Sport – Violazione dei posti di blocco della Polizia per entrar in contatto con i tifosi avversarie applicazione del DASPO

Sport – Violazione dei posti di blocco della Polizia per entrar in contatto con i tifosi avversarie applicazione del DASPO

1. Il ricorrente ha impugnato il Daspo che gli ha applicato la Questura di -OMISSIS- per gli episodi di violenza che hanno riguardato la partita -OMISSIS- del -OMISSIS-.

Al ricorrente è stato contestato di aver forzato i posti di blocco della polizia ed aver cercato di entrare in contatto con i tifosi avversari all’entrata dello stadio Pietro Fortunati di -OMISSIS-.

Contro il suddetto atto il ricorrente ha sollevato i seguenti motivi di ricorso.

I) Violazione e falsa applicazione dell’articolo 6 c. 1 lettera a), b), c) l. 401/89 e difetto di motivazione in ordine alla partecipazione attiva agli episodi di violenza, eccesso di potere per travisamento dei fatti.

La difesa del ricorrente sostiene che durante i tafferugli il -OMISSIS- si trovava distante un centinaio di metri dal luogo del contatto, una volta giunto all’altezza dell’ingresso del settore curva sud (tifosi locali) incrociava un tifoso avversario a cui urlava di tornarsene nel proprio settore. Nessun contatto né con tifosi avversari e nemmeno con le forze dell’ordine.

Il volto non era travisato, indossava un cappellino e occhiali da sole, mentre i tifosi della -OMISSIS- hanno potuto spostarsi, indisturbati, dalla zona esterna allo stadio prossima al settore ospiti sino al parcheggio destinato alle autovetture della tifoseria dell’A.C. -OMISSIS-, ove hanno iniziato a bersagliare i tifosi avversari con oggetti di varia natura (bottiglie di vetro, sassi etc.).

Lamenta poi che al ricorrente sarebbe stato applicato un Daspo di gruppo senza accertamento della responsabilità personale.

II) Violazione degli artt. 7 e 8 l. 241/90; mancata comunicazione di avvio del procedimento amministrativo.

III) Violazione di legge ex artt. 3 e 10 l. 241/90 ed eccesso di potere per difetto di motivazione del provvedimento del questore in relazione all’ istruttoria e al principio di gradualità della sanzione.

Il ricorrente lamenta che del tutto priva di motivazione sarebbe la ragione per cui il ricorrente subisca 3 anni di DASPO ben oltre il minimo previsto dalla legge.

IV) Violazione di legge ex art. 6 l. 377/01 ed eccesso di potere per difetto ed indeterminatezza dei presupposti, in merito alle manifestazioni sportive ed ai luoghi inibiti.

Il ricorrente lamenta la mancata specificazione dei luoghi di eventi calcistici a cui non si deve avvicinare.

La difesa dello Stato ha chiesto la reiezione del ricorso.

All’udienza del 25 giugno 2025 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

2. Il ricorso è infondato.

2.1 Il primo motivo di ricorso, relativo allo svolgimento dei fatti è infondato.

Ai sensi dell’art. 6, comma 1, L. n. 401/1989 “1. Il questore può disporre il divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive specificamente indicate, nonché a quelli, specificamente indicati, interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle manifestazioni medesime, nei confronti di: b) coloro che, sulla base di elementi di fatto, risultino avere tenuto, anche all’estero, sia singolarmente che in gruppo, una condotta evidentemente finalizzata alla partecipazione attiva a episodi di violenza, di minaccia o di intimidazione, tali da porre in pericolo la sicurezza pubblica o da creare turbative per l’ordine pubblico nelle medesime circostanze di cui alla lettera a)”.

In merito alla suddetta lettera b) la giurisprudenza (TAR Piemonte, sez. I, 16 giugno 2021, n. 616) ha chiarito che «ai fini dell’adozione del provvedimento di divieto di accesso agli impianti sportivi, non è necessario l’accertamento di uno specifico fatto di reato, ma è sufficiente che il soggetto non dia affidamento di tenere una condotta scevra da episodi di violenza, avuto riguardo a specifiche circostanze (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. I, n. 2142 del 2019)».

Nel caso di specie il ricorrente non porta elementi a suffragio della sua estraneità ai fatti in questione, in quanto la tesi principale è quella per cui coloro che sono stati denunciati per aver preso parte attiva a episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa della stessa manifestazione sportiva sono stati assolti o archiviati per impossibilità di individuazione di condotte personali di reato, distinte da quelle del gruppo dei tifosi del -OMISSIS-, oppure i provvedimenti di d.a.spo. con obbligo di firma comminati ad altri soggetti non sono stati convalidati per mancanza del doppio requisito che la condotta sia “finalizzata alla partecipazione attiva a episodi di violenza” e che tale finalizzazione sia “evidente”.

Per quanto riguarda gli atti di mancata convalida dei d.a.spo., occorre rilevare che il provvedimento che ha riguardato il ricorrente è diverso e meno severo degli altri depositati in giudizio, in quanto si tratta di un d.a.spo. semplice, senza provvedimenti limitativi della libertà personale. Il giudizio espresso dal giudice penale non è quindi automaticamente riproducibile nel presente giudizio.

Dal confronto con tali atti risulta poi che il giudice penale ha rivelato la mancata integrazione della condotta del c.d. d.a.spo. preventivo sulla base di una motivazione dell’atto questorile diversa da quella utilizzata nel caso in giudizio.

Infatti gli atti di convalida fanno riferimento a tentativi di entrare in contatto con i tifosi avversari, di evitare il cordone di polizia impegnato ad arginare lo scontro e di intenzione di raggiungere i tifosi, mentre nel nostro caso si fa riferimento all’avvenuta forzatura del presidio di polizia e del solo tentativo di entrare in contatto con i tifosi avversari.

La difesa del ricorrente riporta che: “durante i tafferugli si trovava distante un centinaio di metri dal luogo del contatto, una volta giunto all’altezza dell’ingresso del settore curva sud (tifosi locali) incrociava un tifoso avversario a cui urlava di tornarsene nel proprio settore”.

Da tale presunta ed ammessa condotta risultano sussistenti sia il presupposto dell’esistenza di “elementi di fatto”, che chiaramente non possono avere la precisione e la completezza del fatto di reato, in quanto il ricorrente è stato parte del gruppo dei tifosi che hanno partecipato alla commistione tra opposte tifoserie, sia pur non in prima linea, in contrasto con gli ordini dell’autorità di pubblica sicurezza e di quelle sportive che vogliono garantire l’assoluta separazione tra le opposte tifoserie prima, durante e dopo la partita.

Circa la finalizzazione evidente alla partecipazione attiva a episodi di violenza è chiaro che la confusione tra le opposte tifoserie, consistente nell’utilizzo del varco aperto per raggiungere i tifosi della vogherese, alla quale il ricorrente ha partecipato, come dimostrato dal fatto che ha incontrato tifosi avversari, costituisce condotta attiva prodromica alla possibilità che si possano poi svolgere tafferugli.

Né in senso opposto può valere l’affermazione per cui il ricorrente si trovava vicino all’entrata dei tifosi locali in quanto, secondo la relazione della Questura, “i tifosi ospiti per accedere all’impianto sportivo devono transitare su l’unico ponte carraio presente, il quale collega via Repubblica con via Alzaia. I mezzi utilizzati dai tifosi ospiti devono così percorrere tale ponte ed inevitabilmente transitare nei pressi nel parcheggio destinato alla tifoseria locale”. Inoltre, secondo la suddetta relazione, non contestata sul punto “la scena che vede presente il ricorrente risulta essere accaduta fuori dal perimetro dedicato al tifo locale, protetto da recinzioni, che evidentemente sono state aggirate dal ricorrente per partecipare agli scontri, anche in considerazione del fatto che i luoghi oggetti degli scontri sono perfettamente visibili dall’interno dell’area di rispetto, allestita per la tifoseria locale”. Ne consegue che la tesi del ricorrente di essere per caso trovato a contatto con tifosi ospiti vicino all’entrata dei tifosi locali non è credibile.

Deve quindi ritenersi sussistente una condotta evidentemente finalizzata alla partecipazione attiva a episodi di movimenti di gruppo tali da porre in pericolo la sicurezza pubblica, sebbene non integranti un pericolo così serio da giustificare la limitazione della libertà personale.

2.2 Il secondo motivo, relativo alla mancanza di comunicazione di avvio del procedimento per mancanza dei requisiti d’urgenza dimostrata dal fatto che il d.a.spo. è stato notificato circa venti giorni dopo, è infondato.

In merito la giurisprudenza (Tar Sicilia, Palermo, sez. IV, 13 giugno 2024, n. 1960) si orienta condivisibilmente nel senso di ritenere che la misura del “Daspo” non debba essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento, stante le esigenze di celerità intrinseche alla stessa natura preventiva del provvedimento, finalizzate ad evitare ulteriori probabili turbative per l’ordine e la sicurezza pubblica, trattandosi per l’appunto di misura connotata dalla necessità e dall’urgenza di porre rimedio al succedersi delle manifestazioni sportive calendarizzate e all’esigenza di garantire l’ordine pubblico.

Nel caso di specie l’urgenza non è esclusa dal fatto che siano decorsi circa venti giorni tra i fatti ed il provvedimento in quanto la decisione è fondata su un giudizio prognostico di pericolosità rivolto al futuro e, comunque, lo iato temporale denunciato è giustificabile con le esigenze di accertamento dei fatti legate ad un fenomeno collettivo qual è stato quello in questione, che richiede la visione e l’analisi delle registrazioni video.

2.3 Anche la contestazione relativa alla durata triennale del provvedimento è infondata in quanto

l’art 6 comma 5 della Legge 401/90 prevede una forbice edittale che va da un minimo di un

anno ad un massimo di cinque anni.

Nel caso di specie l’adozione di un divieto triennale non risulta sproporzionato sia rispetto ai fatti che al pericolo della condotta, in quanto si colloca in linea mediana rispetto alla forbice edittale e si tratta di fatti che sono stati accompagnati da episodi di violenza.

2.4 Da ultimo il ricorso è infondato anche con riferimento alla presunta genericità del divieto in quanto l’espressione usata nel provvedimento, di uso comune per questi tipi di atti, permette di risalire per relationem a tutte le manifestazioni sportive calcistiche dei professionisti e dei dilettanti che saranno svolte sul territorio italiano, nonché sul territorio degli altri stati appartenenti

all’Unione Europea, ivi comprese luoghi limitrofi a strutture sportive per il tempo delle suddette manifestazioni e tempi strettamenti connessi.

3. In definitiva quindi il ricorso va respinto.

4. Sussistono giustificati motivi per compensare le spese di lite tra le parti.

TAR LOMBARDIA – MILANO, I – sentenza 20.10.2025 n. 3316

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