato di cui all’art. 31 e 44 del DPR 380/01 in ordine alla realizzazione di una tensostruttura in carpenteria di ferro e telo plastificato, perché il fatto non costituisce reato .

2. Avverso la predetta sentenza il Procuratore Generale della Corte di appello di Brescia propone ricorso con un unico motivo.

3. Si rappresenta che il giudice avrebbe assolto l’imputato per assenza dell’elemento soggettivo ovvero per buona fede in ordine alla convinzione che il fatto non avesse rilevanza penale in contrasto con i principi giurisprudenziali che fissano i presupposti per l’eventuale buona fede in contravvenzioni e a fronte di una motivazione viziata laddove non si tiene conto della assenza di ricerca da parte dell’imputato presso gli uffici preposti e competenti in ordine alla qualificazione dell’opera e della tipologia del soggetto autore dell’errata informazione da cui sarebbe sorta la buona fede, siccome interessato alla vendita dell’opera poi realizzata e privo di ogni autorevolezza giuridica.

4. Il ricorso è fondato. A partire dalla circostanza di fatto per cui l’informazione fornita dal venditore (riguardante serre) e da cui secondo il giudice sarebbe scaturita la buona fede non attiene all’opera realizzata. Si tratta invero di una struttura in carpenteria metallica e telo plastificato di circa 70 mq. quale tensostruttura con ancoraggio al suolo mediante pozzetti in cemento, destinata al ricovero di autocaravan. In proposito, va ribadito che in materia edilizia richiedono il rilascio del permesso di costruire non soltanto i manufatti tradizionalmente ricompresi nelle attività murarie, ma anche le opere di ogni genere con le quali si intervenga sul suolo e nel suolo, indipendentemente dal mezzo tecnico con il quale è stata assicurata la stabilità del manufatto, che può anche essere soltanto infisso o appoggiato al suolo, atteso che la stabilità non va confusa con la non rimovibilità della struttura o con la perpetuità della funzione ad esso assegnata, estrinsecandosi essa nella oggettiva destinazione dell’opera a soddisfare bisogni non provvisori. (Sez. 3, n. 14044 del 22/03/2005, Rv. 231522 – 01). Ogni eventuale deroga deve corrispondere a specifiche tipologie previste per legge, non rinvenibili nel caso in esame. Inoltre, come indicato in ricorso, i richiami giurisprudenziali, pure valorizzati in sentenza, non solo appaiono pertinenti ma riportano una precisazione in tema di necessaria oggettività delle cd. opere precarie che il giudicante ha mostrato di trascurare. In proposito, si ribadisce che in tema di reati edilizi, per definirsi precario un immobile, tanto da non richiedere il rilascio di un titolo abilitativo, è necessario ravvisare l’obiettiva ed intrinseca destinazione ad un uso temporaneo per specifiche esigenze contingenti, non rilevando che esso sia realizzato con materiali non abitualmente utilizzati per costruzioni stabili (Sez. 3 – , Sentenza n. 5821 del 15/01/2019 Rv. 275697 – 01).

Quanto all’elemento soggettivo, si ribadisce quanto segue.

Con riferimento alla scusabilità dell’errore di diritto, non si può prescindere dalla sentenza della Corte costituzionale, n. 364 del 1988, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 cod. pen, nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile.

Secondo il Giudice delle leggi, il comma primo dell’art. 27 Cost. (“La responsabilità penale è personale”) – interpretato in relazione al comma terzo dello stesso articolo ed agli artt. 2, 3, commi primo e secondo, 73, comma terzo, e 25, comma secondo, Cost. – non soltanto richiede la “colpevolezza” dell’agente rispetto agli elementi più significativi della fattispecie tipica (e, cioè, una relazione psichica tra il soggetto e il fatto), ma anche la “effettiva possibilità di conoscere la legge penale” (e, cioè, un rapporto tra soggetto e legge), “possibilità” che rappresenta ulteriore necessario presupposto della “rimproverabilità” dell’agente e, dunque, della responsabilità penale. Consegue che l’art. 5 cod. pen., disconoscendo – secondo il diritto all’epoca vivente – ogni collegamento tra l’obbligo penalmente sanzionato e la sua “riconoscibilità” ed equiparando all’ignoranza evitabile della legge penale l’ignoranza non colpevole, e, pertanto, inevitabile, viola lo spirito dell’intera Costituzione ed i suoi essenziali principi ispiratori, che pongono la persona umana al vertice della scala dei valori. Pertanto, afferma il Giudice delle leggi, l’art. 5 cod. pen. è costituzionalmente illegittimo – per contrasto con i parametri citati – nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile. Al fine di qualificare l’ignoranza della legge penale (o l’errore sul divieto) come inevitabile, occorre far riferimento a criteri oggettivi, cd. “puri” o “misti” (obiettiva oscurità del testo, gravi contrasti interpretativi giurisprudenziali, “assicurazioni erronee”, ecc.), tenendo conto, peraltro, di quelle particolari condizioni e conoscenze del singolo soggetto, tali da rendere l’ignoranza inescusabile, pur in presenza di un generalizzato errore sul divieto. Non può comunque ravvisarsi ignoranza inevitabile allorché l’agente si rappresenti la possibilità che il fatto sia antigiuridico, salva l’ipotesi di dubbio oggettivamente irrisolvibile (attinente, cioé, alla necessità di agire o non agire per evitare la sanzione). Deve, invece, di regola ritenersi che l’ignoranza sia inevitabile allorché l’assenza di dubbi sull’illiceità del fatto dipenda dalla personale non colpevole carenza di socializzazione del soggetto.

Vale la pena sottolineare questo passaggio: non può comunque ravvisarsi ignoranza inevitabile allorché l’agente si rappresenti la possibilità che il fatto sia antigiuridico, salva l’ipotesi di dubbio oggettivamente irrisolvibile (attinente, cioè, alla necessità di agire o non agire per evitare la sanzione). Tale principio è stato ripreso da Sez. U, n. 16153 del 18/01/2024, Clemente, Rv. 286241 – 02, che ha ribadito che l’incertezza derivante da contrastanti orientamenti giurisprudenziali nell’interpretazione e nell’applicazione di una norma non abilita, da sola, ad invocare la condizione soggettiva d’ignoranza inevitabile della legge penale, atteso che il dubbio circa la liceità o meno di una condotta, ontologicamente inidoneo ad escludere la consapevolezza dell’illiceità della medesima, deve indurre l’agente ad un atteggiamento di cautela, fino all’astensione dall’azione (nello stesso senso, Sez. 5, n. 2506 del 24/11/2016,Incardona, Rv. 269074 – 01; Sez. 2, n. 46669 del 23/11/2011, Rv. 252197 – 01; Sez. 6, n. 6991 del 25/01/2011, Rv. 249451 – 01; Sez. 3, n. 28397 del 16/04/2004, Rv. 229060 – 01, secondo cui la esclusione di colpevolezza per errore di diritto dipendente da ignoranza inevitabile della legge penale può essere giustificata da un complessivo e pacifico orientamento giurisprudenziale che abbia indotto nell’agente la ragionevole conclusione della correttezza della propria interpretazione normativa; ma in caso di giurisprudenza non conforme o di oscurità del dettato normativo sulla regola di condotta da seguire non è possibile invocare la condizione soggettiva di ignoranza inevitabile, atteso che in caso di dubbio si determina l’obbligo di astensione dall’intervento e dell’espletamento di qualsiasi utile accertamento per conseguire la corretta conoscenza della legislazione vigente in materia).

Prima ancora, Sez. U, n. 8154 del 10/06/1994, Rv. 197885 – 01, all’indomani della pronuncia del Giudice delle leggi, aveva stabilito quali fossero i limiti della inevitabilità dell’ignoranza incolpevole affermando che per il comune cittadino tale condizione è sussistente ogni qualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell’ordinaria diligenza, al cosiddetto “dovere di informazione”, attraverso l’espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia. Tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell’illecito anche in virtù di una “culpa levis” nello svolgimento dell’indagine giuridica. Per la scusabilità dell’ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto.

Più in generale, con riferimento alla buona fede nelle contravvenzioni, è stato più volte affermato il principio secondo il quale la cosiddetta “buona fede” è configurabile ove la mancata coscienza dell’illiceità del fatto derivi non dall’ignoranza dalla legge, ma da un elemento positivo e cioè da una circostanza che induce nella convinzione della sua liceità, come un provvedimento dell’autorità amministrativa, una precedente giurisprudenza assolutoria o contraddittoria, una equivoca formulazione del testo della norma (Sez. 3, n. 29080 del 19/03/2015, Rv. 264184 – 01; Sez. 3, n. 49910 del 04/11/2009, Rv. 245863 – 01; Sez. 3, n. 172 del 06/11/2007, Rv. 238600 – 01; Sez. 3, n. 4951 del 17/12/1999, Rv. 216561 – 01; Sez. 3, n. 8860 del 01/07/1993 Rv. 197013 – 01; Sez. 3, n. 2336 del 31/01/1992, Rv. 189453 – 01).

È stata così esclusa la rilevanza, ai fini della scusabilità dell’errore, del “fatto negativo”, quale la mancata rilevazione, da parte degli organi di vigilanza e controllo, di irregolarità da sanare (Sez. 3, n. 42021 del 18/07/2014, Paris, Rv. 260657 – 01; Sez. 3, n. 11170 del 03/10/1984, Rv. 167115 – 01).

Per l’affermazione della scusabilità dell’ignoranza, occorre dunque che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto (S.U., n.8154 del 10/06/1994 – dep. 18/07/1994, Rv.197885; Sez. 1, n. 47712 del 15/07/2015 – dep. 02/12/2015, Rv. 265424 – 01). Posto che nelle fattispecie contravvenzionali la buona fede può acquistare giuridica rilevanza solo a condizione che si traduca in mancanza di coscienza dell’illiceità del fatto e derivi da un elemento positivo estraneo all’agente, consistente in una circostanza che induca alla convinzione della liceità del comportamento tenuto, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la prova della sussistenza di tale elemento deve essere fornita dall’imputato, unitamente alla dimostrazione di avere compiuto tutto quanto poteva per osservare la norma violata (Sez. 4, n. 9165 del 05/02/2015 – Felli, dep. 02/03/2015, Rv. 262443 – 01).

Orbene, alla luce degli insegnamenti giurisprudenziali poc’anzi richiamati deve ritenersi non sufficiente, ai fini dell’esclusione dell’elemento soggettivo, appellarsi ad un mero interessato suggerimento di un soggetto privato privo di ogni autorevolezza sul punto, per giunta non pertinente rispetto al tipo di opera realizzata e altresì comprensivo di un chiarimento quale la necessaria natura oggettiva della “precarietà” dell’opera, in grado di confermare la rilevanza penale del manufatto.

6 Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso sia fondato e la sentenza debba essere annullata con rinvio al tribunale di Bergamo in altra composizione fisica.

Cass. pen., III, ud. dep. 05.11.2025, n. 35952

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