4. L’appello non può essere accolto, pur dovendosi integrare la motivazione della sentenza di primo grado.
4.1. Il primo, secondo, quinto e sesto motivo, che sono connessi, in quanto hanno ad oggetto la statuizione della sentenza di primo grado che ha escluso la prova della colpa dell’Amministrazione e conseguentemente l’azionato diritto al risarcimento del danno, devono essere trattati congiuntamente.
In primo luogo occorre precisare che la domanda di risarcimento del danno proposta in questo giudizio ha ad oggetto il danno consistente nel tardivo arruolamento derivante dall’adozione, da parte del Ministero della Giustizia, del primo provvedimento di esclusione del 24 dicembre 2001, annullato dal T.a.r. Lazio nel 2012. In questo luogo depongono la data di proposizione ed il contenuto della domanda, che risale alla primavera del 2013 (e, quindi, in epoca anteriore all’adozione del secondo provvedimento di esclusione del 1° luglio 2013) e che non fa alcun riferimento alla diversa condotta consistente nel ritardo nell’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali. Nelle successive memorie è stata allegata l’adozione del secondo provvedimento, ma solo al fine di chiedere il rinvio della decisione, mentre neppure nei motivi aggiunti è stata proposta la domanda di risarcimento del danno derivante dall’adozione di tale provvedimento. In proposito va evidenziato che il diritto di credito, quale diritto etero-determinato, cambia in considerazione del fatto costitutivo e, cioè, della condotta del danneggiante e che, dunque, il danno derivante dall’adozione del primo provvedimento e quello derivante dal secondo provvedimento corrispondono a due diversi diritti, da azionare con due diverse domande. A prescindere dall’ammissibilità di tale nuova domanda nel presente giudizio, la stessa non risulta essere stata proposta, essendosi limitato il ricorrente appellante a riferire i fatti successivi alla domanda proposta in quanto incidenti sulla stessa configurabilità del danno ingiusto e, a suo avviso, sintomatici della colpa dell’Amministrazione.
Delimitato il campo di indagine, pure deve chiarirsi che non è pertinente, nel caso di specie, la disciplina comunitaria, visto che il presente giudizio ha ad oggetto una situazione giuridica puramente interna, che non presenta alcun elemento di transnazionalità, non incide sulle libertà assicurate dal diritto unionale (e, cioè, le libertà di circolazione e sul commercio interstatale) e non ricade nell’ambito delle attribuzioni dell’Unione. Peraltro, gli orientamenti giurisprudenziali invocati dall’appellante si riferiscono alla responsabilità di uno Stato membro derivante dalla violazione di situazioni giuridiche riconosciute dall’ordinamento unionale (in particolare le sentenze della Corte di Giustizia del 14 ottobre 2004 nella causa C-275/2003 e del 30 settembre 2010 nella causa C-314/2009 si riferiscono alla responsabilità dello Stato derivante dalla violazione della direttiva in materia di appalti pubblici). Pertanto, non vi sono presupposti per l’applicazione della disciplina unionale e per il sollecitato rinvio alla Corte di Giustizia.
Passando all’esame del merito, va ricordato che l’illegittimità del provvedimento amministrativo, ove acclarata, costituisce solo uno degli indici presuntivi della colpevolezza, da considerare unitamente ad altri, quali il grado di chiarezza della normativa applicabile, la semplicità degli elementi di fatto, il carattere vincolato della statuizione amministrativa, l’ambito più o meno ampio della discrezionalità dell’amministrazione, mentre la colpa della pubblica amministrazione viene individuata nella violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ovvero in negligenza, omissioni o errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili, in ragione dell’interesse giuridicamente protetto di colui che instaura un rapporto con l’amministrazione (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 15/5/2018, n. 2882; 30/7/2013, n. 4020). Nel caso di specie, dall’esame della documentazione ed in particolare della sentenza di annullamento del provvedimento di esclusione adottata, emergono indizi gravi, precisi e concordanti che inducono ad escludere la colpa dell’Amministrazione. Più precisamente, come, del resto, allegato dalle parti negli atti di causa, il primo provvedimento di esclusione, risalente al 2001, è stato motivato in considerazione della presenza di cataboliti urinari ai cannabinoidi. Sebbene, come accertato nella sentenza di annullamento, tale situazione non sia riconducibile all’art. 123, lett. b), del d.lgs. n. 443 del 1992, che contempla, quale causa di non idoneità per l’ammissione ai concorsi di cui al precedente art. 122, l’alcolismo, le tossicomanie, le intossicazioni croniche di origine esogena, deve, tuttavia, rilevarsi che la presenza di cataboliti urinari ai cannabinoidi è un elemento sintomatico della pregressa assunzione di cannabis, in quanto indica la rilevazione nelle urine del principio attivo della cannabis immagazzinato nei tessuti adiposi e rilasciato lentamente nelle urine e, cioè, di un elemento che giustifica il comportamento tenuto dall’Amministrazione. A ciò si aggiunga che la verificazione espletata nel giudizio, all’esito del quale il provvedimento di esclusione è stato annullato, si è svolta a distanza di un significativo lasso temporale rispetto al procedimento amministrativo. Infine, deve sottolinearsi che la presenza di cataboliti urinari ai cannabinoidi è imputabile allo stesso ricorrente/appellante, di cui denota una colpa (intesa quale contrarierà alle regole di diligenza e prudenza, tenuto conto proprio della volontà di partecipare al concorso e della causa di esclusione prevista dall’art. 123, lett. b, del d.lgs. n. 443 del 1992), che assume rilevanza, come confermato dal combinato disposto degli artt. 2056 e 1227 c.c., e che, nel caso di specie, induce ad escludere la violazione, da parte dell’Amministrazione, delle regole di diligenza, prudenza e perizia nell’adozione del provvedimento (sia pure illegittimo). Alla luce di tali elementi indiziari la colpa dell’Amministrazione non solo non può essere desunta dall’accertata illegittimità del provvedimento adottato, ma deve essere esclusa.
4.2. Il rigetto del primo, secondo, quinto e sesto motivo hanno comportato l’assorbimento del quarto motivo, avente ad oggetto il danno previdenziale, su cui, quindi, non è configurabile l’omessa pronuncia.
4.3. In ordine al terzo motivo, avente ad oggetto la retrodatazione della nomina ai fini giuridici, dalla documentazione prodotta in corso di causa dall’Amministrazione è emerso che con specifico provvedimento il ricorrente è stato immesso in ruolo con decorrenza dal 3 luglio 2015, per cui l’eventuale retrodatazione presuppone l’annullamento di tale provvedimento, che è stato effettivamente impugnato nel presente giudizio con i motivi aggiunti formulati e notificati alla controparte in data 16 settembre 2022. Tale domanda, su cui effettivamente il giudice di primo grado non si è pronunciato e di cui non vi è prova della tardività, non può essere accolta.
In primo luogo deve rilevarsi che, sin dal ricorso introduttivo, l’appellante ha chiesto, quale forma di risarcimento del danno subito, la retrodatazione della sua assunzione. Nel caso di specie, tuttavia, come già anticipato, va esclusa la colpa dell’amministrazione e conseguentemente il diritto al risarcimento del danno azionato dall’appellante (non solo per equivalente ma anche in forma specifica). A ciò si aggiunga che la retrodatazione non può essere invocata neppure quale effetto del giudicato di annullamento, posto che, come si evince dal ricorso avverso l’originario provvedimento di esclusione, l’appellante ha presentato domanda per essere inserito in una graduatoria a cui il Ministero di Giustizia ha, nel corso del tempo, successivamente attinto laddove ha avuto bisogno di assumere personale. L’appellante non ha neppure allegato la posizione che avrebbe rivestito nell’originaria graduatoria e le assunzioni effettuate dal Ministero di Giustizia nel corso del tempo, per non è possibile individuare il dies a quo della retrodatazione richiesta (che, difatti, non è stato indicato né nel ricorso introduttivo né nell’appello). Infine, l’art. 6, comma 3, d.lgs. n. 443 del 1992 stabilisce che gli agenti in prova che abbiano superato gli esami teorico-pratici di fine corso e ottenuto conferma dell’idoneità al servizio di polizia penitenziaria sono nominati agenti di polizia penitenziaria, sono immessi in ruolo e prestano giuramento, per cui l’immissione in ruolo e la relativa decorrenza sono subordinati al superamento di esami teorici – pratici e, nel caso di specie, alla frequentazione ed all’esaurimento del corso (così anche Cons. Stato, Sez. IV, 19 maggio 2021, n.3887).
5. In conclusione, l’appello deve essere rigettato.
Le spese devono essere integralmente compensate, tenuto conto della complessa vicenda, da cui sono originati più contenziosi, in cui l’Amministrazione ha, comunque, assunto anche provvedimenti illegittimi, oggetto di annullamento.
CONSIGLIO DI STATO, V – sentenza 30.10.2025 n. 8431