1.Con il primo motivo (da pag. 11 a pag. 18 del ricorso) i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione ex art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ. dell’art. 13-bis legge 247/2012 commessa dall’ordinanza impugnata, per non avere il Tribunale ritenuto la valenza interpretativa e quindi il valore retroattivo dell’art. 13-bis, laddove al secondo comma definisce il compenso equo e al decimo comma prevede che il giudice, nel caso in cui accerti la non equità del compenso, dichiara la nullità della clausola e determina i compensi secondo i parametri previsti dal regolamento. Evidenziano che l’espressa previsione della natura di interpretazione autentica di una disposizione non è necessaria, che nella fattispecie la disposizione è intervenuta con lo scopo di stabilire con chiarezza i presupposti dell’equo compenso, in relazione alle incertezze sorte dopo l’abrogazione dei minimi tariffari forensi nel 2006 e dopo l’abrogazione delle tariffe nel 2012, intervenendo nelle prassi poste in essere dai cosiddetti “clienti forti”, con la finalità, espressa nella relazione tecnica, di “eliminare gli effetti negativi di alcune clausole vessatorie esistenti nelle convenzioni stipulate”.
2.Con il secondo motivo di ricorso (da pag. 18 a pag. 30 del ricorso), per il caso in cui si escluda la natura interpretativa della disposizione, i ricorrenti deducono la violazione o falsa applicazione ex art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ. dell’art. 13-bis co. 2 e 10legge 247/2012 e dell’art. 11 preleggi, evidenziando che la Convenzione e gli incarichi erano in essere al momento dell’entrata in vigore della disposizione, per cui si pone la questione dell’efficacia della normativa sopravvenuta in relazione ai contratti di durata e a esecuzione differita. Rilevano che la questione riguarda gli incarichi conferiti prima dell’entrata in vigore della disposizione la cui esecuzione fosse ancora in corso al momento dell’entrata in vigore, riguarda altresì gli incarichi la cui esecuzione fosse iniziata dopo l’entrata in vigore della disposizione e riguarda infine gli incarichi conferiti dopo la sua entrata in vigore; dichiarano che, in tutti questi casi, la maturazione del diritto al compenso sia posteriore all’entrata in vigore dell’art. 13-bis. Lamentano inoltre che l’ordinanza impugnata non abbia considerato l’art. 19-quaterdecies D.L. 148/2017 conv. in legge 172/2017 che, con riguardo ai contratti conclusi dalla Pubblica Amministrazione, ha previsto che fosse garantito l’equo compenso in relazione alle prestazioni rese “in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”; sostengono che il riferimento sia a incarichi conferiti in forza di convenzione stipulata prima dell’entrata in vigore della disposizione, in quanto la diversa interpretazione eliminerebbe in radice il favor sotteso a tale norma speciale per la P.A. e ribadirebbe un principio ovvio; quindi rilevano che la mancata previsione analoga nell’art. 13-bis legge 247/2012 indica che la disposizione si applica anche ai contratti stipulati prima della sua entrata in vigore ma ancora in esecuzione al momento dell’entrata in vigore, in applicazione del principio dell’efficacia immediata della legge in vigore ex art. 11 preleggi. Evidenziano che debba essere distinto il momento della stipulazione dell’accordo, regolata nei suoi aspetti formali dalla legge in vigore in quel momento, e il momento degli effetti della stipulazione, regolati dalla disciplina sopravvenuta; aggiungono che erroneamente l’ordinanza impugnata abbia individuato il fatto generatore delle obbligazioni nella stipulazione della Convenzione, in quanto la Convenzione prevedeva che gli incarichi fossero “di volta in volta conferiti”; sostengono che la maturazione del diritto al compenso e il relativo obbligo di pagamento sorgevano al momento di esaurimento dell’incarico e che perciò in quel momento si doveva valutare se il compenso fosse equo ex art. 13-bis legge 247/2012.
3.Con il terzo motivo (da pag. 30 a pag. 35 del ricorso) i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione ex art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ. dell’istituto del recesso ex artt. 2237 co. 2 cod. civ. e 1373 co. 2 cod. civ.; dopo avere dedotto di avere rinunciato ai mandati non in data 2-3-2018, come dichiarato dall’ordinanza impugnata, ma in data 2 ottobre e 3 ottobre 2018, a mezzo pec attestanti la data certa di invio e di ricezione, sostengono che era errato il rilievo dell’ordinanza impugnata in ordine al fatto che essi avevano esercitato il recesso dalla Convenzione; ciò in quanto vi era autonomia tra l’Accordo Quadro e i singoli incarichi e la rinuncia agli incarichi non comportava il venire meno della Convenzione tra le parti, che era un contratto normativo che non prevedeva alcun impegno di Ifis NPL a sottoscrivere i singoli contratti di patrocinio ed erano autonomo rispetto agli stessi; quindi evidenziano che, diversamente da quanto ritenuto dall’ordinanza impugnata, non ostava all’applicazione dell’art. 13-bis il recesso degli avvocati.
4.Con il quarto motivo (da pag. 35 a pag. 36 del ricorso) i ricorrenti ulteriormente deducono la violazione e falsa applicazione ex art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ. degli artt. 13-bis legge 247/2012 e 11 disp. att. cod. civ; dichiarano che, anche nell’ipotesi in cui non fosse ritenuto fondato il terzo motivo e si ritenesse che gli avvocati avessero esercitato il recesso dalle Convenzioni, ciò che rileva è che le Convenzioni fossero vigenti nel momento in cui è entrata in vigore la disposizione sull’equo compenso e siano rimaste in vita fino al 2-3/10/2018, per quasi undici mesi, producendo effetto in quel lasso di tempo.
5.Con il quinto motivo (da pag. 36 a pag. 40 del ricorso) i ricorrenti evidenziano di avere eccepito ex art. 13-bis legge 247/2012 l’iniquità della retribuzione prevista dalla Convenzione, la nullità della previsione che consentiva al cliente di pretendere dall’avvocato prestazioni aggiuntive da eseguire a titolo gratuito, la nullità della clausola che prevedeva a carico dell’avvocato l’anticipazione delle spese, della clausola che prevedeva termini di pagamento superiori a sessanta giorni, della clausola che prevedeva -anche in caso di liquidazione delle spese di lite a favore del cliente- che all’avvocato sarebbe spettato solo il minore importo previsto dalla convenzione; evidenziano che si trattava di clausole abusive e perciò chiedono che la nullità sia dichiarata anche ex artt. 3 co. 1 legge 81/2017 e 9 legge 192/1998 richiamato dall’art. 3 co. 3 legge 81/2017.
6.Giova premettere che l’art. 19-quaterdecies decreto legge 16 ottobre 2017 n. 148, introdotto dall’art. 1 co.1 della legge di conversione 4 dicembre 2017 n. 172 e in vigore dal 6-12-2017, ha disposto, per quanto qui interessa:
“1.Dopo l’articolo 13 della legge 31 dicembre 2012, n. 247, è inserito il seguente: “Art.13-bis (equo compenso e clausole vessatorie). -1.Il compenso degli avvocati iscritti all’albo, nei rapporti professionali regolati da convenzioni aventi a oggetto lo svolgimento, anche in forza associata o societaria, delle attività di cui all’art. 2, comma 5 e 6, primo periodo, in favore di imprese bancarie e assicurative, nonché di imprese non rientranti nelle categorie delle microimprese o delle piccole o medie imprese, come definite nella raccomandazione 2003/361CE della Commissione, del 6 maggio 2003, è disciplinato dalle disposizioni del presente articolo, con riferimento ai casi in cui le convenzioni sono unilateralmente predisposte dalle predette imprese.
2.Ai fini del presente articolo, si considera equo il compenso determinato nelle convenzioni di cui al comma 1 quando risulta proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale, tenuto conto dei parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia adottato ai sensi dell’art. 13, comma 6.
3.Le convenzioni di cui al comma 1 si presumono unilateralmente predisposte dalle imprese di cui al medesimo comma salva la prova contraria.
4.Ai fini del presente articolo si considerano vessatorie le clausole contenute nelle convenzioni di cui al comma 1 che determinano, anche in ragione della non equità del compenso pattuito, un significativo squilibrio contrattuale a carico dell’avvocato.
5.In particolare si considerano vessatorie, salvo che siano state oggetto di specifica trattativa o approvazione, le clausole che consistono:
a)nella riserva al cliente della facoltà di modificare unilateralmente le condizioni del contratto;
b)nell’attribuzione al cliente della facoltà di rifiutare la stipulazione in forma scritta degli elementi essenziali del contratto;
c)nell’attribuzione al cliente della facoltà di pretendere prestazioni aggiuntive che l’avvocato deve eseguire a titolo gratuito;
d)nell’anticipazione delle spese della controversia a carico dell’avvocato;
e)nella previsione di clausole che impongono all’avvocato la rinuncia al rimborso delle spese direttamente connesse alla prestazione dell’attività professionale oggetto della convenzione,
f)nella previsione di termini di pagamento superiori a sessanta giorni dalla data di ricevimento da parte del cliente della fattura o di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente;
g)nella previsione che, in ipotesi di liquidazione delle spese di lite in favore del cliente, all’avvocato sia riconosciuto solo il minore importo previsto nella convenzione, anche nel caso in cui le spese liquidate siano state interamente o parzialmente corrisposte o recuperate dalla parte;
h)nella previsione che, in ipotesi di nuova convenzione sostitutiva di altra precedentemente stipulata con il medesimo cliente, la nuova disciplina sui compensi si applichi, se comporta compensi inferiori a quelli previsti nella precedente convenzione, anche agli incarichi pendenti o, comunque, non ancora definiti o fatturati;
i)nella previsione che il compenso pattuito per l’assistenza e la consulenza in materia contrattuale spetti soltanto in caso di sottoscrizione del contratto.
6.Le clausole di cui al comma 5, lettere a) e c), si considerano vessatorie anche qualora siano state oggetto di trattativa e approvazione.
7.Non costituiscono prova della specifica trattativa ed approvazione di cui al comma 5 le dichiarazioni contenute nelle convenzioni che attestano genericamente l’avvenuto svolgimento delle trattative senza specifica indicazione delle modalità con le quali le medesime sono state svolte.
8.Le clausole considerate vessatorie ai sensi dei commi 4, 5, e 6 sono nulle, mentre il contratto rimane valido per il resto. La nullità opera soltanto a vantaggio dell’avvocato.
9.L’azione diretta alla dichiarazione della nullità di una o più clausole delle convenzioni di cui al comma 1 è proposta, a pena di decadenza, entro ventiquattro mesi dalla data di sottoscrizione delle convenzioni medesime.
10.Il giudice, accertate la non equità del compenso e la vessatorietà di una clausola a norma dei commi 4, 5 e 6 del presente articolo, dichiara la nullità della clausola e determina il compenso dell’avvocato tenendo conto dei parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministero della giustizia adottato ai sensi dell’art. 13, comma 6.
11.Per quanto non previsto dal presente articolo, alle convenzioni di cui al comma 1 si applicano le disposizioni del codice civile”.
2…(relativo all’applicazione dell’art. 13-bis alle prestazioni rese da professionisti iscritti a ordini e collegi).
3.La pubblica amministrazione, in attuazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.
4.Dall’attuazione delle disposizioni del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.
L’art. 1 legge 27 dicembre 2017 n. 205, in vigore dal I-1-2018, oltre ad avere introdotto con il comma 488 il co.4.bis all’art. 13-bis relativo agli agenti di riscossione, con il co.487 ha apportato le seguenti modifiche all’art. 13-bis: “a)al comma 2, le parole “tenuto conto dei” sono sostituite dalle seguenti “e conforme ai”:
b)al comma 5, alinea, le parole: “salvo che siano state oggetto di specifica trattativa e approvazione” sono soppresse;
c)al comma 6:
1)le parole “lettere a) e c)” sono sostituite dalle seguenti: “lettere a), b), c), d), e), g), h) e i);
2)le parole “anche qualora siano state oggetto di trattativa e approvazione” sono soppresse;
d))il comma 9 è abrogato”.
L’art. 13-bis legge 247/2012 è stato abrogato dall’art. 12 legge 21 aprile 2023 n. 49 “Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali”, a decorrere dall’entrata in vigore della legge 49/2023 e perciò dal 20-5-2023.
Quindi, l’art. 13-bis legge 247/2012, fino alla sua abrogazione, ha disciplinato, per quanto qui interessa, tutti i casi nei quali l’avvocato abbia svolto le attività di sua esclusiva competenza individuate dall’art. 2 co. 5 e 6 legge 247/2012 -di assistenza, rappresentanza e difesa nei giudizi davanti a organi giurisdizionali e in procedure arbitrali rituali, nonché di consulenza legale e assistenza legale stragiudiziale connessa all’attività giudiziale- in favore di imprese non rientranti nella categoria delle microimprese e delle piccole e medie imprese come definite dalla raccomandazione 2003/361CE, in virtù di convenzione predisposta unilateralmente dal contraente forte. La disposizione considera equo il compenso che corrisponda ai requisiti indicati al secondo comma, concorrenti e non alternativi, cioè qualora sia proporzionato alla quantità e qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione e sia altresì conforme ai parametri determinati dai decreti ministeriali per la liquidazione del compenso medesimo; ciò, secondo il concetto più stringente introdotto con la legge 205/2017 in vigore dal I-1-2018, che ha sostituito l’originaria previsione (in vigore dal 6-12-2017 al 31-12-2017) secondo la quale si doveva tenere conto dei parametri forensi, anziché necessariamente adeguarsi a quei parametri. Dall’altro lato, la disposizione considera vessatorie le clausole contenute nelle convenzioni unilateralmente predisposte dal contraente forte che, anche a causa della non equità del compenso, generino un significativo squilibrio contrattuale a sfavore dell’avvocato; quindi, come osservato da autorevole dottrina, la non equità del compenso rappresenta una delle cause che comporta la vessatorietà delle clausole contenute nelle convenzioni, ma il significativo squilibrio contrattuale può configurarsi anche in altre ipotesi, non riferite all’entità del compenso, tra le quali quelle tipizzate dal quinto comma dell’art. 13-bis. La nullità relativa delle clausole vessatorie, in ragione della non equità del compenso e delle altre cause di squilibrio contrattuale di cui ai commi quarto e quinto dell’art. 13-bis, opera solo a vantaggio del professionista, secondo la previsione dell’ottavo comma; in forza del decimo comma, una volta accertata dal giudice, la nullità non travolge l’intero contratto ma impone al giudice di ricalibrare il compenso spettante al professionista sulla base dei parametri previsti dal regolamento e, in primo luogo ratione temporis, dal D.M. 10-3-2014 n. 55. Quindi, le clausole nulle relative alla determinazione del compenso sono sostituite di diritto dalle disposizioni imperative ai sensi degli artt. 1419 co. 2 e 1339 cod. civ., mentre le altre clausole vessatorie rimangono prive di effetti.
7.Procedendo alla disamina dei motivi di ricorso alla luce delle osservazioni svolte, deve essere rigettato il primo motivo di ricorso, in quanto si esclude che l’art. 13-bis abbia natura interpretativa e perciò sia applicabile retroattivamente anche ai rapporti professionali esauriti alla data della sua entrata in vigore. Già Cass. Sez. 1 17-4-2020 n. 7904 (Rv. 659113-01) ha evidenziato come manchino nell’art. 13-bis sia l’espressa previsione nel senso dell’interpretazione autentica, sia i presupposti di incertezza applicativa di disposizioni anteriori, che ne avrebbero giustificato l’adozione; nello stesso senso si registrano Cass. Sez. 2 3-6-2024 n. 15407, non massimata, pag. 13, Cass. Sez. 2 19-3-2025 n. 7354 (Rv. 674001-01), Cass. Sez. 2 11-6-2025 n. 15537, non massimata, pag.14. Deve essere data continuità ai precedenti, in quanto la disposizione non può ritenersi meramente interpretativa, per il fatto che introduce una disciplina specifica a tutela dell’avvocato, ritenuto contraente debole nell’ambito del tutto circoscritto dei rapporti professionali con le imprese individuate dalla disposizione medesima.
8.Il secondo motivo di ricorso che, diversamente da quanto eccepito dalla controricorrente, è formulato in modo ammissibile, è fondato limitatamente agli incarichi professionali conferiti successivamente all’entrata in vigore dell’art. 13-bis in questione.
È pacificamente acquisito in causa che la convenzione conclusa dalle parti nel 2016 disciplinava le modalità di determinazione del compenso spettante agli avvocati, nel caso in cui fossero stati conferiti i singoli incarichi per la difesa della società nei giudizi monitori e nelle cause di esecuzione, senza impegnare la società a conferire determinati incarichi né gli avvocati ad accettarli. Quindi, il diritto degli avvocati al compenso non trovava titolo nella convenzione, ma nel contratto di patrocinio di volta in volta concluso, in forza del quale gli avvocati erano incaricati della difesa nel singolo giudizio; infatti, la circostanza che la conclusione della prestazione sia il dies a quo del decorso del termine di prescrizione del diritto al compenso dell’avvocato e il momento del conseguimento del corrispettivo ai fini dell’imposta, secondo i precedenti richiamati dai ricorrenti, non incide sul dato che le obbligazioni aventi a oggetto l’esecuzione delle prestazioni professionali e il pagamento dei relativi compensi derivino dal contratto di patrocinio.
Ciò comporta che, al fine di valutare la validità della clausola relativa alla determinazione del compenso ed, eventualmente, delle altre clausole, non sia sufficiente il dato che l’accordo sui compensi fosse lecito nel momento in cui era stata conclusa la convenzione con la quale le parti hanno disciplinato i compensi, ma sia necessario e nel contempo sufficiente che l’accordo fosse lecito nel momento in cui è stato concluso il singolo contratto di patrocinio, dal quale è sorto il diritto dell’avvocato al compenso per l’attività svolta. Rileva esclusivamente che il singolo contratto di patrocinio sia stato concluso nella vigenza dell’art. 13-bis: se si considerasse il mero dato, valorizzato dai ricorrenti con il secondo motivo, che il rapporto professionale si era protratto nel tempo anche allorché era entrato in vigore l’art. 13-bis, e cioè che le prestazioni erano state svolte dall’avvocato nella vigenza dell’art.13-bis, si eseguirebbe interpretazione retroattiva dell’art.13-bis medesimo, applicandolo a contratti di patrocinio che erano stati conclusi precedentemente alla sua entrata in vigore e che, nel momento in cui erano stati conclusi, non erano affetti da alcuna causa di nullità. Quindi si esclude che, al fine dell’applicazione della disposizione sopravvenuta, rilevi il dato in sé dello svolgimento delle prestazioni professionali nella vigenza della disposizione sopravvenuta, come proposto dai ricorrenti e dal Procuratore Generale; ciò in quanto il singolo contratto di patrocinio non integra un contratto di durata, in relazione al quale si possa affermare che la disposizione imperativa sopravvenuta contraria alla disciplina contrattuale non consenta più alla clausola contrattuale di operare, per la residua durata del contratto e in relazione agli effetti che il contratto dovrà produrre e non ha ancora prodotto (cfr. Cass. Sez. 3 26-1-2006 n. 1689 Rv. 587843-01).
Per altro verso, se si considera, come ha fatto il Tribunale e propone la controricorrente, soltanto il dato che l’accordo era lecito allorché era stata conclusa la convenzione suoi compensi, si consente che produca effetti la clausola sul compenso, nonostante tale clausola sia nulla per contrarietà alla norma imperativa di cui all’art. 13-bis nel momento in cui le parti la recepiscono nel contratto di patrocinio che concludono. Invece, se l’accordo relativo al compenso non è conforme all’art. 13-bis nel momento nel quale è stato concluso il contratto di patrocinio, e soltanto in questo caso, può operare il meccanismo di sostituzione della clausola nulla con la disciplina legale ex art. 13-bis, secondo le previsioni degli artt. 1419 co.2 e 1339 cod. civ.
Tale soluzione si pone in continuità al principio secondo il quale le disposizioni che prevedono nullità di clausole negoziali non sono retroattive e tale irretroattività opera anche ai fini della previsione della sostituzione della clausola nulla con la disciplina legale; in tal senso hanno statuito, per tutte, Cass. Sez. 1 31-12-2019 n. 34740 (Rv. 656441-01), Cass. Sez. 3 5-5-2016 n. 8945 (Rv. 639941-01), Cass. Sez. 1 21-12-2005 n. 28302 (Rv. 585489-01), con riguardo alle norme che prevedono la nullità delle clausole negoziali che determinano gli interessi con rinvio agli usi e la nullità delle clausole relative a interessi usurari, sicché tali norme non influiscono sulla validità delle clausole dei contratti conclusi prima della loro entrata in vigore. Nello stesso senso, si registra anche Cass. Sez. 2 27-9-2025 n. 26288, punto 7, con riguardo a patto di quota-lite concluso nel periodo in cui il patto era consentito e l’attività dell’avvocato è stata svolta allorché era stato reintrodotto il divieto di tale patto; si esclude che tale precedente non rilevi nella presente fattispecie nella quale si verte in tema di clausole vessatorie a tutela del contraente debole, come sostenuto dal difensore dei ricorrenti nella discussione orale, in quanto questa Corte ha già statuito anche nel senso che le disposizioni in materia di clausole vessatorie non si applicano ai contratti stipulati prima della loro entrata in vigore, in virtù del principio generale di irretroattività della legge (Cass. Sez. 2 31-10-2018 n. 27993 Rv. 651177-01, Cass. Sez. 3 6-7-2010 n. 15871 Rv. 613994-01, Cass. Sez. 3 17-7-2003 n. 11200 Rv. 565211-01, Cass. Sez. 3 29-11-1999 n. 13339 Rv. 531664-01). Contrariamente a quanto sostenuto dalla controricorrente, non sussistono neppure i presupposti per l’applicazione alla fattispecie dei principi enunciati dai precedenti di Cass. 7067/2016, 29607/2018, 1460/2019 in materia di contratti quadro di investimento, in quanto in quei casi erano emessi nel vigore della disciplina sopravvenuta solo gli ordini di acquisto meramente esecutivi del contratto quadro, per cui le obbligazioni trovavano titolo nel contratto quadro non attinto dalla disciplina sopravvenuta; nella fattispecie, come già esposto e diversamente da quanto sostenuto dalla controricorrente, la convenzione sui compensi non era il fatto generatore delle obbligazioni e del diritto dell’avvocato al compenso, perché era la stipulazione dei singoli contratti di patrocinio, e cioè il conferimento dei singoli incarichi, a costituire la fonte degli obblighi e dei diritti dei contraenti. Ugualmente, non rileva quanto dedotto dalla controricorrente, con riguardo al fatto che gli avvocati non avessero segnalato la causa di nullità della clausola, né rileva che avessero chiesto il pagamento del corrispettivo in forza della clausola nulla: la disciplina dell’art. 13-bis è proprio nel senso della nullità della clausola, che soltanto l’avvocato può fare valere senza termine di decadenza -in forza della modifica apportata dalla legge 205/2017. Evidentemente, neppure rileva quanto valorizzato dalla controricorrente in ordine all’abrogazione dell’art. 13-bis da parte della legge 49/2023, perché l’abrogazione non ha avuto effetti retroattivi, ma è conseguita all’introduzione di disciplina organica sull’equo compenso da parte della legge 49/2023, non applicabile alle convenzioni in corso e sottoscritte prima della sua entrata in vigore secondo l’espressa previsione dell’art. 11 legge 49/2003.
Si osserva infine che l’art. 19-quaterdecies co.3 D.L. 172/2017 introdotto dalla legge di conversione 172/2017, laddove prevede che anche la Pubblica Amministrazione garantisce il principio dell’equo compenso, anziché costituire una previsione di favore per la Pubblica Amministrazione, secondo quanto sostengono i ricorrenti nella loro erronea lettura in senso retroattivo della disposizione dell’art.13-bis, conferma la correttezza dell’interpretazione eseguita in questa sede. Infatti, l’art. 19-quaterdecies non solo al primo comma ha inserito l’art.13-bis nella legge 247/2012, ma al terzo comma ha esteso alla Pubblica Amministrazione la regola dell’equo compenso, in attuazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività richiamati dallo stesso comma terzo, disponendo che la previsione si applica “in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”; con questo contenuto la disposizione, entrata in vigore unitamente all’art. 13-bis legge 247/2012, ha previsto l’applicazione dell’equo compenso con riguardo agli incarichi conferiti dal momento dell’entrata in vigore della disposizione e perciò ha esplicitato la regola valevole in via generale e non solo per i contratti conclusi della Pubblica Amministrazione.
9.L’accoglimento del secondo motivo nei termini esposti comporta l’assorbimento del terzo e del quarto motivo, in quanto risulta irrilevante la questione degli effetti sulla convenzione del recesso degli avvocati, stante il loro diritto alla determinazione del compenso nel rispetto delle previsioni dell’art. 13-bis con riguardo all’attività svolta in esecuzione dei contratti di patrocinio conclusi dalla data di entrata in vigore della disposizione e fino al loro recesso da quei contratti.
L’accoglimento del secondo motivo nei termini esposti comporta l’assorbimento anche del quinto motivo, in quanto il giudice del rinvio, nel determinare il compenso degli avvocati nel rispetto delle previsioni dell’art. 13-bis con riguardo all’attività svolta in esecuzione dei contratti di patrocinio conclusi dalla data di entrata in vigore della disposizione e fino all’esercizio del recesso, escluderà anche qualsiasi effetto alle clausole recepite e perciò contenute nei contratti di patrocinio che risultino vessatorie secondo le previsioni dell’art. 13-bis.
10.Con l’unico motivo di ricorso incidentale condizionato la società controricorrente deduce ex art. 360 co. 1 n.4 cod. proc. civ. la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. commessa dall’ordinanza impugnata per omessa pronuncia o implicito rigetto dell’eccezione, nonché l’assenza di motivazione ex art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. in punto di manifesta infondatezza della domanda, per mancata descrizione e dimostrazione delle prestazioni per le quali è chiesto l’ulteriore compenso, oltre che per mancata allegazione e prova della legittimazione attiva dei ricorrenti. La ricorrente incidentale evidenzia di avere tempestivamente eccepito che il ricorso era infondato per carenza di allegazione e prova sia delle prestazioni eseguite sia della titolarità attiva del diritto al compenso; rileva che sul punto l’ordinanza non si è pronunciata, nonostante le relative eccezioni avessero effetto assorbente, o comunque ha pronunciato un rigetto implicito, con il conseguente vizio della pronuncia.
10.1.Il ricorso incidentale condizionato è inammissibile.
L’ordinanza impugnata non ha pronunciato, neppure implicitamente, sulle questioni relative all’allegazione e alla prova dell’esecuzione delle prestazioni da parte di ciascuno dei due avvocati ricorrenti oggetto della loro domanda di riconoscimento del compenso ex art. 13-bis legge 247/2012, in quanto ha escluso l’applicazione della disposizione alla fattispecie. Ciò comporta che le questioni dedotte dalla società convenuta siano rimaste assorbite e possano essere riproposte davanti al giudice del rinvio; per questo il ricorso incidentale condizionato è inammissibile (Cass. Sez. 3 6-6-2023 n. 15893 Rv. 668115-01, Cass. Sez. 6-L 23-7-2018 n. 19503 Rv. 650157-01, Cass. Sez. 1 15-2-2008 n. 3796 Rv. 602188-01).
11.In conclusione, l’ordinanza impugnata è cassata limitatamente al motivo accolto, con rinvio al Tribunale di Firenze in diversa composizione, che farà applicazione dei principi enunciati e si atterrà a quanto sopra esposto, statuendo anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso incidentale condizionato consegue, in relazione a tale ricorso, la pronuncia ex art. 13 co.1-quater D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, di cui in dispositivo.
Cass. civ., II, sent. 03.11.2025, n. 29039