1. Preliminarmente, va rilevato che il ricorso è stato sottoscritto da due avvocati (l’Avv. Domenico Cacciatore e l’Avv. Angelo Cacciatore), muniti di procura speciale anche disgiunta, di cui uno solo (l’Avv. Domenico Cacciatore) risulta cassazionista; in questa situazione, la sottoscrizione da parte dell’avvocato cassazionista (che nella fattispecie ha proceduto personalmente alla notifica del ricorso anche per conto dell’altro professionista) è sufficiente ai fini dell’ammissibilità, sotto il profilo in esame, del ricorso medesimo (cfr. Cass. 12/05/2020, n. 15165, non mass.; Cass. 16/07/2024, n. 19502; Cass. 19/07/2024, n. 19927; Cass. 25/07/2024, n. 20738; in precedenza v. Cass. 02/01/2012, n.1, non mass.; Cass. 11/06/2008, n. 15478). 2. Va, poi, delibata l’eccezione, sollevata dal Comune controricorrente, di improcedibilità del ricorso per essere stato notificato alle amministrazioni resistenti presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato, anziché presso l’Avvocatura Generale dello Stato. L’eccezione è infondata e deve essere rigettata alla luce del consolidato orientamento secondo il quale il suddetto vizio di notifica può essere sanato, con efficacia ex tunc, dalla costituzione in giudizio del destinatario del ricorso, da cui si può desumere che l’atto abbia raggiunto il suo scopo (Cass. 28/07/1997, n. 7033; Cass.12/03/2015, n. 4977; Cass. 24/06/2020, n. 12410); nel caso di specie, poiché le amministrazioni statali centrale e periferica intimate con il ricorso hanno ritualmente risposto con controricorso, lo scopo della regolare instaurazione del rapporto processuale di legittimità è stato raggiunto, con conseguente sanatoria del vizio. 9 Corte di Cassazione – copia non ufficiale3. Con il primo motivo viene denunciata, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2935 e 2947 cod. proc. civ. La società ricorrente censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che la lesione patrimoniale derivatale dall’incolpevole affidamento sulla legittimità dei titoli abilitativi edilizi (in seguito al cui rilascio erano state edificate opere per un valore di 13 miliardi di lire), si era manifestata – ed era dunque oggettivamente percepibile e riconoscibile come tale – già al momento dell’emanazione dell’atto di annullamento in autotutela di tali titoli, omettendo di considerare: in primo luogo, che tale provvedimento era stato impugnato e che la sua legittimità era stata definitivamente accertata solo cinque anni più tardi (all’esito della sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia del n.825/2005) sicché prima di tale decisione non poteva ritenersi idoneo ad ingenerare la consapevolezza del venir meno delle concessioni e dell’autorizzazione edilizie, né a legittimare pretese risarcitorie; in secondo luogo, che anche l’occupazione acquisitiva da parte sua dell’area (pur illegittimamente) espropriata a Maria Licari era stata definitivamente esclusa solo nell’anno 2010, allorché la Corte di cassazione aveva rigettato il ricorso avverso la sentenza n. 599/2005 della Corte d’appello di Palermo; in terzo luogo, che le opere di demolizione dei manufatti realizzati in forza dei titoli abilitativi annullati con il provvedimento in autotutela del 16 ottobre 2000 erano state effettuate solo nel 2008, sicché prima di tale data non era possibile per essa società avere piena conoscenza del danno subìto e della sua entità 10 Corte di Cassazione – copia non ufficialeeconomica né, quindi, avere contezza della pretesa risarcitoria da azionare in giudizio. 3.1. Il motivo è inammissibile. 3.1.a. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, ai fini della individuazione del termine iniziale di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito o da inadempimento, ai sensi dell’art. 2935 cod. civ., si deve fare riferimento non al momento in cui si è oggettivamente integrata la fattispecie di responsabilità extracontrattuale o contrattuale, comprensiva di tutti i suoi elementi costitutivi, compreso il danno, che può verificarsi anche in un momento temporalmente successivo all’illecito o all’inadempimento, bensì al momento in cui il danno si manifesta all’esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile come conseguenza dell’illecito o dell’inadempimento, secondo la diligenza di volta in volta esigibile dal danneggiato, ai sensi dell’art. 1176 cod. civ. (cfr., ex plurimis e con riguardo alle fattispecie più disparate: Cass. n. 13092/2025; Cass. n. 32226/2024; Cass. n. 34270/2023; Cass. n.29859/2023; Cass. n. 16631/2023; Cass. n.31219/2022; Cass. n. 24270/2020; Cass. n. 19193/2018; Cass. n.18521/2018; Cass. n.1889/2018; Cass. n. 22059/2017; Cass. n.18606/2016; Cass. n. 21715/2013). Il termine di prescrizione del diritto risarcitorio, in altre parole, inizia a decorrere non dal momento in cui la condotta illecita o inadempiente determina ontologicamente la lesione dell’altrui diritto, bensì dal momento in cui il danneggiato può avere l’oggettiva 11 Corte di Cassazione – copia non ufficialepercezione del pregiudizio e della sua rapportabilità causale all’illecito o all’inadempimento. L’individuazione del momento in cui il danno risarcibile si manifesta all’esterno, come percepibile dal danneggiato alla stregua della diligenza da quest’ultimo esigibile, forma oggetto di un giudizio di fatto, rimesso al giudice del merito, censurabile in cassazione nei limiti di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. (cfr., sul punto specifico, Cass. n.29859/2023, cit.; Cass. n. 16631/2023, cit.; Cass. n. 22059/2017, cit.). 3.1.b. Nel caso in esame, la Corte d’appello, confermando il giudizio già espresso dal Tribunale, ha correttamente ancorato l’exordium praescriptionis del diritto risarcitorio esercitato dalla Poiatti s.p.a. al momento della manifestazione e della percepibilità, da parte della danneggiata, delle conseguenze pregiudizievoli del suo incolpevole affidamento sulle concessioni e sull’autorizzazione edilizia dichiarate illegittime. Inoltre, nell’individuare il momento in cui, alla stregua dell’ordinaria diligenza da essa esigibile, la danneggiata avrebbe potuto avere l’oggettiva percezione del pregiudizio e della sua rapportabilità causale all’illecito della pubblica amministrazione, la Corte territoriale ha debitamente tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto. Il giudice d’appello, infatti, non ha omesso di considerare né la circostanza relativa all’impugnativa del provvedimento di annullamento in autotutela emesso dal Comune di Mazara del Vallo (che sarebbe stata definitivamente rigettata dal giudice amministrativo solo nel 2005), né la circostanza relativa alla proposizione, da parte della Poiatti 12 Corte di Cassazione – copia non ufficiales.p.a., della domanda di occupazione acquisitiva (anche questa rigettata nel 2005 dalla Corte d’appello, con sentenza confermata dalla Corte di cassazione nel 2010), né, infine, la circostanza che alla restituzione in pristino stato dell’area illegittimamente espropriata e al rilascio della stessa all’avente diritto si era provveduto solo nel 2008; questi fatti, pur debitamente considerati, sono stati peraltro motivatamente reputati irrilevanti in funzione dell’exordium praescriptionis dell’azione risarcitoria esercitata in giudizio, sulla base del rilievo che le conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla lesione della integrità patrimoniale dell’attrice, imputabili alla illegittimità degli atti ampliativi sui quali aveva risposto il proprio incolpevole affidamento, si erano manifestate ed erano oggettivamente percepibili già al momento dell’emissione del provvedimento di annullamento d’ufficio, il quale era conseguito alla presa d’atto, da parte dell’amministrazione comunale, che i provvedimenti relativi all’espropriazione erano stati definitivamente annullati in sede giurisdizionale e che, pertanto, era venuto meno lo stesso presupposto dei titoli abilitativi da essa rilasciati, con conseguente nullità degli stessi. La manifestazione del danno non era dunque subordinata all’accertamento giudiziale definitivo della legittimità dell’atto di annullamento, poiché il pregiudizio manifestatosi (consistente nella perdita del valore delle opere realizzate sull’area illegittimamente espropriata e nelle spese per la sua riduzione in pristino stato) non era quello derivante dalla (dedotta) illegittimità di tale provvedimento 13 Corte di Cassazione – copia non ufficialerestrittivo, bensì quello derivante dalla (già accertata) illegittimità – e persino della nullità – dei precedenti provvedimenti ampliativi. 3.1.c. Al cospetto di questo motivato accertamento di merito, la doglianza volta a ribadire che la manifestazione del pregiudizio ai fini dell’ exordium praescriptionis, si sarebbe avuta soltanto all’esito delle successive vicende giudiziarie che avrebbero condotto al definitivo rigetto, da un lato, della domanda di occupazione acquisitiva, dall’altro dell’impugnativa del provvedimento di annullamento d’ufficio dei titoli abilitativi edilizi, al di là della formale intestazione, si traduce, non già nella denuncia di un error iuris in iudicando per vizio di sussunzione, bensì in un’inammissibile censura del giudizio di fatto, motivatamente espresso dal giudice del merito nel corretto esercizio della competenza ad esso esclusivamente riservata, come tale insindacabile in sede di legittimità. Ne discende l’inammissibilità del primo motivo di ricorso. 4. Con il secondo motivo viene nuovamente denunciata, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2935 e 2947 cod. proc. civ., «sotto altro profilo». La ricorrente deduce che, a prescindere dal giudizio di merito sulla percepibilità del danno, il termine di prescrizione del diritto risarcitorio azionato sarebbe potuto iniziare a decorrere soltanto dopo la formazione del giudicato sul rigetto dell’impugnativa dell’atto di annullamento dei titoli abilitativi edilizi; giudicato formatosi in seguito all’emissione della sentenza n. 825/2005 del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia. 14 Corte di Cassazione – copia non ufficialeSostiene – richiamando, tra le altre, la pronuncia di questa Corte n. 2187 del 1994 – che «in fattispecie come quella in esame», il termine di prescrizione «può decorrere a tutto concedere dal momento in cui passa in giudicato la sentenza che accerta la legittimità o illegittimità dell’atto amministrativo». 4.1. Il motivo è infondato. 4.1.a. Il risalente – e ormai superato, anche in ragione della sua incompatibilità con lo ius superveniens – orientamento richiamato dalla ricorrente si riferisce alla fattispecie della lesione, ad opera della pubblica amministrazione, di un interesse oppositivo del privato attinto da un provvedimento amministrativo restrittivo della sua sfera giuridica. In tal caso, secondo questo risalente orientamento, il privato che intendesse chiedere la condanna della pubblica amministrazione al risarcimento dei danni derivanti dalla dedotta illegittimità del provvedimento restrittivo (ad es., il provvedimento di revoca o annullamento d’ufficio della concessione edilizia precedentemente rilasciatagli), avrebbe dovuto dapprima ottenerne l’annullamento dinanzi al giudice amministrativo (c.d. pregiudiziale amministrativa), non potendo conoscere il giudice ordinario della dedotta illegittimità dell’atto amministrativo e, solo successivamente a tale annullamento, restituita al diritto soggettivo, “affievolito” dal provvedimento illegittimo, la sua originaria consistenza (c.d. “riespansione” del diritto), avrebbe potuto proporre dinanzi al giudice ordinario (avente giurisdizione sui diritti soggettivi) la domanda risarcitoria. Il corollario per cui l’inizio del decorso della prescrizione dell’azione di danno 15 Corte di Cassazione – copia non ufficialeandava identificato, ex art. 2935 cod. civ., nella data di passaggio in giudicato della pronuncia di annullamento resa dal giudice amministrativo, discendeva, dunque, dalla necessità di ottenere dal giudice competente la declaratoria di illegittimità del provvedimento restrittivo dannoso, quale presupposto dell’accertamento dell’illiceità dell’operato della pubblica amministrazione e, quindi, dell’ “ingiustizia” del danno cagionato al privato. 4.1.b. Come è noto, questa risalente impostazione è stata superata sia in ragione dell’ampliamento delle “frontiere” del danno ingiusto ex art. 2043 cod. civ. alle violazioni degli interessi legittimi, come tali risarcibili, ove si traducano nella lesione dell’interesse al bene della vita cui la posizione soggettiva del privato si correla, senza necessità di una preventiva riespansione della stessa, già ”degradata” dall’esercizio del potere discrezionale amministrativo, nei termini di vero e proprio diritto soggettivo (Cass., Sez. Un., 22/07/1999, n.500); sia in ragione dello ius superveniens, il quale, nel ridisegnare l’ambito dei rapporti tra giudice ordinario e giudice amministrativo e delle relative giurisdizioni, per un verso, ha attribuito quella sulla tutela risarcitoria, dato il suo carattere rimediale e servente, al giudice della situazione soggettiva lesa (arg. ex artt. 1, 7 e 133 del d.lgs. n. 104/2010), per altro verso, ha mostrato una tendenziale propensione al superamento della c.d. pregiudiziale amministrativa nei casi in cui, nella controversia su diritti – devoluta naturaliter alla giurisdizione del giudice ordinario al di fuori dei casi di giurisdizione esclusiva di quello amministrativo – assumano rilevanza atti amministrativi presupposti (cfr., ad es., l’art. 63 del d.gs. n. 165/2001 in materia di pubblico impiego). 16 Corte di Cassazione – copia non ufficiale4.1.c. A prescindere dal suo superamento in ragione della evoluzione della giurisprudenza sui limiti del danno ingiusto e dello ius superveniens in materia di giurisdizione, resta che l’orientamento sopra illustrato ed invocato dalla società ricorrente aveva riguardo ad una fattispecie del tutto diversa da quella in esame. Nella vicenda in esame, infatti, la domanda proposta dalla Poiatti s.p.a. (nella insindacabile interpretazione e qualificazione datane dal giudice del merito) non ha ad oggetto il risarcimento dei danni derivanti da un provvedimento amministrativo restrittivo di cui si assuma l’illegittimità, bensì dei danni derivanti dall’incolpevole affidamento su un provvedimento ampliativo, di cui ex post si rilevi l’illegittimità. Mentre nel primo caso viene in considerazione una lesione dell’interesse legittimo oppositivo del privato, la quale presuppone l’accertamento definitivo dell’illegittimità del provvedimento, quale presupposto dell’illiceità della condotta della pubblica amministrazione e, quindi, dell’ “ingiustizia” del danno, nel secondo caso viene invece in considerazione non già il pregiudizio derivante dalla lesione di un mero interesse legittimo pretensivo all’ottenimento di un atto ampliativo della propria sfera giuridica, bensì il diverso pregiudizio conseguito alla lesione dell’incolpevole affidamento riposto su quell’atto ampliativo, poi rivelatosi illegittimo (cfr. Cass., Sez. Un., 4/09/2015, n. 17586; Cass., Sez. Un., 23/01/2018, n. 1654; Cass., Sez. Un., 8/03/2019, n. 6885; Cass., Sez. Un., 8/07/2020, n. 1423; Cass, Sez. Un., 25/05/2021, n. 14324). Viene dunque in rilievo l’ipotesi in cui il privato invoca il risarcimento del danno patrimoniale subìto in conseguenza della 17 Corte di Cassazione – copia non ufficialelesione della fiducia riposta nell’osservanza, da parte della pubblica amministrazione, delle regole che governano l’azione amministrativa: ipotesi in cui viene fatto valere un diritto soggettivo, non un interesse legittimo (da ultimo, Cass., Sez. Un., 25/09/2025, n. 26080, Punto 4 delle “Ragioni della decisione”) ed in cui, in via generale, l’azionabilità della pretesa risarcitoria – al di là dell’individuazione del giudice munito di giurisdizione: questione che qui non interessa e sulla quale v., ora, l’appena citata Cass., Sez. Un., n.26080/2025 – non presuppone un giudicato di annullamento del provvedimento amministrativo, in quanto il fondamento della domanda non è l’illegittimità dell’atto, ma la scorrettezza del comportamento della pubblica amministrazione (cfr., ancora, Cass, Sez. Un., 25/09/2025, n. 26080, cit.; in precedenza, v. Cass., Sez. Un., 28/04/2020, n.8236; Cass., Sez. Un., 19/01/2023, n. 1567). 4.1.d. Al riguardo va osservato – conformemente ad un principio reiteratamente affermato da questa Corte e ora ribadito – che l’affidamento incolpevole può essere leso anche se il procedimento amministrativo non sia sfociato nell’adozione di alcun provvedimento espresso, o nel caso di adozione di un provvedimento negativo legittimo, a conforto del fatto che le regole comportamentali operano su un piano diverso da quello della legittimità, poiché mentre queste ultime incidono sulla validità degli atti, le altre sono fonte di responsabilità (Cass, Sez. Un., 25/09/2025, n. 26080, cit., Punto 5 delle “Ragioni della decisione”; Cass., Sez. Un., 28/04/2020, n.8236, cit.; Cass., Sez. Un., 19/01/2023, n. 1567). 18 Corte di Cassazione – copia non ufficialeNe discende che, allorché – come nella fattispecie – il danno derivi dalla emanazione e dalla successiva rimozione in autotutela di un atto ampliativo illegittimo, l’azionabilità della pretesa risarcitoria non postula l’accertamento in sede giurisdizionale della legittimità di tale rimozione (la quale si presume, avuto riguardo alla già accertata illegittimità dell’atto rimosso), né evidentemente presuppone la caducazione in sede giurisdizionale dell’atto amministrativo di annullamento, dal momento che il danno di cui si invoca il risarcimento non è imputato alla lesione delle regole dell’azione amministrativa causata con tale atto, ma alla lesione della fiducia del privato sulla correttezza e legittimità di tale azione già perpetrata mediante il precedente atto, oggetto di rimozione. Il secondo motivo di ricorso, pertanto, deve essere rigettato. 5. Con il terzo motivo viene denunciata, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ.. La sentenza impugnata è censurata per avere rigettato il motivo di gravame con cui la Poiatti s.p.a. si era doluta della mancata compensazione delle spese del primo grado di giudizio e per avere il giudice dell’impugnazione omesso di compensare quelle del grado d’appello. La ricorrente, sul presupposto che l’art.92 cod. proc. civ. prevedrebbe «espressamente» la possibilità di compensare le spese di lite, oltre che in caso di soccombenza reciproca, nelle ipotesi di «novità o complessità delle questioni trattate», da un lato, critica la sentenza d’appello per aver posto a fondamento della sua condanna alle spese 19 Corte di Cassazione – copia non ufficialela ritenuta “evidente infondatezza” della domanda da essa proposta; dall’altro lato, sostiene che, nella vicenda in esame, le questioni affrontate erano senz’altro «complesse», nonché «caratterizzate da indubbie peculiarità ed estrema importanza anche sul piano economico». 5.1. Il motivo è manifestamente inammissibile. Va, infatti, ribadito – dando continuità ad un consolidato orientamento di questa Corte – che la regola che deve guidare il giudice del merito nella regolazione delle spese processuali è quella fondata sulla soccombenza (art.91 cod. proc. civ.), mentre la compensazione, parziale o totale, al verificarsi delle ragioni previste dall’art.92, secondo comma, cod. proc. civ. (nella formulazione applicabile ratione temporis), è riservata al prudente apprezzamento del giudice e trova quindi fondamento in un potere di natura discrezionale, il cui esercizio è di norma incensurabile in sede di legittimità e trova il suo unico limite nell’impossibilità di porre le spese a carico della parte totalmente vittoriosa (Cass. 24/06/2003, n. 10009; Cass. 26/11/2020, n. 26912). La compensazione delle spese non costituisce, dunque, oggetto di un diritto della parte ma integra una facoltà discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass., Sez. Un., 15/07/2005, n. 14989; Cass. 31/03/2006, n. 7607; Cas.26/04/2019, n. 11329). 20 Corte di Cassazione – copia non ufficialeNon sussistendo, dunque, un diritto della parte soccombente ad ottenere la compensazione delle spese, non è sindacabile la statuizione del giudice d’appello che – come nella fattispecie – abbia confermato la statuizione di primo grado di condanna della parte soccombente al rimborso delle spese sostenute da quella vittoriosa nel grado medesimo, oltre ad accertare il medesimo diritto con riguardo al grado d’appello. 6. In definitiva, il ricorso proposto dalla Poiatti s.p.a. va rigettato per essere inammissibili il primo e il terzo motivo e infondato il secondo. 7. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. 8. Sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
CORTE DI CASSAZIONE, III – ordinanza 20.10.2025 n. 27856