Procedimento – Motivazione dell’atto amministrativo ed integrazione postuma in giudizio

Procedimento – Motivazione dell’atto amministrativo ed integrazione postuma in giudizio

A) La società Publicittà s.r.l., operante nel settore della realizzazione e gestione di impianti pubblicitari, espone di avere presentato al Comune di Palermo, in data 3 giugno 2020 e 18 agosto 2020, due distinte istanze volte ad ottenere l’autorizzazione all’installazione di impianti pubblicitari su aree private.

La prima riguardava dieci impianti del formato poster dalle dimensioni di 6×3 m da collocare in Via Pecoraino, Via dell’Orsa Minore, Viale Regione Siciliana e Via Lanza di Scalea; la seconda aveva ad oggetto quattro impianti dello stesso tipo da installare in Via Antonino Laudicina.

Decorso inutilmente il termine di sessanta giorni fissato dal Regolamento comunale sulla pubblicità per la conclusione del procedimento, la società, con istanza dell’8 agosto 2023, ha sollecitato l’Amministrazione a pronunciarsi, qualificando la richiesta come atto di “riattivazione” del procedimento ai sensi dell’art. 31, comma 2, c.p.a..

Anche tale sollecito è rimasto privo di riscontro, sicché l’impresa ricorrente, con atto introduttivo notificato il 4 ottobre 2024 e depositato il giorno 11 seguente, ha adito questo Tribunale per far dichiarare l’illegittimità del silenzio serbato dall’Amministrazione, nonché per ottenere l’accertamento dell’obbligo di concludere i procedimenti, con eventuale nomina di un commissario ad acta ex art. 117 c.p.a..

Nelle more del giudizio il Comune di Palermo ha adottato i preavvisi di diniego notificati il 22 novembre 2024 e, successivamente, con le note prot. nn. 1720737 e 1720735 del 6 dicembre 2024 i provvedimenti conclusivi espressi di diniego e archiviazione delle istanze della società ricorrente.

La motivazione del diniego è stata ricondotta all’art. 44 del Piano Generale degli Impianti Pubblicitari, che stabilisce un tetto massimo di 20.000 mq per le installazioni su suolo privato che, a dire dell’Amministrazione, risultava già superata sulla base dei dati del censimento comunale del 2011, dal quale emergeva un’occupazione di suolo pari a circa 20.738 mq.

La società, con proprie controdeduzioni del 29 novembre 2024, aveva contestato l’uso di tale dato istruttorio risalente e ormai inattuale, facendo presente come nel frattempo fossero intervenuti provvedimenti di decadenza e la dismissione di numerosi impianti da parte di altre ditte (tra le quali la Damir s.r.l. e la Alessi) tali da incidere sensibilmente sulla superficie complessivamente occupata.

Avverso i suddetti dinieghi, la ricorrente ha quindi proposto motivi aggiunti (notificati il 7 febbraio 2025), nei quali ha articolato le seguenti censure:

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 2 l. 241/1990 e art. 13 l.r. Sicilia 7/2019, per mancata conclusione del procedimento nei termini e per eccessivo ritardo nell’adozione del provvedimento espresso;

2) violazione degli artt. 10 e 10-bis l. 241/1990, per mancata considerazione delle osservazioni presentate a seguito dei preavvisi di rigetto;

3) eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei presupposti di fatto, avendo il Comune fondato il diniego su dati ultradecennali (censimento 2011), senza svolgere un aggiornamento istruttorio e pur avendo ammesso, nelle proprie difese, l’esistenza di un nuovo monitoraggio in itinere;

4) violazione del Regolamento comunale sulla pubblicità, per avere l’Amministrazione utilizzato un criterio non attuale e dunque in contrasto con l’art. 36 ss. del Regolamento, che impone un costante aggiornamento del Piano Generale degli Impianti;

5) violazione del principio di proporzionalità e di buon andamento ex art. 97 Cost. in quanto il diniego generalizzato, fondato su dati non aggiornati, ha determinato un’inibizione ingiustificata dell’attività economica della società ricorrente.

Il Comune di Palermo, costituitosi in giudizio, ha difeso la legittimità dei provvedimenti impugnati, sostenendo che non poteva prescindere dal limite quantitativo fissato dal Regolamento comunale e che, nelle more del completamento della nuova mappatura degli impianti, non era possibile rilasciare ulteriori autorizzazioni.

Con ordinanza collegiale n. 120 del 13 marzo 2025, la domanda cautelare è stata accolta con sospensione dell’efficacia dei dinieghi impugnati.

Con successiva sentenza non definitiva n. 953 del 5 maggio 2025, è stata dichiarata la cessazione della materia del contendere in relazione al ricorso introduttivo avverso il silenzio, poiché nelle more l’Amministrazione comunale aveva adottato i provvedimenti espressi di diniego, con rinvio al definitivo della regolazione delle spese.

All’udienza pubblica del giorno 11 giugno 2025, la causa è stata trattenuta in decisione.

B) Rimane oggetto del presente giudizio l’esame dei provvedimenti di diniego del 6 dicembre 2024, impugnati con i motivi aggiunti.

Il ricorso per motivi aggiunti è fondato, nei sensi di seguito chiariti.

Il Comune di Palermo ha giustificato il rigetto delle istanze di autorizzazione richiamando esclusivamente il limite quantitativo dei 20.000 mq di superficie massima assentibile, così come stabilito dall’art. 44 del Piano Generale degli Impianti Pubblicitari e per sostenere l’avvenuto superamento di tale soglia si è limitato a fare riferimento ai dati del censimento comunale del 2011, secondo cui la superficie già occupata ammonterebbe a circa 20.738 mq.

Tale criterio istruttorio sul quale si fonda la motivazione dei provvedimenti impugnati appare inadeguato.

La giurisprudenza amministrativa è costante nel ritenere che il provvedimento negativo debba poggiare su un’istruttoria attuale e congruente, non potendo l’Amministrazione fondare le proprie determinazioni su dati palesemente obsoleti.

È stato recentemente ribadito che l’attività istruttoria deve essere proporzionata alla rilevanza del potere esercitato e deve fondarsi su accertamenti aggiornati; l’omesso sopralluogo o l’uso di dati superati integra vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 7 febbraio 2024, n. 1245).

Tale principio trova applicazione nel caso di specie, dove la stessa Amministrazione resistente ha riconosciuto, nelle proprie difese, che è in corso un nuovo monitoraggio volto alla mappatura degli impianti, affidato a società esterna, la cui conclusione consentirà, soltanto in futuro, di avere contezza dei dati reali.

Da ciò discende una evidente contraddizione logica: mentre l’ufficio tecnico ha fondato il diniego su dati ultradecennali, la difesa comunale ha ammesso di non essere in grado, allo stato, di fornire un riscontro effettivo circa la disponibilità di superficie assentibile.

Parimenti, non può ritenersi consentita una integrazione postuma della motivazione nel corso del giudizio, poiché la motivazione e il provvedimento devono stare insieme, non potendo la prima essere successivamente ricostruita in sede processuale. L’indirizzo maggioritario della giurisprudenza amministrativa infatti è orientato nel senso che “il difetto di motivazione nel provvedimento non può essere in alcun modo assimilato alla violazione di norme procedimentali o ai vizi di forma […] e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile…” (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 27 aprile 2021, n. 3385; ex plurimis, Consiglio di Stato, III, 7 aprile 2014, n. 1629; VI, 22 settembre 2014, n. 4770; III, 30 aprile 2014, n. 2247; V, 27 marzo 2013, n. 1808).

Ne discende che il Comune non può giustificare in questa sede i propri provvedimenti mediante richiami a circostanze istruttorie sopravvenute o a verifiche in itinere non ancora concluse.

Alla luce della fondatezza delle censure accolte in ordine al difetto di istruttoria e di motivazione, devono ritenersi assorbiti gli ulteriori profili di doglianza dedotti dalla società ricorrente, riguardanti la mancata conclusione del procedimento nei termini e per l’eccessivo ritardo nell’adozione del provvedimento espresso, l’omessa e comunque inadeguata considerazione delle osservazioni presentate a seguito dei preavvisi di rigetto e la violazione del contraddittorio procedimentale.

Tali censure, pur astrattamente rilevanti, non richiedono una trattazione autonoma, atteso che la fondatezza delle doglianze principali già determina l’illegittimità dei provvedimenti impugnati e impone l’accoglimento del ricorso e, per l’effetto, il loro annullamento, con conseguente obbligo per l’Amministrazione comunale resistente di riattivare il procedimento e di pronunciarsi nuovamente sulle istanze alla luce di un’istruttoria attuale, completa e congruamente motivata, tenendo conto di eventuali provvedimenti di decadenza di altre concessioni e delle superfici effettivamente libere.

C) Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

TAR SICILIA – PALERMO, IV – sentenza 16.10.2025 n. 2251

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