1. – I due ricorsi in appello vanno preliminarmente riuniti perché proposti avverso la medesima sentenza ai sensi dell’art. 96, co. 1 c.p.a..
2. – Dipoi, il Collegio deve esaminare il comune motivo di appello teso a riproporre le eccezioni di inammissibilità spiccate in primo grado e disattese dalla pronuncia gravata.
2.1. – Va scrutinata in primis l’eccezione di inammissibilità per difetto di interesse del Consorzio per la tutela del Parmigiano reggiano.
2.1.1. – L’eccezione è infondata e correttamente è stata disattesa dal giudice di prime cure.
Come incontestatamente dedotto dall’appellato e poi osservato dal TAR, il Consorzio per la tutela del Parmigiano reggiano è un consorzio volontario che, su incarico del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, esercita le funzioni (ai sensi dell’art. 14 della legge n. 526 del 1999) di tutela, promozione, valorizzazione, informazione del consumatore e cura generale degli interessi in relazione alla nota denominazione di origine protetta (“DOP”) del formaggio “Parmigiano Reggiano”, registrata a livello dell’Unione ai sensi del Regolamento (CE) n. 1151/2012.
A tal fine, ai sensi degli artt. 5 e 6 del proprio statuto, il Consorzio Parmigiano Reggiano può esercitare e promuovere “ogni azione avanti a qualsiasi organo e qualsiasi giurisdizione, sia nazionale che internazionale, per la tutela e la salvaguardia della DOP “Parmigiano-Reggiano” e della sua reputazione costituendosi avanti a qualsiasi giudice o autorità quale portatore degli interessi diffusi dei consorziati produttori del formaggio DOP “Parmigiano-Reggiano” nonché “nell’ambito della vigilanza sulla produzione e sul commercio del “Parmigiano-Reggiano”, tutte le azioni – anche giudiziarie – finalizzate alla rigorosa difesa della denominazione, dei segni distintivi, dei marchi, nonché alla repressione di abusi ed irregolarità da chiunque posti in essere, alla prevenzione e repressione di atti illeciti o comunque lesivi degli interessi della dop, del consorzio e/o dei consorziati, con espressa facoltà di richiedere il risarcimento degli eventuali danni subiti”.
2.1.2. – Come condivisibilmente opinato dal giudice di prime cure, l’azione coltivata in questa sede si inscrive chiaramente nella cornice dei poteri consortili di repressione degli atti comunque lesivi del consorzio e dei consorziati in quanto sia il Parmigiano reggiano, sia il Grana padano in quanto formaggi DOP, a pasta dura e di lunga stagionatura, si collocano nello stesso segmento di mercato e agiscono, quindi, nel quadro delle regole unionali e nazionali di libera concorrenza contendendosi lo stesso bacino di consumatori. I due formaggi differiscono per il metodo di produzione giacché il disciplinare seguito dai produttori di Parmigiano Reggiano prevede l’utilizzo esclusivo di latte proveniente da mucche che sono nutrite con erba medica, foraggio e mangimi vegetali; mentre il disciplinare del Grana Padano consente l’utilizzo di latte proveniente da mucche che sono alimentate con insilati prevedendo conseguentemente l’utilizzo del lisozima nella percentuale indicata (massimo 2,5 g/100 kg di latte) al fine di ovviare alla possibile presenza di spore di tipo Clostridium tyrobutyricum nel latte in conseguenza del fatto che l’ambiente acido dei silos in cui sono conservati i foraggi favorisce la fermentazione dei clostridi che può danneggiare irrimediabilmente il formaggio nella fase della stagionatura cagionando il cd. gonfiore butirrico tardivo. Sino ad ora, l’impiego del lisozima è stato doverosamente segnalato ai consumatori di Grana padano mediante apposita indicazione nell’etichettatura del codice europeo E1105 corrispondente al lisozima quale additivo con funzione di conservante, regolarmente tabellato nell’elenco di cui all’allegato II al regolamento 1333/2008 come modificato dal Reg. 1129/2011; di contro, i produttori di Parmigiano Reggiano DOP sono gli unici, insieme al Trentingrana, a poter utilizzare la frase “senza additivi” o “senza conservanti”.
La nota ministeriale, nel riclassificare il lisozima quale mero coadiuvante tecnologico nella produzione del Grana Padano, sortirebbe l’effetto di poter omettere nell’etichettatura l’indicazione di additivi o conservanti al pari del Parmigiano reggiano con potenziali riflessi sui comportamenti dei consumatori: al riguardo, a nulla rileva la precisazione ministeriale che tiene fermo l’obbligo di indicare tout court la presenza di lisozima nell’etichetta “in quanto estratto dall’albume dell’uovo”, giacché non può negarsi in astratto l’incidenza sui comportamenti di consumo della nuova etichettatura “senza additivi” o “senza conservanti” secondo l’id quod plerumque accidit nelle dinamiche del consumo di massa dei prodotti alimentari.
Tanto basta a corroborare l’interesse concreto e attuale del Consorzio Parmigiano Reggiano nella coltivazione della presente azione volta a contrastare la “richiesta di modificare la categoria di attribuzione del lisozima da “additivo conservante” a quella di adiuvante tecnologico””.
2.2. – Passando all’esame del secondo profilo di inammissibilità denunciato dalle appellanti, deve essere recisamente respinta l’obiezione riproposta con apposito motivo di censura che denegherebbe contenuto provvedimentale alla nota ministeriale gravata.
2.2.1. – Con la nota del Ministero della Salute – DGISAN – prot. N. 19335-P dell’8 maggio 2018, la Direzione generale ha fatto propri gli esiti istruttori acquisiti in via consultiva dapprima dall’Istituto Superiore di Sanità con parere del 2 gennaio 2018 e, successivamente, del Consiglio Superiore di Sanità del 13 marzo 2018 (che ha espresso “parere favorevole alla richiesta di modifica della classificazione del lisozima da “additivo conservante” a “adiuvante/coadiuvante tecnologico” nel Formaggio Grana Padano D.O.P. con un periodo di stagionatura maggiore o uguale a nove mesi. In conformità al Reg. (UE) 1169/2011 permane, inoltre, il disposto di segnalare in etichetta la presenza del lisozima in quanto estratto dall’albume dell’uovo”).
Pur non esprimendosi in modo esplicito, il tenore della nota ministeriale depone chiaramente a favore dell’accoglimento dell’istanza, rinviando per relationem ai pareri istruttori e, coerentemente, viene diramata non solo alle strutture periferiche del Ministero (come allegato dalla difesa dell’appellante), ma a tutte le Amministrazioni interessate (Assessorati regionali, MIPAAF e MISE) con preghiera di “diffondere la comunicazione ai propri organi di controllo per fornire uniformi indicazioni a livello operativo”.
Indi, la nota riveste indubitabile efficacia esterna producendo effetti rispetto all’intero sistema di vigilanza pubblica in materia di sicurezza alimentare e non può, dunque, esserne negata la valenza provvedimentale, e in ogni caso l’impugnabilità alla luce dei suoi potenziali effetti lesivi.
2.3. – Da ultimo, preme scrutinare il dedotto profilo di inammissibilità concernente il presunto sconfinamento nelle valutazioni di merito riservate all’Amministrazione.
Secondo il Consorzio Grana padano, le deduzioni dell’appellante celerebbero, dietro ad una eccezione di difetto di istruttoria, una contestazione del merito degli atti impugnati in quanto “il Consorzio del Formaggio Parmigiano Reggiano, da pagina 14 a pagina 18 dell’atto di costituzione, entrando nel merito del parere del Consiglio Superiore di Sanità e della nota del Ministero della Salute, ha contestato la valutazione scientifica contenuta in tali atti, concludendo che il lisozima “non è comunque, sul piano tecnico-scientifico, qualificabile come coadiuvante tecnologico in ragione delle specificità che lo caratterizzano””.
2.3.1. – L’eccezione non può essere condivisa.
La correttezza della procedura tecnico-scientifica di sussunzione del lisozima nelle due categorie unionali – additivo alimentare o coadiuvante tecnologico – costituisce il cuore della presente vertenza e non può essere in alcun modo sottratta al sindacato di questo Collegio mediante inappropriati richiami al merito amministrativo, quand’anche tecnico-discrezionale.
E’ lapalissiano che, nel caso di specie, vengano in rilievo valutazioni tecnico-discrezionali di elevata opinabilità, tuttavia è compito indeclinabile di questo Collegio vagliarne la tenuta logico-scientifica nei consueti limiti che contrassegnano il sindacato del giudice amministrativo sugli atti dell’amministrazione che siano precipua espressione di discrezionalità tecnica.
Non vi è, dunque, luogo per invocare inconferenti sconfinamenti nelle valutazioni di merito dell’Amministrazione.
3. – Venendo allo stretto merito della controversia, i due gravami si profilano infondati meritando piena conferma la pronuncia di prime cure per quanto si esporrà di seguito, anche in chiave integrativa dell’iter motivazionale percorribile.
3.1. – Va premessa una necessaria cornice di inquadramento giuridico-sistematico della fattispecie. Nell’assumere che la sicurezza alimentare intesa come libera circolazione di alimenti sicuri e sani è un elemento fondamentale del mercato interno e contribuisce in maniera significativa alla salute e al benessere dei cittadini, nonché ai loro interessi economici e sociali il regolamento UE n. 1333/2008 ha sostituito le direttive e le decisioni precedenti (Direttiva n. 94/35/CE sugli edulcoranti, Direttiva n. 94/36 sui coloranti e Direttiva n. 95/2/CE sugli additivi vari) concernenti gli additivi di cui è autorizzato l’uso negli alimenti al fine di assicurare un efficace funzionamento del mercato interno, garantendo al contempo un elevato livello di tutela della salute umana e di protezione dei consumatori, compresa la tutela dei loro interessi, mediante procedure di ampia portata e di semplice applicazione. Il Reg. UE 1333/2008 mira ad armonizzare l’uso degli additivi alimentari nella Comunità, vale a dire l’uso degli additivi alimentari negli alimenti oggetto della direttiva 89/398/CEE del Consiglio, del 3 maggio 1989, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti i prodotti alimentari destinati ad un’alimentazione particolare. Nei Considerando del Regolamento balza in evidenza il punto 24 che esplicita l’intervento in sussidiarietà dell’Unione in questa particolare materia giacché l’obiettivo del regolamento, vale a dire stabilire norme comunitarie uniforme sugli additivi alimentari, non può essere realizzato in misura sufficiente dagli Stati membri e può dunque, nell’interesse dell’unicità del mercato e di un alto livello di tutela dei consumatori, essere realizzato meglio a livello comunitario, pur limitandosi a quanto è necessario per conseguire tale obiettivo in ottemperanza al principio di proporzionalità.
3.2. – Nel perseguire tale obiettivo, il legislatore unionale ha introdotto la logica degli elenchi comunitari di additivi ed enzimi alimentari autorizzati previo esperimento della procedura uniforme di autorizzazione di cui al regolamento (CE) n. 1331/2008 svolta dalla Commissione, col supporto del Comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali: il sistema è stato, infatti, completato con l’elencazione degli additivi autorizzati negli alimenti (allegato II al regolamento n. 1333 del 2008), modificato nel 2011 con il Regolamento n. 1129/2011.
I corollari di questa logica portante sono che soltanto gli additivi alimentari inclusi nell’elenco comunitario possono essere immessi sul mercato in quanto tali e utilizzati negli alimenti alle condizioni d’impiego ivi specificate (art. 4) e un nuovo additivo alimentare può essere incluso negli elenchi comunitari degli allegati II e III del Regolamento n. 1333/2008 soltanto se soddisfa le pertinenti condizioni ivi specificate e in presenza di altri fattori legittimi tra cui i fattori ambientali (art. 6). Il sistema per elenchi introdotto nel nuovo assetto regolatorio unionale, anche a seguito della novella di cui al Reg. 1129/2011, marginalizza gran parte delle categorie funzionali, all’infuori di coloranti ed edulcoranti, tanto che nell’elenco di additivi di cui all’allegato II larga parte degli altri additivi rifluisce nella macrocategoria ricettacolo “Additivi alimentari diversi dai coloranti e dagli edulcoranti” tra cui figura proprio l’additivo E1105 che identifica il lisozima: la categoria funzionale assume principalmente una valenza descrittivo-classificatoria (art. 9, par. 1: “Gli additivi alimentari possono essere classificati, negli allegati II e III, nelle categorie funzionali di cui all’allegato I in base alla rispettiva funzione tecnologica principale”), ma non vincola in modo stringente il regime di utilizzo dell’additivo atteso che il regolamento prevede espressamente che “la classificazione di un additivo alimentare in una categoria funzionale non esclude che esso sia utilizzato per più funzioni” (art. 9, par. 2).
3.3. – Diversamente è a dirsi per le categorie di alimenti in cui si articola l’elenco di cui all’allegato II, che rileva ai fini del decidere: tale elenco di additivi è espressamente stabilito sulla base delle categorie di alimenti cui essi possono essere aggiunti (art. 4, par. 3) tanto che per ogni nuovo additivo alimentare incluso negli elenchi comunitari degli allegati II e III devono essere indicati, oltre a denominazione e numero identificativo E, gli alimenti ai quali può essere aggiunto, le condizioni del suo impiego e, se del caso, le restrizioni alla sua vendita diretta ai consumatori finali (art. 10, par. 2).
L’esigenza di uniformità a livello unitario di tali elenchi è fortemente avvertita dal regolatore europeo al punto da riservare alle istituzioni dell’Unione non solo la procedura uniforme (e centralizzata) di autorizzazione per qualsiasi modifica degli elenchi, ma anche le cd. Decisioni di interpretazione concernenti quesiti circa l’appartenenza di un determinato alimento ad una delle categorie di alimenti di cui all’allegato II o l’ottemperanza di una determinata sostanza alla definizione di additivo alimentare di cui all’articolo 3 (v. art. 19).
4. – Stringendo il fuoco della disamina agli elementi pertinenti ai fini del decidere, preme richiamare le disposizioni definitorie che tracciano il perimetro della odierna materia del contendere: da un lato, per “additivo alimentare” si intende, qualsiasi sostanza abitualmente non consumata come alimento in sé e non utilizzata come ingrediente caratteristico di alimenti, con o senza valore nutritivo, la cui aggiunta intenzionale ad alimenti per uno scopo tecnologico nella fabbricazione, nella trasformazione, nella preparazione, nel trattamento, nell’imballaggio, nel trasporto o nel magazzinaggio degli stessi, abbia o possa presumibilmente avere per effetto che la sostanza o i suoi sottoprodotti diventino, direttamente o indirettamente, componenti di tali alimenti (v. art. 3, par. 2 lett. a) Reg. n. 1333/2008); di contro, per “coadiuvante tecnologico” si intende ogni sostanza che i) non è consumata come un alimento in sé; ii) è intenzionalmente utilizzata nella trasformazione di materie prime, alimenti o loro ingredienti, per esercitare una determinata funzione tecnologica nella lavorazione o nella trasformazione; e iii) può dar luogo alla presenza, non intenzionale ma tecnicamente inevitabile, di residui di tale sostanza o di suoi derivati nel prodotto finito, a condizione che questi residui non costituiscano un rischio per la salute e non abbiano effetti tecnologici sul prodotto finito ((art. 3, par. 2, lett. b) Reg. n. 1333/2008).
4.1. – La res controversa che impegna il Collegio attiene proprio alla discussa ascrivibilità del lisozima nel novero degli additivi alimentari (con funzione conservante) o dei coadiuvanti tecnologici nel processo di stagionatura del Grana padano DOP non inferiore a 9 mesi.
Sul piano strettamente scientifico, il lisozima è una sostanza enzimatica ad azione batteriolitica, presente in vari tessuti animali, nei secreti esocrini, nel latte vaccino, nonché nel latte materno e nell’albume delle uova di varie tipologie di uccelli, tra cui le galline. Esso è quindi presente in vari alimenti di origine animale normalmente consumati dall’uomo.
Nel caso del Grana Padano DOP, il lisozima tratto dall’albume dell’uovo di gallina viene impiegato (nella quantità prevista dall’art. 5 del Disciplinare: max 2,5 g/100 kg di latte) per preservare la forma del formaggio: il lisozima, infatti, contrasta nel corso del successivo processo di stagionatura lo sviluppo di clostridi gasogeni (ad es. Clostridium Butyricum – presente nel latte delle vaccine alimentate con foraggi insilati), impedendo che gli stessi provochino, nella forma stagionata, il caratteristico gonfiore che ne impedirebbe la marchiatura (cd. gonfiore butirrico tardivo).
4.2. – Tanto precisato a livello fenomenologico, il Collegio deve soffermarsi sul chiaro dato normativo desumibile dalla disciplina unionale: il lisozima è censito nel novero degli additivi alimentari diversi dai coloranti e dagli edulcoranti col codice E1105 di cui all’allegato II del Reg. n. 1333/2008 con la precisazione che la categoria alimentare cui può essere addizionato è, inter alia, quella dei formaggi stagionati (tra i quali pacificamente rientra il Grana Padano DOP) utilizzabile nella misura “quantum satis”.
5. – Tutto ciò premesso, ad avviso del Collegio la nota ministeriale gravata, nel far proprio il parere favorevole del CSS “alla richiesta di modifica della classificazione del lisozima da additivo conservante a adiuvante tecnologico nel formaggio Grana padano DOP con un periodo di stagionatura non inferiore a nove mesi” incorre in entrambi i vizi denunciati in prime cure dal Consorzio di tutela del parmigiano reggiano e correttamente rilevati, seppur solo in parte, dal primo giudice.
5.1. – In primo luogo, non può essere condiviso l’asserto degli appellanti per cui “la verifica sull’impiego del lisozima nella stagionatura del Grana Padano quale coadiuvante tecnologico anziché additivo conservante, oltre ad essere rispettosa della normativa europea di riferimento (che come dianzi esposto, presuppone che un additivo alimentare come il lisozima possa essere impiegato sia come additivo alimentare con funzione conservante, sia come coadiuvante tecnologico), non incide in alcun modo sull’elenco degli additivi, né sulla sua efficacia, non limitando minimamente “la qualificazione del lisozima quale additivo alimentare nei formaggi stagionati”.
5.1.1. – L’iter argomentativo suggestivamente svolto dagli appellanti sconta una grava fallacia logica poiché inverte il prius col posterius facendo leva su mere considerazioni empiriche tratte da (asseritamente) copiosa letteratura scientifica comprovante l’ipotesi che il lisozima presente nel Grana Padano non svolge una funzione conservante, bensì agisce, invece, nella maniera tipica del coadiuvante tecnologico.
In disparte l’attendibilità scientifica di tali studi, peraltro efficacemente contrastati dalla relazione peritale prodotta dal Consorzio del Parmigiano reggiano, va rimarcato in via assorbente che la classificazione del lisozima quale additivo alimentare con codice E1105 nei formaggi stagionati, tra cui rientra incontestatamente il Grana padano DOP, è un dato cogente a livello unionale che si impone imperativamente su qualsiasi studio o deduzione difforme sino a che la classificazione unionale non sia validamente modificata secondo la procedura uniforme di cui all’art. 10, par. 3 Reg. cit. che prevede l’iniziativa della Commissione previo passaggio consultivo con l’Autorità europea per la sicurezza alimentare. Indi, l’eventuale riclassificazione dell’azione del lisozima nel processo di stagionatura del Grana padano alla stregua di mero coadiuvante tecnologico non può essere disposta o avallata dal Ministero della salute quale autorità competente del singolo stato membro, bensì deve essere rimessa inderogabilmente alle Istituzioni eurounitarie che procederanno alla validazione scientifica delle evidenze empiriche addotte dalla parte istante.
Tale conclusione è coerente con la ratio di fondo del sistema dell’elenco uniforme, finalizzato ad istituire una classificazione unitaria degli additivi alimentari autorizzati nel mercato interno nell’ottica del perseguimento dell’obiettivo comune della sicurezza alimentare del consumatore europeo: ammettere operazioni su scala nazionale volti ad introdurre deroghe sulla scorta di studi scientifici non vagliati dall’Autorità europea non solo confligge frontalmente con il cristallino dato testuale del regolamento eurounitario, ma mina la tenuta stessa del sistema dell’elenco unico e della procedura uniforme con evidente vulnus alla sicurezza alimentare nell’ambito del mercato interno.
5.1.2. – Non valgono a scalfire siffatte considerazioni le pur strenue deduzioni della difesa erariale e del Consorzio Grana Padano che vorrebbero desumere dal dettato testuale dell’art. 2, par. 2, lett. a) del Reg. 1333/2008 (“Il presente regolamento non si applica alle seguenti sostanze, se non nel caso in cui siano utilizzate come additivi alimentari: a) coadiuvanti tecnologici”) l’esclusione del lisozima dal campo applicativo del regolamento in quanto ne avrebbero previamente comprovato la funzione di adiuvante tecnologico, quantomeno con riguardo alla stagionatura del Grana padano: “una sostanza inserita nell’elenco degli additivi che, in uno specifico processo di produzione, venga impiegata come coadiuvante tecnologico, cessa di essere considerata come “additivo” per quello specifico processo produttivo, senza che ciò comporti una riclassificazione della sostanza e, quindi, una modifica della classifica degli additivi di cui al Regolamento n. 1333/2008” (così la difesa del Consorzio grana padano, pag. 14 atto di appello).
Tale sillogismo potrebbe pur valere per l’impiego del lisozima su altri alimenti, ma non può applicarsi per i formaggi stagionati, rispetto ai quali non si può derogare al dato normativo di fonte eurounitaria: in tali processi produttivi il lisozima è e resta un additivo alimentare autorizzato, sicché qualsiasi proposito di veder mutare tale classificazione deve essere compiutamente sottoposta all’esame delle Istituzioni unionali, mentre non possono trovare ingresso in alcun modo percorsi elusivi che facendo leva su nuove evidenze scientifiche si appellino alle Autorità nazionali nell’ambito del perimetro non regolamentato dei coadiuvanti tecnologici.
5.1.3. – A tali rilievi di indole squisitamente normativa, se ne aggiunge uno di matrice logico-fenomenica. Avendo bene a mente le definizioni normative di additivo alimentare e coadiuvante tecnologico, il Collegio non può non osservare che il lisozima, in virtù del principio logico di non contraddizione, non può rivestire al contempo le due funzioni nell’ambito dello stesso settore alimentare dei formaggi stagionati: le due definizioni sono, infatti, mutuamente escludenti poiché l’additivo alimentare, impiegato nei processi di fabbricazione, trasformazione, preparazione, trattamento, imballaggio, trasporto o magazzinaggio, ha o può presumibilmente avere per effetto che la sostanza o i suoi sottoprodotti diventino, direttamente o indirettamente, componenti di tali alimenti (dunque persiste nel prodotto finito); di contro, il coadiuvante tecnologico, impiegato esclusivamente nella lavorazione o nella trasformazione, può dar luogo alla presenza, non intenzionale, ma tecnicamente inevitabile, di residui di tale sostanza o di suoi derivati nel prodotto finito, purché innocui e privi di ulteriori funzioni.
Orbene, l’istruttoria tecnico-scientifica svolta dal Ministero, in disparte la controvertibile funzione conservante o coadiuvante del lisozima a seconda degli studi condotti sulla stagionatura delle forme prima della marchiatura (la relazione peritale del Consorzio Parmareggio argomenta diffusamente che l’enzima esplicherebbe le sue funzioni litiche ben oltre i nove mesi di stagionatura) – da riservarsi, se del caso, agli opportuni approfondimenti della Commissione col supporto dell’EFSA – ha palesemente sottovalutato un dato incontrovertibile emergente pressoché da tutti gli atti di causa: il disciplinare del Consorzio del Grana padano prevede all’art. 5 l’uso di lisozima “fino ad un massimo di 2,5 g per 100 chilogrammi di latte”, mentre all’esito del processo di stagionatura lo stesso ISS nel suo parere istruttorio attesta, sulla scorta dei dati in letteratura, che “i livelli residui di lisozima nel prodotto finito risultano essere mediamente inferiori a 200 mg/kg” (lo studio prodotto dal Consorzio appellato richiama una forchetta media di 220-316 mg/kg).
Sulla scorta di una elementare operazione di equivalenza della misura indicata dal disciplinare si può comparare che, se nel prodotto finito la presenza del lisozima sarebbe in media inferiore a 200 mg/kg (dato ISS), nel prodotto in lavorazione ammonta al massimo a 25 mg/kg corroborando la tesi propugnata dalla relazione peritale per cui la presenza di lisozima sarebbe in quantità 8-10 volte concentrata nel prodotto finito. Tale constatazione empirico-fenomenica, attestata dallo stesso parere dell’ISS, smentisce frontalmente la tesi ministeriale volta a ricondurre il lisozima nel novero dei coadiuvanti tecnologici per l’evidente carenza del terzo requisito sub art. 3, par. 2, lett. b), iii) Reg. cit. (“può dar luogo alla presenza, non intenzionale ma tecnicamente inevitabile, di residui di tale sostanza o di suoi derivati nel prodotto finito, a condizione che questi residui non costituiscano un rischio per la salute e non abbiano effetti tecnologici sul prodotto finito”) non potendo in alcun modo affermarsi che nel prodotto finito risultino solo residui della sostanza o dei suoi derivati: nel caso in esame, tutte le evidente empiriche avvalorano l’affermazione opposta, ossia che il lisozima persiste nel prodotto finito in quantità significativa e financo concentrata rispetto alle condizioni iniziali di utilizzo.
5.2. – Alla luce della disamina svolta si può, dunque, concludere che il Ministero non può adottare determinazioni modificative in parte qua dell’elenco unionale degli additivi alimentari (All. II al Reg. 1333/2008), neanche in modo indiretto o riflesso, in quanto ogni mutamento sostanziale degli elenchi al pari di ogni decisione interpretativa resta riservata alle autorità unionali secondo la procedura uniforme all’uopo prevista. Nel caso specifico, la determinazione ministeriale si appalesa financo contraddittoria con gli stessi dati istruttori posti a base della decisione dal momento che è stato documentalmente smentito che il lisozima possa astrattamente soddisfare tutte le caratteristiche di un coadiuvante tecnologico nel processo di lavorazione del Grana Padano DOP in quanto la presenza dell’enzima nel prodotto finito, lungi dal presentarsi in forma di residuo, è financo più concentrata di quella utilizzata in corso di lavorazione.
6. – Tutto ciò considerato, gli appelli riuniti devono essere respinti per l’acclarata infondatezza e deve essere confermata la statuizione di annullamento disposta in prime cure, con le integrazioni motivazionali sviluppate nella presente decisione.
7. – In considerazione del peculiare tecnicismo sotteso alla controversia sussistono giustificate ragioni per compensare integralmente le spese di lite.
CONSIGLIO DI STATO, III – sentenza 04.11.2025 n. 8575