1. È superflua l’illustrazione (e, a fortiori, la disamina) dei motivi dell’impugnazione di legittimità, apparendo il ricorso inammissibile ai sensi dell’art. 371-bis del codice di rito.
L’ordine di integrazione del contraddittorio nei riguardi di F.C. (litisconsorte necessario del giudizio avente ad oggetto azione di risarcimento diretto ex art. 149 del d.lgs. n. 209 del 2005: cfr., ex aliis, Cass. 16/02/2023, n. 4994) impartito con l’ordinanza di questa Corte n. 29045/2024 (di cui, dagli atti del fascicolo, risulta attestata la rituale comunicazione alla parte ricorrente, avvenuta mediante PEC consegnata all’indirizzo [email protected] in data 11 novembre 2024) non è stato infatti ottemperato.
2. Sul punto, parte ricorrente, con la memoria depositata in data 21 maggio 2025, ha formulato istanza di concessione di nuovo termine per procedere alla disposta integrazione del contraddittorio.
A suffragio di essa, ha dedotto di aver incolpevolmente ignorato l’emissione dell’ordinanza n. 29045/2024 «per un malfunzionamento del proprio account di posta elettronica o meglio del servizio fornito dal provider attraverso il server dedicato» in quanto, più precisamente, «l’account (OMISSIS) […] ancorché risultasse regolarmente attivo e funzionante per i mittenti non lo era per il destinatario che non ha potuto accedere ad alcun messaggio indirizzato, in data 11.11.2024, al proprio account».
L’istanza in parola non merita accoglimento.
2.1. In primo luogo, perché tardiva.
Per fermo orientamento di nomofilachia, l’istituto della rimessione in termini (regolato dall’art. 153, secondo comma, cod. proc. civ.) presuppone che la parte incorsa nella decadenza per causa ad essa non imputabile si attivi con tempestività, cioè a dire in un termine ragionevolmente contenuto e rispettoso del principio della durata ragionevole del processo (in tal senso, ex plurimis, v., da ultimo, Cass. 17/02/2025, n. 4034; Cass. 12/01/2024, n. 1348).
Una tempestività del genere non può certo ravvisarsi nel contegno della parte ricorrente la quale, ricevuto il 21 marzo 2025 avviso di fissazione della pubblica udienza del 4 giugno 2025, ha atteso per ben due mesi prima di avanzare richiesta di rimessione in termini, proposta soltanto con la memoria del 21 maggio 2025: un periodo di tempo che, pur considerando l’eventuale necessità di acquisire informazioni sul contenuto dell’ordinanza n. 29045/2024 (dacché in thesi non precedentemente conosciuta), appare non ragionevole, rivelando, per contro, colpevole inerzia in ordine alla sanatoria del vizio processuale cagionato – è bene rammentarlo – dalla stessa parte ricorrente.
2.2. In secondo luogo – e comunque – perché indimostrato è il presupposto di fatto su cui detta istanza riposa.
La documentazione allegata a suffragio della stessa consiste (e, ad un tempo, si esaurisce) in uno screenshot di un monitor, estratto il giorno 11 novembre 2024 alle ore 12.30, che riproduce le informazioni relative all’utente dell’account intestato al difensore della ricorrente (OMISSIS): in una “finestra” titolata «prova impostazioni account» si legge della impossibilità di inviare messaggi di posta elettronica e della necessità di verificare l’indirizzo.
In ragione del descritto tenore, siffatta documentazione:
(a) non prova l’asserito malfunzionamento, al più evidenziando difficoltà nell’inoltro (non già nella ricezione) della posta elettronica;
(b) pur supponendo problemi afferenti le integrali funzioni di posta, non prova la durata del malfunzionamento, ovvero per quanto tempo esso eventualmente si sia protratto;
(c) non prova, soprattutto, che il messaggio di comunicazione della ordinanza n. 29045/2024 (di cui – come detto – la Cancelleria di questa Corte ha attestato il positivo esito di regolare consegna nella casella PEC del destinatario) non sia pervenuto nella casella della posta in entrata o, se pervenuto, non sia stato leggibile.
La addotta incolpevole ignoranza del provvedimento di ordine di integrazione del contraddittorio non è dunque ravvisabile.
3. Il ricorso è dichiarato inammissibile.
4. Non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, non avendo ivi la parte intimata svolto difese.
5. Atteso l’esito del ricorso, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass., Sez. U, 20/02/2020, n. 4315) per il versamento al competente ufficio di merito da parte della ricorrente – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
6. Ferma la declaratoria di inammissibilità del ricorso, ritiene la Corte che la questione sottesa all’impugnazione sia di particolare importanza, dacché suscettibile di essere in concreto replicata in una pluralità di occasioni e foriera di significative incertezze euristiche nella giurisprudenza di merito: degna, quindi, dell’enunciazione di principio di diritto nell’interesse della legge ai sensi e per gli effetti del terzo comma dell’art. 363 del codice di rito, stante altresì la sollecitazione sul punto formulata dal Procuratore Generale.
Il tema concerne, in sintesi, la esperibilità dell’azione prevista dall’art. 149 del d.lgs. n. 205 del 2009 ad opera del cessionario del credito per risarcimento danni patrimoniali da sinistro stradale.
La risposta all’interrogativo è positiva.
È doveroso puntualizzare che sull’argomento questa Corte ha già avuto modo di esprimersi, ancorché a fini differenti (in specie, per la verifica dell’integrità del contraddittorio: Cass. 31/05/2019, n. 14887) oppure con affermazioni meramente incidentali, non immediatamente pertinenti all’oggetto del contendere (Cass. 12/09/2019, n. 22726; Cass. 31/03/2021, n. 8869), ma in ogni caso univocamente orientate in direzione favorevole all’ammissibilità dell’azione.
Può allora prendersi le mosse dagli argomenti in queste pronunce già esplicitati, per qui meglio ribadirli e svilupparli.
In linea generale, la cessione del credito è il negozio giuridico con cui un soggetto (cedente) trasferisce ad un altro (cessionario) il credito vantato nei confronti di un terzo (debitore ceduto): esso determina, in via immediata, una successione a titolo particolare nel diritto, cioè una modificazione dal lato attivo della obbligazione.
Salvo quest’ultimo aspetto (in forza del quale il debitore ceduto è tenuto ad effettuare la prestazione dovuta in favore del cessionario), la obbligazione resta inalterata negli altri suoi elementi caratterizzanti: e ciò spiega perché, per espressa prescrizione dell’art. 1263 cod. civ., il credito è trasferito al cessionario con i privilegi, con le garanzie personali e reali e con gli altri accessori, tra cui vanno senz’altro ricompresi tutti i poteri esercitabili a tutela del diritto ceduto.
Tali regole generali non trovano alcuna contraddizione, smentita o eccezione nella legge speciale che disciplina la materia del risarcimento dei danni conseguenti a sinistro stradale (segnatamente, all’attualità, il più volte citato d.lgs. n. 209 del 2005).
Ed invero, come è pacifico nella giurisprudenza di nomofilachia, il credito al risarcimento dei danni patrimoniali provocati da un sinistro stradale può costituire oggetto di cessione, in quanto di natura non strettamente personale, non sussistendo specifico divieto normativo al riguardo né ricorrendo un’ipotesi di cessione di crediti litigiosi (così, tra le tante, Cass. 13/05/2009, n. 11095; Cass. 10/01/2012, n. 52; Cass. 03/10/2013, n. 22601: si tratta, peraltro, di un credito attuale, non già futuro, che sorge nel momento in cui il fatto illecito è compiuto, ad altri fini rilevando il suo accertamento e la sua liquidazione.
Tanto premesso, la trasmigrazione al cessionario delle azioni dirette ad ottenere la realizzazione del credito ceduto – effetto, per dir così, naturale del negozio di cessione – importa, nel caso del credito risarcitorio da circolazione stradale, la esperibilità non soltanto della azione ex art. 144 del d.lgs. n. 209 del 2005 verso l’assicuratore del soggetto responsabile ma anche dell’azione accordata, per un più rapido ed agevole soddisfacimento del credito, dall’art. 149 d.lgs. n. 209 del 2005 nei confronti dell’assicuratore dello stesso danneggiato.
Oltre quanto già osservato in termini generali, è specificamente dirimente, al riguardo, la considerazione della sostanziale identità di posizione, circa il credito ceduto, tra l’assicuratore del danneggiato e l’assicuratore del responsabile, agendo il primo quale mandatario ex lege del secondo, con gli obblighi e gli oneri gravanti su quest’ultimo per quanto attiene alla misura della responsabilità (chiara la lettera dell’art. 149, comma 3, d.lgs. n. 209 del 2005: «l’impresa, a seguito della presentazione della richiesta di risarcimento diretto, è obbligata a provvedere alla liquidazione dei danni per conto dell’impresa di assicurazione del veicolo responsabile, ferma la successiva regolazione dei rapporti fra le imprese medesime»).
In senso contrario, non giova invocare la ratio sottesa alla disposizione dell’art. 149 in parola, condivisibilmente ravvisata dalla Corte costituzionale (ord. 23 dicembre 2008, n. 441) nell’esigenza di rafforzare la posizione dell’assicurato danneggiato, soggetto debole: essa, invero, non implica il carattere personale di detta azione né apporta deroga ai normali effetti della cessione del credito, sicché appare del tutto privo di fondamento inferirne la negazione della legittimazione in capo al cessionario del credito risarcitorio.
7. In conclusione, va enunciato, nell’interesse della legge ex art. 363 cod. proc. civ., il seguente principio di diritto: «il cessionario del credito avente ad oggetto il risarcimento di danni patrimoniali conseguenti a sinistro stradale è legittimato ad esercitare l’azione prevista dall’art. 149 del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209 nei confronti dell’impresa di assicurazione che ha stipulato il contratto relativo al veicolo utilizzato dal soggetto danneggiato».
Cass. civ., III, sent., 04.11.2025, n. 29113