1.˗ I signori Maria Paola Bianchini, Elisa Bianchini, Pio Bianchini, Ala Bianchini e Giuliana Giuliani sono proprietari di una vasta area ubicata nel Comune di Misano Adriatico e contraddistinta nel catasto dei terreni ai fogli 6, 14 (part. 42 e 267) e 16.
L’area in questione è stata destinata ad ospitare opere di urbanizzazione previste nell’ambito di un piano particolareggiato di iniziativa privata, reso efficace con convenzione dell’anno 1980. In forza della predetta convenzione le aree avrebbero dovuto essere cedute gratuitamente all’amministrazione comunale, unitamente alle opere che vi sono state realizzate. Le relative aree vincolate a destinazione pubblica (strade, verde-parco e parcheggi) non sono, tuttavia, mai state cedute al Comune, in contrasto con quanto previsto dalla convenzione accessiva al piano di lottizzazione. In fatto, sono state utilizzate dalla collettività degli utenti.
Nel 1992, i primi lottizzanti hanno trasferito la proprietà di una parte del compendio immobiliare (quella afferente al parco pubblico) alla società Edilsantamonica.
1.1.˗ Nel 2009 il Comune di Misiano Adriatico, con la deliberazione consiliare 31 marzo 2009. n. 41, ha disposto l’acquisizione al patrimonio comunale di tutte le aree dei lottizzanti, distinguendo quelle con destinazione a parco pubblico (fg. 14 part. 42 e 267), per le quali il Comune ha disposto il loro inserimento nell’elenco dei beni comunali da valorizzare o dismettere ai sensi dell’art. 58 del decreto-legge 25 giugno 2008 n.112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e quelle destinate a strade, parcheggi, aiuole e ai relativi sottoservizi (foglio 6, 14,16), che il Comune ha ritenuto di potere di acquisire al patrimonio comunale ai sensi dell’art. 31, comma 21, della legge 23 dicembre 1998 n. 448.
I lottizzanti, in base alla previsione del comma 5 del citato art. 58 del decreto-legge. n. 112 del 2008, hanno proposto nei confronti di tale delibera ricorso amministrativo in opposizione, chiedendone l’annullamento.
Decorso inutilmente il termine di novanti giorni previsto dall’art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica del 24 novembre 1971 n 1199, i lottizzanti hanno impugnato la predetta delibera davanti al Tribunale amministrativo regionale per la Regione Emilia Romagna.
1.2.˗ Con ricorso in primo grado i lottizzanti hanno reiterato i motivi di impugnazione già formulati in via amministrativa, in particolare censurando, in relazione ai vizi di violazione di legge e di eccesso di potere, la delibera n. 41 del 2009.
Il Tribunale amministrativo, con sentenza n. 1050 del 2016, ha dichiarato il ricorso in parte inammissibile per difetto di giurisdizione e in parte irricevibile.
In particolare, con riferimento alla parte della delibera che ha disposto, ai sensi dell’art. 58, del decreto-legge n. 112 del 2008, la valorizzazione e la dismissione dei beni, il giudice di primo grado ha dichiarato il ricorso inammissibile per carenza di giurisdizione sul presupposto che il Comune avrebbe previamente acquisito per usucapione ventennale le aree oggetto del provvedimento di valorizzazione e l’accertamento in via principale dell’usucapione apparterrebbe alla giurisdizione del giudice ordinario.
Con riferimento all’impugnazione della parte della delibera che ha disposto l’accorpamento al demanio stradale delle porzioni di terreno utilizzate ad uso pubblico, il Tar ha dichiarato il ricorso irricevibilità per tardività, non potendo, in questa parte, la delibera essere oggetto di ricorso in opposizione.
1.3.˗ Questa Sezione, con sentenza 20 aprile 2023, n. 4012, ha riformato la predetta sentenza, statuendo.
In primo luogo, si è ritenuto fondato l’appello nella parte in cui veniva contestata la declinatoria parziale di giurisdizione del giudice di primo grado, dal momento che l’inserimento di beni nel piano di valorizzazione e alienazione di cui all’articolo 58 del decreto-legge n. 112 del 2008 «costituisce espressione di scelte autoritative di carattere discrezionale dell’amministrazione inerenti alla sistemazione complessiva del proprio patrimonio immobiliare ai fini del raggiungimento delle sottese finalità di interesse pubblico». In questa prospettiva, la questione relativa all’usucapione costituisce eccezione riconvenzionale, risolvibile mediante cognizione incidentale da parte del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 8, comma 1, cod. proc. amm. Per tali ragioni la causa, in parte qua, è stata rimessa al giudice di primo grado.
In secondo luogo, previa remissione in termini per errore scusabile, si è ritenuto fondato il ricorso di primo grado nella parte in cui veniva contestato l’accorpamento al demanio stradale delle aree destinate all’uso pubblico ex articolo 31, comma 21, della legge n. 448 del 1998, perché mancava il necessario consenso dei proprietari, annullando, per l’effetto, in parte qua, l’atto impugnato.
2.˗ La causa è stata riassunta davanti al Tar che, con la sentenza 29 gennaio 2024, n. 66, ha dichiarato il ricorso improcedibile: i) nei confronti dei sig. Bianchini Pio e della Società Edisantamonica s.r.l. perché nel ricorso principale era stata domandata la declaratoria di nullità per carenza di potere della deliberazione consiliare impugnata o il suo annullamento per i vizi di legittimità mentre nell’atto di riassunzione è stata prospettata la «inesistenza del presupposto indicato all’art. 1158 del codice civile, vale a dire il possesso pacifico e continuato per venti anni in capo al Comune e difetto della interversione del possesso»; ciò determinerebbe, secondo il Tar, una inammissibile mutatio libelli; ii) nei confronti delle altre parti perché non avevo rispettato il termine di novanta giorni, previsto dall’art. 105, comma 3, cod. proc. amm., per la riassunzione.
3.˗ Con un primo motivo gli appellanti assumono che il ricorso non avrebbe potuto essere dichiarato improcedibile perché ciò è possibile soltanto quando nel corso del processo interviene la sopravvenuta carenza di interesse mentre nella specie «il Comune di Misano Adriatico è tuttora occupante abusivo delle aree di proprietà Bianchini e dunque non sussistevano le condizioni per una pronuncia di improcedibilità ex art. 34 c.p.a. che è frutto di un evidente errore».
Con il secondo motivo si assume che «il diritto del Comune di ottenere il trasferimento in proprietà a titolo gratuito delle aree comprese nel piano di lottizzazione, è estinto per inutile decorso del termine di prescrizione ordinario decennale di cui all’art. 2946 cod. civ.».
Con il terzo motivo si assume che «l’accorpamento al demanio stradale delle porzioni di terreno utilizzate ad uso pubblico da oltre vent’anni, può aver luogo a norma dell’art. 31, comma 21 della Legge 448/1998, soltanto previa acquisizione del consenso da parte degli attuali proprietari” e quel consenso non è mai stato acquisito».
Con un quarto motivo si assume che l’inserimento dei beni nella convenzione di lottizzazione non è sufficiente a far loro acquisire la qualità di “beni comunali” in assenza di un atto formale di cessione. Né sarebbero stati acquistati per usucapione, «difettando il requisito del possesso pacifico e continuato di cui all’art. 1158 c.c. del possesso».
4.˗ Si è costituito in giudizio il Comune eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità dell’appello perché non sono state prospettate censure specifiche nei confronti della sentenza. Nel merito ha chiesto il rigetto dell’appello.
5.˗ La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 18 settembre 2025.
6.˗ L’appello è inammissibile.
L’art. 101 cod. proc. amm. prevede che il ricorso in appello deve contenere le specifiche censure contro i capi della sentenza gravata.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato è costante nell’affermare che «il ricorso in appello deve contenere specifiche censure contro i capi della sentenza gravata, non potendo risolversi nella mera riproposizione dei motivi di prime cure disattesi dal giudice di primo grado, pena l’inammissibilità dell’appello». Ne consegue che «l’appello deve sempre contenere, accanto alla parte volitiva, anche una parte critica, a confutazione della sentenza di primo grado, non trattandosi di un novum iudicium ma di una revisio prioris istantiae». A tal fine, «pur non richiedendosi l’impiego di formule sacramentali, si esige l’onere specifico, a carico dell’appellante, di formulare una critica puntuale della motivazione della sentenza appellata in modo che il giudice di appello sia posto nelle condizioni di comprendere con chiarezza i principi, le norme e le ragioni per cui il primo giudice avrebbe dovuto decidere diversamente» (Cons. Stato, Sez. V, 1 luglio 2024, n. 5778).
Nel caso in esame, la sentenza impugnata, come sopra esposto, aveva deciso la causa nei riguardi degli odierni appellanti mettendo in rilievo che con l’atto di riassunzione le parti, rispetto a quanto indicato nell’atto introduttivo del giudizio, avessero disposto una inammissibile mutatio libelli.
In particolare, in tale sentenza si è sottolineato come nel ricorso principale fosse stata domandata la declaratoria di nullità per carenza di potere della deliberazione consiliare impugnata o il suo annullamento per i vizi di legittimità mentre nell’atto di riassunzione fosse stata prospettata la «inesistenza del presupposto indicato all’art. 1158 del codice civile, vale a dire il possesso pacifico e continuato per venti anni in capo al Comune e difetto della interversione del possesso».
Tale parte della motivazione non è stata oggetto di specifiche censure nell’atto di appello. Soltanto nella memoria difensiva depositata in vista dell’udienza pubblica del 18 settembre, gli appellanti hanno contestato la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che, con la riassunzione, si fosse avuta una mutatio libelli. Tale difesa non può, però, colmare la lacuna dell’atto di appello che, n applicazione degli orientamenti giurisprudenziali sopra esposti, deve essere dichiarato inammissibile.
7.˗. La peculiarietà della vicenda amministrativa giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente grado di giudizio.
CONSIGLIO DI STATO, IV – sentenza 03.11.2025 n. 8520