Urbanistica e edilizia – Illegittimità dell’annullamento in autotutela del permesso di costruire convenzionato per sussistenza di un ‘interdittiva antimafia verso la società interessata in ragione della carenza di ragioni di pubblico di interesse e della comunicazione di avvio del procedimento

Urbanistica e edilizia – Illegittimità dell’annullamento in autotutela del permesso di costruire convenzionato per sussistenza di un ‘interdittiva antimafia verso la società interessata in ragione della carenza di ragioni di pubblico di interesse e della comunicazione di avvio del procedimento

Premette la Società ricorrente di aver comunicato-OMISSIS- l’inizio dei lavori, attualmente quasi ultimati, stipulando -OMISSIS- cinque atti di compravendita per le unità immobiliari, da cui risulta che sono “non ancora ultimate nelle finiture, ma con tompagnatura completamente realizzata, con massetto ed impianti di scarico idrico ed elettrico”.

Con le censure articolate nel primo motivo di ricorso si sostiene che:

– il Comune avrebbe dovuto attivare il contraddittorio procedimentale ex art. 7 della legge n. 241/90, anche in ragione del tempo trascorso, non sussistendo ragioni di urgenza e non potendo addurre la natura vincolata del provvedimento;

– nei confronti della stessa ricorrente, aggiudicataria -OMISSIS-, il medesimo Comune solertemente aveva adottato il provvedimento di sospensione dopo tre giorni dalla comunicazione antimafia, avviando il procedimento di risoluzione contrattuale e -OMISSIS-;

– di contro, ha atteso quasi un anno dall’informativa prefettizia per disporre l’annullamento del titolo, rilasciato 3 anni prima (pur avendo l’ufficio comunale svincolato -OMISSIS- la garanzia definitiva prestata);

– qualora la ricorrente fosse stata messa in condizione di parteciparvi, avrebbe potuto far valere circostanze decisive a suo favore, quali l’esistenza di ben 5 atti di compravendita e di destinatari gravemente pregiudicati, l’avanzato stato dei lavori, la contraddittorietà con il comportamento tenuto per la risoluzione dell’appalto pubblico, la pendenza di un procedimento volto a ottenere il controllo giudiziario ex art. 34-bis del d.lgs. n. 159/2011 (che avrebbe potuto determinare un effetto sospensivo dell’interdittiva) e infine, la temporaneità della misura prefettizia, ex art. 86, co. 2, d.lgs. cit.;

Con le ulteriori censure è dedotto:

– con il secondo motivo, che difettano i presupposti di fatto e diritto, non ricadendo l’ipotesi di realizzazione di un manufatto edilizio in alcuna delle fattispecie previste dall’art. 67 del d.lgs. n. 159/2011 (che impongono il ritiro delle licenze e autorizzazioni di polizia e di commercio, le concessioni variamente denominate, le attestazioni di qualificazione per i lavori pubblici, le altre iscrizioni o provvedimenti a carattere autorizzatorio, concessorio o abilitativo per svolgere attività imprenditoriali, i contributi, finanziamenti e altre forme di agevolazione, le licenze per la detenzione e il porto d’armi, la fabbricazione, il deposito, la vendita e il trasporto di materie esplodenti);

– al terzo motivo, che occorreva comparare i contrapposti interessi e motivare sull’interesse pubblico sotteso all’adozione del provvedimento, considerando il lungo lasso di tempo dal rilascio del titolo, l’avvenuta compravendita degli immobili e il ritardo dalla conoscenza dell’informativa antimafia;

– nel quarto motivo, che il Comune è decaduto dal potere di annullare il titolo, decorsi 12 mesi dal rilascio del permesso di costruire in -OMISSIS-, non applicandosi il comma 2-bis dell’art. 21-nonies della legge n. 241/90 (non essendovi state alcuna falsa rappresentazione o condotte costituenti reato).

Il ricorso è ad avviso del Collegio meritevole di accoglimento, occorrendo svolgere le seguenti considerazioni.

Non si trascura che in giurisprudenza è affermato che all’emissione di un’interdittiva antimafia consegue la privazione di effetti del permesso di costruire rilasciato alla Società che ne è colpita, in applicazione dell’art. 92, co. 3, del codice antimafia, “che impone il ritiro delle autorizzazioni, delle concessioni e dei contratti di cui all’art. 67, tra cui qui rilevano le «altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio, o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati” (sentenza del Consiglio di Stato – sez. III, 15/4/2022 n. 2751, citata nella pronuncia della sez. II di questo TAR del 18/9/2024 n. 5036, entrambe richiamate nel provvedimento impugnato).

Sennonché, reputa il Collegio che vadano valorizzate le circostanze del caso concreto sottoposto al suo esame, le quali non possono essere obliterate ai fini di una compiuta valutazione.

Occorre premettere che il potere esercitato, pur denominato annullamento d’ufficio, si discosta dal paradigma astratto delineato dall’art. 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, in quanto non è rinvenibile un vizio genetico del provvedimento che ne determina la rimozione, ma piuttosto l’esigenza di rimuoverne gli effetti per un fattore sopravvenuto.

Tale differenza è stata posta in luce dalla giurisprudenza, la quale ha statuito che:

<<Ribadito che il nomen iuris del provvedimento non condiziona il giudizio sulla natura dell’atto (che va desunta dal suo contenuto), va ricordato come, a fianco alle ipotesi di revoca e di annullamento di ufficio (oggi normativamente previste dagli artt. 21-quinquies e 21-nonies l. n. 241/1990), la giurisprudenza abbia tradizionalmente individuato ulteriori ipotesi nelle quali si estrinseca il potere di autotutela.

Queste ipotesi – dove il provvedimento in autotutela agisce con efficacia ex nunc (e, dunque, non riconducibili all’annullamento di ufficio in senso proprio, la cui efficacia è ex tunc, riscontrandosi in tal caso una illegittimità originaria dell’atto) – sono, in particolare (e per quel che interessa nella presente sede), rappresentate dai casi in cui venga meno, successivamente all’adozione dell’atto, un presupposto o requisito indispensabile alla sua adozione (ovviamente presente in tale momento).

In questo caso, l’atto emanato è originariamente legittimo (e, dunque, non si giustificherebbe l’annullamento di cui all’art. 21-nonies l. n. 241/1990), ma tuttavia non può “sopravvivere” nel mondo giuridico, perché è venuto a mancare, successivamente, un elemento “condizionante” la sua validità.

Ovviamente, in questo caso, l’esercizio del potere di autotutela presuppone che sussista un interesse pubblico al suo esercizio e che, dunque, la sopravvenuta invalidità dell’atto (ed eventualmente la sua efficacia) siano tali da non essere ragionevolmente “sopportate”>> (Cons. Stato – sez. IV, 6/12/2018 n. 6916).

Applicando queste coordinate ermeneutiche al caso in esame, va posto in luce che la rimozione del permesso di costruire convenzionato è priva di motivazione sull’interesse pubblico perseguito, neppure tenendo conto del “termine ragionevole”, ex art. 21-nonies cit., entro il quale il potere deve essere esercitato.

Sotto questo aspetto, va rimarcato che il provvedimento è intervenuto a distanza di quasi un anno dalla conoscenza dell’interdittiva da parte del Comune, il quale si era dimostrato ben più solerte nel risolvere il contratto d’appalto di cui si è detto sopra, in data -OMISSIS-.

Tale notazione evidenzia che, qualora il Comune si fosse comportato allo stesso modo, la ricorrente avrebbe evitato di compravendere gli immobili -OMISSIS-.

Quest’evidenza dei fatti mostra la necessità di valorizzare l’affidamento ingenerato nei terzi incolpevoli.

In termini generali, la giurisprudenza ha enucleato il carattere del regime dell’annullamento in autotutela, ponendo in rilievo che: “Perché l’autotutela possa considerarsi legittima è necessario che esista un interesse pubblico all’esercizio del potere di autotutela, che pacificamente non si riduce al mero interesse a ristabilire la legalità, e una comparazione di tale interesse con quello privato al mantenimento dell’efficacia dell’atto, che deve risultare, all’esito, meritevole di minor tutela. Nell’atto impugnato non è dato rinvenire alcuna enunciazione relativa all’esistenza di un interesse pubblico all’annullamento né tanto meno esso contiene la comparazione tra l’interesse pubblico e l’affidamento ingeneratosi nel privato” (Cons. Stato – sez. VI, 26/2/2025 n. 1684).

Giova evidenziare che, se tale rilievo occorre per l’ipotesi di annullamento d’ufficio di un atto ab origine illegittimo, a fortiori l’interesse pubblico deve essere valutato allorquando nel privato (e, tanto più, in terzi incolpevoli) si sia consolidato l’affidamento nella produzione di effetti dell’atto da rimuovere.

Dalle considerazioni che precedono discende l’illegittimità del provvedimento impugnato, in accoglimento delle censure sollevate sul punto, poiché carente di motivazione sull’interesse pubblico perseguito e adottato senza la previa comunicazione di avvio del procedimento, con valore di principio generale (cfr. C.G.A.R.S. 5/6/2023 n. 403: “Nel nostro ordinamento i principi normati con la legge generale sul procedimento amministrativo hanno una valenza generale e permeano l’insieme dell’agere amministrativo e deve escludersi l’esistenza di segmenti cognitori che possano considerarsi esenti dagli stessi. Tra i principi generali un rilievo determinante riveste il postulato che il provvedimento finale deve essere frutto di un effettivo contraddittorio procedimentale che consenta al destinatario di fare valer le proprie ragioni (in chiave difensiva) ed offrire all’Amministrazione (in chiave collaborativa) ogni elemento utile per addivenire ad un provvedimento che sia il più efficace per la tutela del bene la cui tutela è affidata alla p.a. ed il meno gravoso per la sfera giuridica del destinatario. Ciò in obbligatoria adesione alle previsioni dell’art. 7 della L. n. 241 del 1990”; conf., da ultimo, C.G.A.R.S. 30/7/2025 n. 616).

Per le considerazioni che precedono il ricorso va dunque accolto e deve essere conseguentemente annullato l’impugnato provvedimento di annullamento in autotutela -OMISSIS-.

Sussistono nondimeno giustificate ragioni per disporre la compensazione per intero delle spese di giudizio, avuto riguardo alla fonte del potere che il Comune ha inteso esercitare e alla novità della questione esaminata.

TAR CAMPANIA – NAPOLI, I – sentenza 03.11.2025 n. 7093

Scrivici una domanda su questo Articolo

Le domande saranno affrontate nel prossimo incontro live