1.1) Con l’atto introduttivo del giudizio la ricorrente ha impugnato le determinazioni specificate in epigrafe, deducendone l’illegittimità per i motivi seguenti:
I) Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 nonies legge n. 241/1990; eccesso di potere per travisamento dei fatti;
II) Violazione ed elusione di giudicato; in subordine violazione del principio dell’effetto conformativo del giudicato; eccesso di potere;
III) Violazione dell’art. 2, comma 8 bis, legge n. 241/1990; in subordine inefficacia;
IV) In subordine, violazione dell’art. 21 nonies legge n. 241/1990 sotto altro profilo;
V) In subordine, violazione dell’art. 3 della legge reg. n. 7/2019; eccesso di potere per contraddittorietà; travisamento dei fatti;
VI) Eccesso di potere per travisamento dei fatti; istruttoria errata;
VII) Violazione dell’art. 21 nonies legge n. 241/1990 sotto altro profilo.
1.2) Per quanto concerne i fatti oggetto del decidere ha esposto di essere comproprietaria insieme al fratello (per acquisto iure hereditario)di un fabbricato nel territorio di Bagheria, via Mongerbino n. 8/b; identificato catastalmente al Foglio 1, part. 607, sub. 1; realizzato in forza di Concessione edilizia n. 122/78.
In particolare mercé tale C.E., rilasciata dal Comune intimato al costruttore e primo proprietario del fabbricato, era stata autorizzata la costruzione di un fabbricato costituito da un’elevazione fuori terra e da uno scantinato.
La ricorrente ha aggiunto poi che, dopo la realizzazione di un’ulteriore e mai autorizzata elevazione fuori terra, si è aperto un contenzioso tra le parti dell’odierno giudizio, tanto in sede amministrativa, che penale.
Per l’esattezza, in sede amministrativa sono stati adottati: a) un provvedimento di annullamento in autotutela di detta C.E., in quanto rilasciata in difformità al vincolo d’inedificabilità assoluta, di cui all’art. 15 legge reg. n. 78/1976; b) un’ordinanza di demolizione dell’intero fabbricato (sia delle opere autorizzate inizialmente che delle superfetazioni abusive); provvedimenti però entrambi annullati in sede giurisdizionale.
Infatti, un primo giudizio, concernente l’impugnazione dell’annullamento del titolo edilizio, si è concluso con sentenza di questo Tribunale (T.A.R.S. Palermo, Sez. III, sent. 24.05.2006, n. 996) passata in giudicato per mancata impugnazione, di annullamento del provvedimento gravato in considerazione della mancata esplicitazione nel testo della sua motivazione dell’interesse pubblico, diverso dal mero interesse al ripristino della legalità, a fondamento del medesimo; nonché per l’omissione del doveroso giudizio di bilanciamento tra gli interessi contrapposti circa l’adozione dell’atto di secondo grado, da un canto l’interesse pubblico alla demolizione del manufatto abusivo, dall’altro quello privato al mantenimento in essere dello stesso.
L’ordinanza di demolizione, di cui al precedente punto b), è stata invece annullata parzialmente con sentenza resa dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana (C.G.A.R.S., Sez. Giur., sent. 02.03.2007, n. 95); per l’esattezza limitatamente alla parte in cui l’Amministrazione intimata aveva ingiunto la demolizione, insieme con le superfetazioni abusive, anche dei manufatti già assentiti con C.E. n. 122/78.
Parallelamente, in ambito penale, un giudizio per abusivismo edilizio si è chiuso con sentenza del Pretore di Bagheria n. 410/1980 di assoluzione con la formula perché il fatto non sussiste.
La ricorrente ha aggiunto altresì di aver presentato in data 16.11.2018, al fine di ottemperare alla suddetta ingiunzione di demolizione nella parte non caducata, una S.C.I.A. – esattamente la S.C.I.A. n. 95/2018 – con allegato parere soprintendizio favorevole, per la rimessione in pristino delle opere, in modo da renderle conformi alla Concessione edilizia.
Tuttavia il Comune di Bagheria ha ritenuto d’intervenire nuovamente in autotutela, disponendo per la seconda volta l’annullamento del titolo edilizio, questa volta per la duplice ragione che, al netto della riduzione in pristino di cui a tale Segnalazione certificata, il fabbricato della ricorrente presentava ancora delle difformità essenziali rispetto a quanto assentito con Concessione edilizia; e che al mantenimento in essere del medesimo ostava, in ogni caso, il vincolo d’inedificabilità già richiamato.
2) Costituitasi in giudizio anche l’Amministrazione intimata, con successivo ricorso per motivi aggiunti incardinato ritualmente dinanzi questo Tribunale, la ricorrente ha domandato, previa sospensione in via cautelare dell’efficacia, la declaratoria di nullità ovvero l’annullamento della ordinanza di demolizione pedissequa al nuovo provvedimento di annullamento in autotutela del titolo edilizio, deducendone l’illegittimità, oltre che in via derivata da quella del provvedimento già gravato, per i seguenti vizi propri:
I) Violazione ed elusione di giudicato; violazione del principio dell’effetto conformativo del giudicato;
II) Violazione e falsa applicazione dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001; violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del d.P.R. n. 380/2001 come recepito dall’art. 12 della legge reg. n. 16/2016; mancato superamento della soglia del 20% tra il volume autorizzato e quello realizzato; mancanza dei presupposti per l’emissione dell’ordinanza di demolizione; violazione e falsa applicazione della legge reg. n. 37/1985 e violazione dei principi che regolano l’applicazione dell’istituto del condono edilizio;
III) Difetto di motivazione; errata istruttoria; motivazione contraddittoria.
3) Ad esito della camera di consiglio del 23.10.2024 è stata adottata l’ordinanza cautelare n. 567/2024, con cui, avendo rilevato che era stata ingiunta la demolizione, oltre che di nuove ed ulteriori superfetazioni abusive, anche del corpo di fabbrica autorizzato con C.E. n. 122/78, questo Tribunale ha sospeso l’efficacia degli atti gravati soltanto rispetto a quest’ultimo aspetto.
Infine, all’udienza pubblica del 24.09.2025, ascoltati i difensori delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione.
4.1) Il Tribunale ritiene opportuno premettere all’esposizioni delle ragioni, che lo hanno portato ad accogliere parzialmente il gravame, integrato da motivi aggiunti, della ricorrente, una breve premessa sul valore e gli effetti del giudicato.
Le locuzioni giudicato o cosa giudicata sono predicati, che accompagnano la pronunzia giurisdizionale nei cui confronti non sia più esperibile alcun mezzo d’impugnazione ordinaria previsto dalla legge.
Dal giudicato derivano alcuni effetti peculiari, primo fra tutti il cd. effetto costitutivo grazie al quale la decisione di annullamento degli atti impugnati – ormai passata in cosa giudicata – caduca i medesimi, eliminandoli con effetti ex tunc.
A tale effetto si accompagna l’ulteriore conseguenza, il cd. effetto preclusivo, d’inibire all’Amministrazione di riemanare l’atto con gli stessi vizi già rilevati nella decisione passata in cosa giudicata.
Inoltre, dal giudicato scaturisce anche il cd. effetto conformativo, il quale implica che l’Amministrazione, nell’utilizzare nuovamente i poteri di cui è titolare, è tenuta ad attenersi alla regola sul corretto esercizio dei medesimi fissata dal giudice accertando l’illegittimità del provvedimento pregresso e le ragioni, che la hanno provocata.
Al riguardo di quest’ultimo punto è ormai incontroverso in giurisprudenza che tale regola di azione pro futuro deve essere dedotta non solo da quanto è stato esplicitato expressis verbis nel dispositivo di una sentenza, ma dall’intero contenuto precettivo, che è possibile evincere dalla stessa e, in particolare, da quanto è dato desumere dal contenuto della sua motivazione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, sent. 23.04.2013, n. 2260; Cons. Stato, Sez. IV, sent. 10.04.1998, n. 565; Cons. Stato, Sez. V, sent. 01.04.1996, n. 328; Cons. Stato, Sez. IV, sent. 30.09.1995, n. 779; Cons. Stato, Sez. IV, sent. 07.03.1194, n. 219; Cons. Stato, Sez. V, sent. 20.05.1993, n. 606).
4.2) Come rilevato in premessa, la vicenda oggetto del decidere è il corollario di alcune decisioni giurisdizionali precedenti passate in giudicato, una delle quali è la sentenza di questo Tribunale n. 996/2006, avente ad oggetto il pregresso provvedimento di annullamento del titolo edilizio per incompatibilità con il vincolo d’inedificabilità assoluta dei suoli ex art. 15 legge reg. n. 78/1976.
Nella motivazione di tale sentenza si legge testualmente quanto segue: <<Con il secondo motivo si deduce eccesso di potere e difetto di motivazione in relazione all’esercizio del potere di autotutela: lamenta, in particolare, la parte ricorrente che l’amministrazione non abbia proceduto alla “comparazione tra detto generale e generico pubblico interesse e quello, consolidato dal tempo, del privato”. La censura è fondata. Il provvedimento impugnato ha annullato in autotutela una concessione edilizia, rilasciata quattordici anni prima, a seguito di un intervento ispettivo che ha accertato che l’immobile assentito ricade nella fascia di inedificabilità di cui all’art. 15 della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78. La motivazione del provvedimento impugnato è la seguente: “Ritenuto l’esistenza dell’interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento della concessione di cui trattasi al fine della salvaguardia e della fruizione di un bene ambientale di particolare interesse”. Siffatta motivazione non individua l’interesse pubblico specifico, ulteriore rispetto al generico interesse al ripristino della legalità, che giustifica la rimozione del provvedimento amministrativo rilasciato ben quattordici anni prima: il semplice richiamo alla valenza ambientale della fascia costiera è infatti, in assenza di più specifiche precisazioni sulle peculiarità del singolo sito, già insito nella disposizione normativa che impedisce l’edificazione a una distanza inferiore a metri centocinquanta dalla linea di battigia (richiamata nelle premesse del provvedimento). Data la non conformità della concessione edilizia a tale parametro normativo, l’amministrazione comunale avrebbe potuto procedere all’esercizio del potere di autotutela solo dando conto dell’esistenza di un interesse pubblico tale da legittimare la rimozione del provvedimento ormai da tempo consolidatosi. Inoltre, l’amministrazione non ha neppure operato una comparazione tra l’interesse all’annullamento, e l’opposto interesse del titolare della concessione edilizia al mantenimento della stessa, avuto riguardo al notevole lasso di tempo trascorso dal momento del rilascio del provvedimento. Il ricorso va dunque, per questa parte, accolto, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato>> (in effetti le altre deduzioni prospettate in gravame sono state rigettate dal Tribunale).
5.1) Riesercitando i suoi poteri di autotutela l’Amministrazione intimata ha annullato nuovamente il titolo edilizio con il provvedimento oggi gravato, la cui motivazione è bene riportare:
<<Ritenuto lo “stato attuale post operam” (si tratta dei lavori di riduzione in pristino del manufatto comunicati con S.C.I.A. n. 95/2018), difforme dal grafico allegato all’originaria Concessione Edilizia n. 122/78, poiché l’organismo edilizio si presenta a tutt’oggi integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetrice, strutturali e paesaggistiche dal progetto assentito ed al quale la fabbrica doveva essere ricondotta; Ritenuto che alla luce delle superiori conclusioni anche la Concessione Edilizia originariamente n. 122/78, per la costruzione di un villino da sorgere in località Mongerbino debba essere annullata in autotutela per insanabile difformità totale dell’intero edificio e sistema edilizio realizzato;…Accertato che nel PRG vigente, l’immobile ricade in Z.T.O. contraddistinta con il simbolo E/1: parti del territorio destinate ad uso agricolo, all’interno della fascia dei mt 150 dalla battigia, regolamentata dall’art. 59 delle N.T.A. allegate al P.R.G., relativo alle aree per la diretta fruizione del mare, con vincolo di inedificabilità assoluta, ai sensi dell’art. 15 lett. a) della L.R. 78/76…Annulla in autotutela la Concessione Edilizia n. 122/78 del 30.12.1978 e gli effetti di cui alla SCIA registrata al n. 95/18 del 19.11.2019>>.
5.2) Orbene, il gravame avverso il suddetto provvedimento risulta fondato sotto plurimi profili, in particolare parzialmente in relazione al primo motivo del ricorso introduttivo del giudizio ed in ogni caso rispetto al secondo ed all’ultimo motivo.
Invero, con il primo motivo è stato dedotto che il potere di annullamento in autotutela, per essere correttamente esercitato, deve assumere a proprio presupposto diversi e concomitanti fattori quali l’originaria illegittimità del provvedimento di primo grado; l’esistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale, diverso da quello al mero ripristino della legalità, a supporto dell’annullamento del pregresso provvedimento amministrativo; interesse pubblico, quest’ultimo, da bilanciare con il contrapposto interesse del privato alla non-caducazione dell’atto, anche alla luce dell’affidamento riposto sulla legittimità dell’atto di primo grado.
Nel caso oggetto del decidere la determinazione assunta dall’Amministrazione intimata non sarebbe conforme a tale paradigma in quanto a) nell’atto gravato non è stato specificato l’interesse pubblico effettivo da tutelare mercé l’esercizio del potere di annullamento; b) non si è tenuto alcun conto del contrapposto interesse del privato, ormai consolidatosi in considerazione del lungo lasso di tempo (cinquant’anni) intercorso tra l’adozione del provvedimento di primo grado ed il suo annullamento, al mantenimento in essere delle opere realizzate in forza della C.E. n. 122/78.
Nessuna delle giustificazioni a fondamento dell’atto gravato sarebbe invero sufficiente ad assolvere gli incombenti motivazionali testé descritti; di certo non la prima, concernente la difformità tra il fabbricato esistente e quello a suo tempo assentito, la quale avrebbe consentito al massimo l’esercizio dei poteri repressivi previsti in materia edilizia. Di talché la differente scelta dell’Amministrazione intimata di annullare in autotutela il titolo edilizio per “sanzionare” gli abusi constatati, costituirebbe un chiaro sviamento di potere, dovuto all’esercizio del potere di annullamento in autotutela per il perseguimento delle finalità peculiari del diverso potere d’ingiunzione di demolizione.
Anche la seconda di tali giustificazioni, attinente il vincolo d’inedificabilità assoluta gravante sui luoghi, non sarebbe sufficiente a fondare le determinazioni gravate, dal momento che l’Amministrazione – nell’esporla – si sarebbe limitata a richiamare la non-conformità dell’opera rispetto alla disciplina urbanistico/edilizia, omettendo di esplicitare l’interesse pubblico, diverso da quello al mero ripristino della legalità, fondamento delle sue determinazioni.
Sotto altro e concorrente profilo la ricorrente ha dedotto poi che l’Amministrazione avrebbe dovuto valutare la circostanza della data di realizzazione dei manufatti – per le parti costruite in forza dell’originario titolo edilizio – risalente ad un momento in cui la concreta efficacia del vincolo d’inedificabilità ex art. 15 legge reg. n. 78/1976 era subordinata al previo recepimento nei P.R.G. dei Comuni interessati; circostanza, che non si era verificata nel caso oggetto del decidere.
Infine la ricorrente ha prospettato che, in ogni caso, l’annullamento della C.E. è stato disposto “fuori termine”, cioè oltre il termine di dodici mesi previsto a tale scopo dall’art. 21 nonies, legge n. 241/1990.
Con il secondo, così come con l’ultimo motivo, è stato dedotto invece che l’Amministrazione avrebbe violato sia il vincolo preclusivo, che quello conformativo discendenti dalle pronunzie precedenti del giudice amministrativo, riproponendo con il nuovo annullamento della C.E. la stessa giustificazione già posta a fondamento del precedente provvedimento di annullamento caducato da questo Tribunale con la sentenza n. 996/2006; reiterando così nell’esercizio del potere di annullamento gli stessi vizi, che avevano portato il Tribunale ad una decisione di annullamento ed omettendo i doverosi incombenti motivazionali, chiaramente indicati nella motivazione di tale pregressa decisione.
5.3) I suddetti motivi, che è possibile esaminare congiuntamente in considerazione dell’evidente connessione tra gli stessi, sono fondati per le considerazioni che seguono.
In disparte il profilo attinente l’aspetto meramente programmatico del vincolo d’inedificabilità ex art. 15 legge reg. n. 78/1976 prima del suo recepimento formale nel P.R.G. comunale, il dedotto profilo di eccesso di potere per sviamento è senz’altro fondato alla luce di quanto chiarito dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in una sua recente decisione: “È illegittimo il provvedimento di annullamento in autotutela del titolo edilizio adottato dal Comune in ragione della riscontrata inottemperanza, in seguito alla realizzazione dell’opera, delle condizioni poste. L’inottemperanza, infatti, rende illegittimo non il titolo in sé, bensì la costruzione per come effettivamente realizzata, che può essere eventualmente conformata al titolo edilizio attraverso l’esercizio dei poteri repressivi, realizzandosi in tal modo l’interesse pubblico in aderenza ai canoni di ragionevolezza, proporzionalità e del cd. minimo mezzo” (cfr. C.G.A.R.S., Sez. Giur., sent. 09.06.2025, n. 447 ed in senso conforme Cons. Stato, Sez. VI, sent. 27.01.2020 n. 632).
Del pari fondata si dimostra la censura tesa ad evidenziare la violazione degli effetti scaturenti dal pregresso giudicato tra le parti.
Come visto, in sede di prime cure il giudice ha desunto espressamente l’illegittimità della prima determinazione di annullamento in autotutela della C.E. n. 122/78 dalla considerazione che la semplice constatazione della realizzazione di un manufatto in zona gravata da vincolo di inedificabilità non è da sola sufficiente a sorreggere la caducazione del titolo edilizio, incombendo sulla P.A. il dovere di esplicitare l’interesse pubblico (diverso da quello al ripristino della legalità) a fondamento delle sue determinazioni; nonché di chiarire le ragioni per le quali il medesimo è da considerare prevalente sul contrapposto interesse del privato al mantenimento in essere delle opere.
Infine, è altrettanto fondata l’ulteriore deduzione della ricorrente sulla tardività dell’esercizio del potere di secondo grado da parte dell’Amministrazione intimata.
Invero, fin dall’inizio tutte le peculiarità della situazione di fatto oggetto del decidere erano ben note al Comune di Bagheria, il quale avrebbe dovuto attivarsi tempestivamente per intervenire in secondo grado sul titolo edilizio, non esistendo alcuna valida ragione per postergare l’esercizio del potere in discorso.
Risultano calzanti alla fattispecie di causa le considerazioni fatte dal Consiglio di Stato in un caso analogo all’odierno: “Il mancato rispetto del termine di cui all’art. 21 nonies, comma 1 (legge n. 241/1990) non intercetta l’esimente del successivo comma 2 bis in considerazione della circostanza che l’elemento non dichiarato dalla parte privata in seno all’istanza – ossia la presenza di un vincolo di inedificabilità assoluta – non riguardava aspetti non conosciuti dal Comune, ma, diversamente, un elemento essenziale dell’istruttoria, ossia il vincolo paesaggistico sull’area, la cui presenza era ben nota al Comune e che l’attività della fase endoprocedimentale avrebbe dovuto agevolmente rilevare. La mancata dichiarazione della presenza del vincolo si rivelava, pertanto, del tutto neutra rispetto agli obblighi endoprocedimentali del Comune. Ne discende l’inidoneità dell’omessa dichiarazione della presenza del vincolo a spostare in avanti il termine di adozione dell’atto di autotutela voluto dall’art. 21 nonies citato” (Cons. Stato, Sez. VI, sent. 26.02.2025, n. 1702, in Urbanistica e appalti, 2025, fasc. 4, pag. 463 ss.).
5.4) Anche il terzo, il quarto ed il quinto motivo del ricorso principale possono essere esaminati congiuntamente, attenendo, tutte, ai profili d’illegittimità, da cui sarebbero affette le determinazioni gravate nell’aver disposto l’annullamento in autotutela della S.C.I.A. edilizia n. 95/18.
Entrando nello specifico, la ricorrente ha dedotto in primo luogo che l’adozione delle suddette determinazioni, quando i termini, di cui all’art. 19 legge n. 241/1990, per intervenire sulla sua Segnalazione certificata erano già decorsi, implicherebbe l’inefficacia ex lege del provvedimento comunale impugnato, stante quanto espressamente disposto per tal genere di fattispecie dall’art. 2, comma 8 bis, della medesima legge.
In secondo luogo sono state lamentate anche rispetto all’intervento in autotutela sulla S.C.I.A. le stesse carenze motivazionali prospettate con riguardo all’annullamento della Concessione edilizia.
Infine, mercé il quinto motivo è stata dedotta tanto la violazione della disciplina legislativa sulla motivazione dei provvedimenti amministrativi, quanto l’eccesso di potere, vizi provocati – a dire della ricorrente – dal fatto che l’Amministrazione intimata non avrebbe considerato che l’abbattimento di un manufatto abusivo in forza di un provvedimento repressivo ormai definitivo è un atto doveroso per il privato, rispetto al quale non è ravvisabile l’esercizio di poteri discrezionali da parte della P.A. Pertanto la S.C.I.A. presentata dalla ricorrente, avendo soltanto finalità informative e non essendo propedeutica alla formazione di alcun titolo edilizio, non sarebbe suscettibile di annullamento in secondo grado.
5.5) A giudizio del Tribunale proprio quest’ultimo profilo di gravame, prospettato con il quinto motivo del ricorso introduttivo, si dimostra fondato, con assorbimento delle ulteriori deduzioni d’illegittimità sopra richiamate.
Invero, nella Regione Siciliana gli interventi edilizi finalizzati alla demolizione dei manufatti abusivi ricadono nel regime della cd. edilizia libera (cfr. art. 3, comma 1, lett. ad), legge reg. n. 16/2016). Pertanto le Segnalazioni certificate inoltrate ai fini dell’esecuzione di tal genere d’intervento edilizio hanno in effetti funzione meramente informativa.
6) Anche il sesto motivo di gravame, con cui è stata lamentata la mancata ponderazione delle controdeduzioni endoprocedimentali presentate dalla ricorrente dopo la comunicazione di avvio del procedimento di annullamento, può ritenersi assorbito stante l’accoglimento dei superiori motivi di annullamento.
7.1) L’accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio implica anche l’accoglimento della deduzione d’illegittimità in via derivata dell’ordinanza di demolizione impugnata con motivi aggiunti, nella parte in cui, per suo tramite, l’Amministrazione intimata ha ingiunto, per l’appunto, la demolizione dei manufatti realizzati in conformità con la C.E. n. 122/78.
7.2) In ordine alle ulteriori deduzioni d’illegittimità prospettate nell’atto per motivi aggiunti, le stesse devono essere dichiarate assorbite ovvero infondate.
In particolare, devono essere dichiarate assorbite le deduzioni difensive, di cui al primo di tali motivi aggiunti, con cui la ricorrente ha prospettato l’illegittimità dell’ingiunzione di demolizione gravata in quanto adottata senza tener conto degli effetti inibitori e conformativi corollario del passaggio in cosa giudicata della sentenza del C.G.A.R.S. n. 95/2007, dal momento che le deduzioni in discorso attengono al medesimo profilo d’illegittimità delle determinazioni gravate (illegittimità dell’ordine di riduzione in pristino nel punto relativo al corpo di fabbrica realizzato in forza di regolare titolo edilizio) testé esaminato.
Di contro è infondato e, di conseguenza, rigettato il secondo dei suddetti motivi aggiunti, con cui è stato prospettato che la discrasia tra quanto autorizzato con la C.E. n. 122/78 e quanto in effetti costruito non giustificherebbe l’adozione di un’ingiunzione di demolizione, dato che lo scarto resterebbe al di sotto della soglia del 20% dei volumi originariamente autorizzati, prevista dalla legge per considerare come “essenziali” le variazioni apportate agli interventi edilizi assentiti dalla P.A.
Infatti la ricorrente trascura di considerare la circostanza che l’area, sulla quale insiste il fabbricato di sua proprietà, è gravata da vincolo paesaggistico (impresso con D.A. 06.09.1967 pubblicato nella G.U.R.S. n. 40 del 16.09.1967) oltre che dal vincolo d’inedificabilità assoluta previsto dall’art. 15 legge reg. n. 78/1976. Di talché, ai sensi di quanto disposto dall’art. 32 d.P.R. n. 380/2001, recepito con l’art. 12 legge reg. n. 16/2016 nel testo vigente ratione temporis, ogni variazione di un manufatto rispetto al progetto, di cui al titolo edilizio, è da considerarsi “essenziale”.
Neppure può essere condiviso quanto dedotto in ordine alla sussumibilità di tale discrasia tra le cd. tolleranze di cantiere, pari nella Regione Siciliana al 3% di quanto autorizzato mercé il rilascio del titolo edilizio. Difatti, rispetto ad una cubatura autorizzata di mc 262,13, le tolleranze di cantiere consentirebbero la realizzazione di ulteriori mc 7,86, non certo il volume effettivamente costruito, pari a mc 306,12.
Infine, appare meritevole di rigetto anche il terzo ed ultimo motivo aggiunto, con cui è stata lamentata l’erroneità del presupposto, assunto dal Comune intimato a fondamento delle determinazioni gravata, vale a dire la pregressa autorizzazione – con la C.E. n. 122/78 – di un volume inferiore a mc. 262,13; volume, al quale l’Amministrazione aveva pur fatto riferimento negli atti pertinenti il procedimento di secondo grado sul titolo edilizio.
Invero, sulla scorta delle superiori considerazioni e tenendo conto della natura di atto doveroso ed a contenuto vincolato dell’ordinanza di demolizione, è possibile fare applicazione alla fattispecie oggetto del decidere di quanto disposto dall’art. 21 octies, comma 2, legge n. 241/1990, ai sensi del quale non può essere annullato il provvedimento amministrativo affetto da vizi di forma, quando, per la natura vincolata del medesimo, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
8) In considerazione della parziale infondatezza del ricorso per motivi aggiunti ed in applicazione della regola della soccombenza parziale, il Tribunale compensa tra le parti le spese di lite.
TAR SICILIA – PALERMO, III – sentenza 17.10.2025 n. 2289