1. – Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2699 e 2700 c.c., sostenendosi che la Corte di appello abbia errato nel disattendere l’efficacia probatoria di atto pubblico del verbale di revisione del veicolo. Si assume che la Corte territoriale abbia illegittimamente conferito prevalenza alle testimonianze e alle altre prove rispetto alle risultanze di tale atto pubblico.
Il primo motivo è rigettato.
Nel passo della sentenza censurato dal primo motivo, la Corte di appello sostiene l’irrilevanza della circostanza che il veicolo avesse superato la revisione il giorno prima della vendita, poiché l’esito positivo è smentito da tutte le altre prove assunte. Ad avviso di quella Corte, ciò conferma che il venditore ha effettuato il controllo per conferire al mezzo una parvenza di idoneità al suo utilizzo.
Tale motivazione richiede di essere corretta ex art. 384 co. 4 c.p.c. Non è che l’esito positivo della revisione, in quanto prova legale, possa essere smentito da altre prove (libere) assunte. Corretto è invece il ritenere che, se è vero che il certificato di revisione fa piena prova, fino a querela di falso, di quanto direttamente verificato sul veicolo (cfr. Cass. 3426/2024), è altrettanto vero che l’oggetto di tale prova è diverso dall’oggetto delle prove libere, all’esito delle quali la Corte territoriale ha maturato il proprio convincimento sulla sussistenza di vizi del veicolo. Il certificato di revisione attesta la conformità del veicolo alle prescrizioni tecniche e alle caratteristiche costruttive e funzionali previste dalla legge, ma non ha la virtù di accertare in modo assoluto il difetto di qualsivoglia vizio, che poi in effetti nel caso attuale risulta essere emerso dopo la consegna del veicolo e sono stato accertato in giudizio.
Entro questi termini va ricondotta a piena conformità alla legge e alla logica la motivazione adottata dalla Corte di appello.
2. – Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 1490 co. 2 c.c., assumendosi che la Corte di appello abbia erroneamente disapplicato la clausola ‘visto e piaciuto’, che esonera il venditore dalla garanzia per i vizi della cosa, salvo il caso di mala fede nell’occultamento degli stessi.
Si sostiene che i vizi, se esistenti, erano riconoscibili e che non vi era prova della mala fede della venditrice. La censura colpisce la statuizione sulla non applicabilità della clausola ‘visto e piaciuto’, fondata sul volontario occultamento dei vizi da parte della venditrice, accertato sulla base di un’opera di riverniciatura della carrozzeria.
Il secondo motivo è rigettato.
La clausola ‘visto e piaciuto’ non esonera dalla garanzia per i vizi, ove questi siano stati taciuti in mala fede dal venditore e scoperti dopo l’uso della cosa. Tale è l’orientamento di questa Corte (cfr. Cass. 19061/2024 e 21204/2016) che la Corte territoriale ha correttamente applicato nel caso di specie, all’esito di un apprezzamento di merito (relativo alla riverniciatura quale strumento di occultamento) che non si espone a censure in sede di legittimità. Infatti, esso è plausibile e rispondente allo standard di prova del più probabile che non.
3. – La Corte rigetta il ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, anche ai sensi dell’art. 93 co. 3 e 4 c.p.c., avendo trovato conferma la proposta di definizione anticipata.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1-quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Cass. civ., II, ord., 21.10.2025, n. 27968