1.− Il Consiglio di Stato, sezione quinta, con la sentenza non definitiva indicata in epigrafe (reg. ord. n. 9 del 2025) ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3, del d.l. n. 162 del 2019, come convertito, e dell’art. 13, comma 5, del d.l. n. 183 del 2020, come convertito, con i quali, per i concessionari aventi il Piano economico finanziario (PEF) scaduto, è stato differito il termine per l’adeguamento delle tariffe autostradali, rispettivamente, per l’anno 2020 e per l’anno 2021. In entrambi i casi, detto termine è stato differito sino alla definizione del procedimento di aggiornamento del PEF, da perfezionarsi entro il 31 luglio 2020 (prima disposizione censurata) e, poi, entro il 31 luglio 2021 (seconda disposizione censurata).
1.1.− Il giudice rimettente deve fare applicazione di entrambe le disposizioni perché è chiamato a pronunciarsi sull’impugnazione, da parte della concessionaria autostradale RAV, di due distinte note del concedente MIT, le quali, sulla base delle norme censurate, non hanno riconosciuto alla ricorrente l’adeguamento annuale delle tariffe relative all’autostrada Aosta-Traforo del Monte Bianco per gli anni 2020 e 2021, nella percentuale di incremento richiesta.
Per il giudice a quo, le disposizioni censurate sarebbero in contrasto – secondo quanto si è ampiamente esposto nel Ritenuto in fatto – con plurimi parametri costituzionali (art. 77 Cost. e artt. 3,41 e 97 Cost.) nonché, per il tramite degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., con il diritto dell’Unione europea (artt. 49, 56 e 63 TFUE; artt. 16 e 17 CDFUE, quest’ultimo da interpretarsi in coerenza con l’art. 1 Prot. addiz. CEDU).
2.− La circostanza per cui il Consiglio di Stato dubita della compatibilità delle due disposizioni censurate in riferimento tanto a parametri costituzionali, quanto a plurime norme del diritto dell’Unione europea, non inficia l’ammissibilità delle sollevate questioni di legittimità costituzionale.
In evenienze del genere, la giurisprudenza più recente di questa Corte lascia al giudice la scelta di quale rimedio avvalersi tra l’incidente di costituzionalità e la non applicazione del diritto nazionale, eventualmente – come peraltro prospettato nel caso di specie dal giudice rimettente – previo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, in quanto anche il sindacato accentrato di costituzionalità garantisce il primato del diritto dell’Unione (così a partire dalla sentenza n. 269 del 2017). Si è anzi anche riconosciuto che i due rimedi possono contestualmente essere esperiti, quando ricorrano le condizioni per non applicare il diritto nazionale incompatibile con il diritto dell’Unione e al contempo sollevare su di esso questione di legittimità costituzionale (così nel caso della sentenza n. 15 del 2024): si realizza così a pieno un «concorso di rimedi giurisdizionali [che] esclude ogni preclusione» (sentenza n. 20 del 2019) e che «coopera nella costruzione di tutele sempre più integrate» (sentenza n. 1 del 2025).
Come lo stesso giudice rimettente non manca di rilevare, l’interlocuzione con questa Corte, del resto, ha il pregio, in caso di accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale, di rimuovere le norme censurate dall’ordinamento con effetti erga omnes, offrendo dunque una garanzia aggiuntiva al primato del diritto dell’Unione e un tutt’altro che trascurabile beneficio al valore di rilievo costituzionale della certezza del diritto (sentenze n. 7 del 2025, n. 181 e n. 15 del 2024).
2.1.− Né può dubitarsi, nel caso di specie, del “tono costituzionale” delle questioni sollevate, per il tramite degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione al diritto dell’Unione (sentenze n. 93, n. 31 e n. 7 del 2025, n. 181 del 2024; ordinanza n. 21 del 2025). Il nesso con interessi o princìpi di rilievo costituzionale, infatti, è in re ipsa, essendo evocate – in vario modo e sotto vari profili – norme del diritto dell’Unione che, come anche il parimenti evocato art. 41 Cost., tutelano la libertà d’impresa e al contempo delineano i limiti che essa può o deve incontrare.
3.− L’esame nel merito delle questioni non può prescindere da un’essenziale ricostruzione del complesso quadro, fattuale e normativo, entro il quale è insorto il contenzioso oggetto del giudizio a quo e in cui si inseriscono le disposizioni censurate.
3.1.− La delibera CIPE n. 39 del 2007 dispone che «la tariffa relativa a ciascun concessionario è adeguata annualmente» (punto 4.1.), sulla base di una formula tariffaria ivi definita. La Convenzione che regola la concessione di cui è titolare RAV – sottoscritta il 29 dicembre 2009 con ANAS spa, cui è successivamente subentrato il MIT, e approvata con atto legislativo (art. 8-duodecies, comma 2, del decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59, recante «Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee», convertito, con modificazioni, nella legge 6 giugno 2008, n. 101) – ribadisce e specifica quanto previsto dalla richiamata delibera CIPE (artt. 15 e 18).
L’art. 21, comma 5, del d.l. n. 355 del 2003, come convertito, dispone che le proposte di variazione tariffaria sono formulate dal concessionario al concedente entro il 15 ottobre di ogni anno; il MIT, con decreto ministeriale adottato di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, approva o rigetta le variazioni proposte entro il successivo 15 dicembre.
Le delibere CIPE n. 39 del 2007 (al punto 5) e n. 27 del 2013 prevedono che la durata della concessione sia divisa in periodi regolatori di durata quinquennale, disciplinati da un Piano economico finanziario allegato a ciascuna convenzione. Tale Piano «ha la funzione di garantire l’equilibrio economico e finanziario dell’iniziativa […] lungo tutto l’arco temporale della gestione […]. Se la concessione si qualifica per il trasferimento del rischio operativo dal concedente al concessionario, il PEF è lo strumento mediante il quale si attua la concreta distribuzione del rischio tra le parti del rapporto, la cui adeguatezza e sostenibilità deve essere valutata dall’amministrazione concedente alla luce delle discipline tecniche ed economiche applicabili e sulla base delle eventuali prescrizioni che la stessa amministrazione ha dettato con la lex specialis della procedura per la selezione del concessionario» (Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 4 febbraio 2022, n. 795).
Il PEF è soggetto ad aggiornamento al termine di ogni periodo regolatorio, da concludersi – a seguito di interlocuzioni tra le parti – entro il 30 giugno del primo esercizio del nuovo periodo regolatorio (delibera CIPE n. 27 del 2013).
3.2.− Su questa disciplina del rapporto di concessione ha inciso l’istituzione dell’ART, avvenuta ad opera dell’art. 37 del d.l. n. 201 del 2011, come convertito.
Alla nuova Autorità di regolazione del settore, infatti, il legislatore ha attribuito la competenza a definire i «criteri per la fissazione da parte dei soggetti competenti delle tariffe, dei canoni, dei pedaggi, tenendo conto dell’esigenza di assicurare l’equilibrio economico delle imprese regolate, l’efficienza produttiva delle gestioni e il contenimento dei costi per gli utenti, le imprese, i consumatori» (art. 37, comma 2, lettera b); a «verificare la corretta applicazione da parte dei soggetti interessati dei criteri fissati ai sensi della lettera b)» (art. 37, comma 2, lettera c); nonché, con particolare riferimento al settore autostradale, a stabilire «sistemi tariffari dei pedaggi basati sul metodo del price cap, con determinazione dell’indicatore di produttività X a cadenza quinquennale per ciascuna concessione» (art. 37, comma 2, lettera g).
Tali competenze, con l’art. 16, comma 1, del d.l. n. 109 del 2018, come convertito, sono state estese – mercé modifiche del citato art. 37 – anche alle concessioni già in essere.
Lo stesso d.l. n. 201 del 2011, per come modificato dal d.l. n. 109 del 2018, come convertito, ha altresì previsto che, in relazione agli aggiornamenti alle convenzioni autostradali in essere, laddove comportino variazioni o modificazioni al piano degli investimenti (come nel caso dell’aggiornamento del PEF), il concedente sente ART per i profili di competenza ex art. 37, comma 2, lettera g) (ovvero, per i sistemi tariffari); ART, eventualmente, detta prescrizioni cui deve adeguarsi il testo convenzionale; il concedente verifica l’applicazione dei criteri di determinazione delle tariffe (art. 43, commi 1 e 2-bis).
3.2.1.− ART ha esercitato le proprie competenze nel corso del 2019.
L’Autorità ha dapprima avviato il procedimento per stabilire il nuovo sistema tariffario di pedaggio (delibera n. 16 del 2019), indicendo una consultazione pubblica sul documento, allegato alla delibera, concernente detto sistema tariffario. Successivamente, secondo quanto previsto nella delibera n. 16 del 2019, ha adottato una deliberazione conclusiva per ciascuna concessione: per quel che riguarda RAV, si tratta della delibera n. 64 del 2019, la quale espressamente prevede che il nuovo sistema tariffario si applichi con decorrenza dal 1° gennaio 2020 (punto 32.1. dell’Allegato A alla medesima delibera).
3.3.− Le disposizioni oggi censurate incidono sul quadro normativo sinora richiamato.
La prima di esse – l’art. 13, comma 3, del d.l. n. 162 del 2019, come convertito e nel testo rilevante nel giudizio a quo, in quanto sulla sua base è stata adottata la prima delle note ministeriali ivi impugnate – dispone quanto segue:
«3. Per i concessionari il cui periodo regolatorio quinquennale è pervenuto a scadenza, il termine per l’adeguamento delle tariffe autostradali relative all’anno 2020 è differito sino alla definizione del procedimento di aggiornamento dei piani economici finanziari predisposti in conformità alle delibere adottate ai sensi dell’articolo 16, comma 1, del decreto-legge n. 109 del 2018, dall’Autorità di regolazione dei trasporti di cui all’articolo 37 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. Entro il 30 marzo 2020 i concessionari presentano al Concedente le proposte di aggiornamento dei piani economico finanziari, riformulate ai sensi della predetta normativa, che annullano e sostituiscono ogni precedente proposta di aggiornamento. L’aggiornamento dei piani economici finanziari presentati nel termine del 30 marzo 2020 è perfezionato entro e non oltre il 31 luglio 2020».
L’effetto di tale disposizione per i concessionari il cui periodo regolatorio quinquennale è scaduto – quale è RAV, il cui PEF è scaduto a fine 2013 e, come risulta dagli atti e dalla discussione in udienza, mai è stato rinnovato – è, come osserva anche il rimettente Consiglio di Stato, triplice: i) differisce il termine per l’adeguamento delle tariffe per il 2020 «sino alla definizione del procedimento di aggiornamento dei piani economici finanziari»; ii) fissa al 30 marzo 2020 il termine per la presentazione delle proposte di aggiornamento dei PEF, che devono essere riformulate in conformità alle delibere dell’ART e che annullano le precedenti proposte di aggiornamento; iii) fissa al 31 luglio 2020 il termine per l’aggiornamento dei PEF: termine questo che, dunque, diventa anche il termine per l’adeguamento tariffario per il 2020.
La seconda delle disposizioni censurate – art. 13, comma 5, del d.l. n. 183 del 2020, come convertito, rilevante nel giudizio a quo in quanto sulla sua base è stata adottata la seconda delle note ministeriali ivi impugnate – incide sul testo della prima disposizione censurata con due sostituzioni, laddove prevede che «le parole “relative all’anno 2020” sono sostituite dalle seguenti: “relative all’anno 2020 e all’anno 2021” e le parole “non oltre il 31 luglio 2020” sono sostituite dalle seguenti: “non oltre il 31 luglio 2021”».
In base a tale disposizione, pertanto: i) è ulteriormente differito il termine per l’adeguamento delle tariffe per il 2020; ii) è differito il termine per l’adeguamento delle tariffe per il 2021; iii) è ulteriormente differito al 31 luglio 2021 il termine per l’aggiornamento dei PEF, che funge anche da termine per l’adeguamento tariffario delle citate due annualità.
3.4.− Come ampiamente dà conto anche il giudice a quo, il legislatore, successivamente al d.l. n. 183 del 2020, come convertito, ha ulteriormente modificato il testo dell’art. 13, comma 3, del d.l. n. 162 del 2019, come convertito, spostando di volta in volta in avanti i termini per l’aggiornamento dei PEF e per l’adeguamento delle tariffe, anche di ulteriori annualità.
3.4.1.− Con l’art. 2, comma 1, del decreto-legge 10 settembre 2021, n. 121 (Disposizioni urgenti in materia di investimenti e sicurezza delle infrastrutture, dei trasporti e della circolazione stradale, per la funzionalità del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, del Consiglio superiore dei lavori pubblici e dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali e autostradali), convertito, con modificazioni, nella legge 9 novembre 2021, n. 15, il termine per l’aggiornamento dei PEF è stato differito al 31 dicembre 2021; contestualmente, sono stati ulteriormente differiti anche i termini per l’adeguamento tariffario delle annualità 2020 e 2021 nonché «di quelle relative a tutte le annualità comprese nel nuovo periodo regolatorio».
3.4.2.− Con l’art. 24, comma 10-bis, del decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4 (Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19, nonché per il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico), convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2022, n. 25, il termine per l’aggiornamento dei PEF è stato differito al 31 ottobre 2022; conseguentemente, in ragione della modifica apportata dal poc’anzi richiamato d.l. n. 121 del 2021, come convertito, il termine per l’adeguamento tariffario degli anni 2020, 2021 e 2022 è stato differito al medesimo 31 ottobre 2022.
3.4.3.− Ancora, con l’art. 10, comma 4, del decreto-legge 29 dicembre 2022, n. 198 (Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi), convertito, con modificazioni, nella legge 24 febbraio 2023, n. 14, il termine per l’aggiornamento dei PEF è stato differito al 31 dicembre 2023 e, conseguentemente, è stato differito il termine per l’adeguamento tariffario per gli anni 2020, 2021, 2022 e 2023.
3.4.4.− Con l’art. 8, comma 9, del d.l. n. 215 del 2023, come convertito, infine, il legislatore ha interamente sostituito l’art. 13, comma 3, del d.l. n. 162 del 2019, come convertito, in questi termini:
«3. Entro il 30 marzo 2024 le società concessionarie per le quali è intervenuta la scadenza del periodo regolatorio quinquennale presentano le proposte di aggiornamento dei piani economico-finanziari predisposti in conformità alle delibere adottate ai sensi dell’articolo 16, comma 1, del decreto-legge 28 settembre 2018, n. 109, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2018, n. 130, dall’Autorità di regolazione dei trasporti di cui all’articolo 37 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, nonché alle disposizioni emanate dal concedente. L’aggiornamento dei piani economico-finanziari, presentati entro il termine del 30 marzo 2024 conformemente alle modalità stabilite, è perfezionato entro il 31 dicembre 2024. Nelle more degli aggiornamenti convenzionali, le tariffe autostradali relative alle concessioni di cui al primo periodo sono incrementate nella misura del 2,3 per cento, corrispondente all’indice di inflazione previsto per l’anno 2024 dalla Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza 2023. Gli adeguamenti, in eccesso o in difetto, rispetto ai predetti incrementi tariffari sono definiti in sede di aggiornamento dei piani economico-finanziari».
Con la novella, dal contenuto normativo in parte diverso rispetto a quello che esprimeva il testo sostituito, il legislatore, pertanto, ha differito al 31 dicembre 2024 il termine per l’adozione dei PEF, prevedendo che questi siano presentati, in conformità alle delibere dell’ART, entro il 30 marzo 2024; ha stabilito che, entro il termine del 31 dicembre 2024, devono essere adottati i PEF il cui aggiornamento sia stato presentato «conformemente alle modalità stabilite»; infine, ha determinato un provvisorio incremento delle tariffe autostradali, posticipando al momento dell’aggiornamento dei PEF le variazioni tariffarie che possono dar luogo a una posta in eccesso o in difetto rispetto a quella forfettaria indicata ex lege.
3.5.− Il quadro normativo d’interesse è stato ulteriormente inciso con due diversi interventi legislativi, che non hanno interessato il testo dell’art. 13, comma 3, del d.l. n. 162 del 2019, come convertito e novellato, ma dei quali pure è necessario dare conto.
3.5.1.− Con l’art. 1, comma 1, del decreto-legge 29 giugno 2024, n. 89 (Disposizioni urgenti per le infrastrutture e gli investimenti di interesse strategico, per il processo penale e in materia di sport), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 2024, n. 120, è stato aggiunto il seguente comma 3-bis al richiamato art. 13 del d.l. n. 162 del 2019, come convertito e novellato: «Entro il 31 luglio 2024 le società concessionarie per le quali interviene la scadenza del periodo regolatorio quinquennale nell’anno 2024 presentano le proposte di aggiornamento dei piani economico-finanziari predisposti in conformità alle delibere adottate ai sensi dell’articolo 16, comma 1, del decreto-legge 28 settembre 2018, n. 109, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2018, n. 130, dall’Autorità di regolazione dei trasporti di cui all’articolo 37 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, nonché alle disposizioni emanate dal concedente. L’aggiornamento dei piani economico-finanziari, presentati entro il termine del 31 luglio 2024 conformemente alle modalità stabilite, è perfezionato entro il 31 dicembre 2024».
Con tale disposizione, il legislatore ha sostanzialmente applicato, anche ai concessionari il cui periodo regolatorio quinquennale sarebbe giunto a scadenza nel corso dell’anno 2024, la disciplina di cui all’art. 13, comma 3, del d.l. n. 162 del 2019, come convertito e novellato, espressamente riferita, come detto, ai soli concessionari il cui periodo regolatorio è già scaduto.
3.5.2.− Da ultimo, con la legge n. 193 del 2024, il legislatore è significativamente intervenuto sul settore delle concessioni autostradali.
Per quel che qui maggiormente interessa, ha previsto che il PEF sia predisposto dal concedente e che del pari sia il concedente a proporne le modifiche nel corso della durata della concessione; in entrambi i casi, è ribadita la competenza dell’ART a esprimere un parere (art. 9, commi 2 e 5). Quanto alle tariffe autostradali, è ribadita la competenza dell’ART a dettare il sistema tariffario applicabile (art. 12). Al contempo, sono stati ulteriormente modificati gli artt. 37, comma 2, lettera g), e 43, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, sulla scia degli interventi precedenti che avevano già attribuito all’ART la competenza in materia tariffaria e di PEF sulle concessioni già in essere (art. 16, rispettivamente commi 3 e 4).
Contestualmente, è stato previsto che, alle procedure di aggiornamento dei PEF delle società concessionarie per le quali, alla data di entrata in vigore del d.l. n. 215 del 2023, era intervenuta la scadenza del periodo regolatorio quinquennale, si applicano le disposizioni dell’art. 13, comma 3, del d.l. n. 162 del 2019, come convertito e novellato (art. 14, comma 1); per le società concessionarie per le quali, successivamente all’entrata in vigore della legge, intervenga la scadenza del periodo regolatorio quinquennale, trova applicazione la disciplina recata dall’art. 14, comma 2.
4.− Tutti i richiamati interventi legislativi successivi alle disposizioni censurate non incidono sulla rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Consiglio di Stato.
4.1.− Le disposizioni che, successivamente al d.l. n. 183 del 2020, come convertito, hanno modificato o sostituito l’art. 13, comma 3, del d.l. n. 162 del 2019, come convertito, sono state, invero, tutte adottate dopo le note ministeriali impugnate da RAV e dunque – come correttamente rileva lo stesso giudice rimettente, il quale peraltro osserva che esse, ulteriormente posticipando i termini, hanno avuto effetto «in termini peggiorativi sul differimento» già recato – sono insuscettibili di influire sul giudizio amministrativo.
4.2.− Del pari ininfluenti sul giudizio a quo sono gli altri interventi legislativi, successivi alle disposizioni censurate, che hanno modificato il quadro normativo di riferimento.
Ciò vale, innanzitutto, per il nuovo comma 3-bis aggiunto all’art. 13 del d.l. n. 162 del 2019, come convertito e novellato, che regola il procedimento per l’adozione dei PEF relativi a concessioni il cui periodo regolatorio quinquennale sarebbe scaduto nel corso del 2024, mentre le disposizioni censurate si applicano ai concessionari i cui PEF siano già venuti a scadenza.
Insuscettibile di incidere sulla rilevanza delle odierne questioni, poi, è la nuova disciplina in materia posta dalla legge n. 193 del 2024, in ragione della espressa disposizione transitoria recata dall’art. 14, comma 1, il quale, come si è poc’anzi detto, rende applicabile la disciplina di cui all’art. 13, comma 3, del d.l. n. 162 del 2019, come sostituito dal d.l. n. 215 del 2023, come convertito, alle procedure di aggiornamento dei PEF delle società concessionarie per le quali, alla data di entrata in vigore di tale ultimo decreto-legge, era intervenuta la scadenza del periodo regolatorio quinquennale.
5.− Tra le diverse questioni di legittimità costituzionale, hanno priorità logico-giuridica quelle sollevate, per l’asserita evidente mancanza dei presupposti per l’adozione del decreto-legge, in riferimento all’art. 77 Cost., in quanto concernenti il corretto esercizio della funzione normativa primaria (tra le molte, sentenze n. 146 del 2024 e n. 8 del 2022).
Secondo il Consiglio di Stato, le disposizioni censurate sono omogenee rispetto ai decreti-legge in cui esse sono inserite, entrambi volti – come risulta dal preambolo e dai lavori preparatori – a prorogare o differire termini al fine di garantire la continuità amministrativa.
Tuttavia, secondo il giudice a quo, il differimento dei termini recato dalle suddette disposizioni non era necessario per raggiungere l’obiettivo dichiarato dal legislatore – garantire la continuità amministrativa – in quanto l’amministrazione ha sempre la potestà di provvedere oltre il termine ordinatorio; non era neppure urgente, sia perché i termini procedimentali erano già scaduti, sia perché, già prima delle disposizioni censurate, era necessario tenere conto delle delibere dell’ART tanto per l’aggiornamento dei PEF, quanto per gli adeguamenti tariffari.
5.1.− In relazione alle questioni sollevate circa il corretto utilizzo del decreto-legge, questa Corte ha da tempo e costantemente affermato che, in ragione della elasticità della clausola di cui all’art. 77, secondo comma, Cost., «[n]on si possono predeterminare […] i casi straordinari di necessità e di urgenza che legittimano il ricorso a tale strumento» (sentenza n. 146 del 2024), di modo che il proprio scrutinio, che non deve sovrapporsi a quello di Governo e Parlamento, è limitato ai casi di «evidente mancanza» dei presupposti (così a partire dalla sentenza n. 29 del 1995), da riscontrarsi alla luce di indici intrinseci ed estrinseci alle disposizioni censurate (ex multis, sentenze n. 146 del 2024, n. 33 del 2019, n. 5 del 2018, n. 93 del 2011, n. 128 del 2008 e n. 171 del 2007) e a prescindere da ogni valutazione in ordine alla ragionevolezza della disciplina introdotta (ancora sentenza n. 171 del 2007).
5.2.− Nella dianzi ricordata prospettiva, le odierne questioni non sono fondate.
5.2.1.− Entrambe le disposizioni censurate – come riconosce, d’altra parte, anche il rimettente Consiglio di Stato – sono materialmente omogenee rispetto ai decreti-legge in cui esse sono inserite. Esse, infatti, incidono su termini, come fanno le altre disposizioni di entrambi i decreti-legge e come si evince dai rispettivi titoli, dai rispettivi preamboli, nonché dalla identica rubrica dell’art. 13 del d.l. n. 162 del 2019 e dell’art. 13 del d.l. n. 183 del 2020.
5.2.2.− Neppure può riscontrarsi, nei termini di evidenza del vizio richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte, un’eterogeneità delle disposizioni censurate rispetto alla finalità – garantire la continuità dell’azione amministrativa – espressa identicamente nei preamboli di entrambi i decreti-legge.
L’adozione delle delibere ART sul sistema tariffario di pedaggio nel corso del 2019, cui si aggiunge, in relazione alla seconda delle disposizioni censurate, l’emergenza epidemiologica da COVID-19, sviluppatasi a partire dal febbraio 2020 e avente un significativo impatto sullo svolgimento dei procedimenti amministrativi in corso, non possono far considerare in sé arbitraria la valutazione del Governo sulla sussistenza del caso straordinario di necessità e urgenza di differire i termini per la conclusione dei procedimenti relativi all’aggiornamento dei PEF e all’adeguamento tariffario, in un ambito materiale concernente infrastrutture di primario rilievo e interesse per il Paese.
6.− Il Consiglio di Stato, poi, reputa le disposizioni censurate in contrasto con gli artt. 3,41 e 97 Cost.
6.1.− Muovendo dall’osservazione per cui l’amministrazione, a fronte di termini ordinatori, ha sempre la potestà di provvedere anche ove questi siano decorsi, il giudice a quo osserva che le norme oggetto di scrutinio pregiudicano irragionevolmente la continuità dell’azione amministrativa, con violazione degli artt. 3 e 97 Cost.
Esse, infatti, producono conseguenze che non si sarebbero verificate ove fossero valse le «regole generali che informano i procedimenti amministrativi». E ciò perché esse, da un lato, impongono un ritardo nel decidere sull’istanza di adeguamento tariffario e sull’aggiornamento del PEF e, per un altro, «non consentono o comunque posticipano e rendono maggiormente difficoltosa l’applicazione degli istituti che compulsano la conclusione dei procedimenti aventi termini (ordinatori) scaduti»; senza che tutto ciò sia funzionale a calmierare le tariffe, non solo in quanto la razionalizzazione di queste ultime era già stata operata dalle delibere dell’ART, ma anche perché il differimento del loro adeguamento – che dovrà tenere in conto quanto non già corrisposto a titolo di compensazione – altera «la corrispondenza fra fruizione del bene e pagamento del relativo pedaggio e ne allontana nel tempo la corrispondenza, potenzialmente riverberandosi sui fruitori futuri, che fruiscono di un bene che non corrisponde (più) a quello considerato nel pedaggio corrisposto».
Il mancato adeguamento tariffario e il mancato aggiornamento del PEF sarebbero, poi, «indice di una gestione non scrupolosa del rapporto concessorio», che si riverbera sulle prestazioni richieste al concessionario in ordine agli investimenti e, in ultima analisi, sull’idoneità e sicurezza dell’infrastruttura e sugli interessi dei fruitori del tratto autostradale.
6.2.− Le disposizioni censurate produrrebbero altresì conseguenze negative «sulla libertà d’impresa e sull’utilità sociale», violando l’art. 41 Cost.
Il differimento dei termini che esse determinano, infatti, «pregiudica le capacità programmatorie e di ottenimento delle risorse necessarie per lo svolgimento dell’attività di impresa». Il Consiglio di Stato osserva, in proposito, che l’incertezza creata dalla normativa censurata – peraltro reiterata nel tempo – impedisce l’organizzazione dell’attività d’impresa, che non può contare nell’immediato sulla provvista finanziaria, né sapere quando l’otterrà.
6.3.− Le questioni sono fondate.
6.3.1.− Concessioni come quelle in materia autostradale hanno natura contrattuale e trovano la loro fonte di disciplina nella relativa convenzione, che regola i rapporti tra concedente e concessionario.
È un fenomeno giuridico riconducibile al cosiddetto government by contract, nell’ambito del quale la funzione amministrativa è esercitata non per mezzo di un provvedimento, ma con l’adozione di un modulo consensuale, talora ritenuto dal legislatore più adatto per governare manifestazioni del reale complesse tanto sotto il profilo economico e sociale, quanto sotto il profilo delle dinamiche intercorrenti tra interesse pubblico e interessi dei privati. Non a caso, si tratta di rapporti contrattuali di grande rilievo per gli interessi del Paese, in ragione dell’impatto che essi hanno, come nella specie, sulla realizzazione di complesse infrastrutture essenziali, sui trasporti e sulla stessa competitività nazionale.
Da tale inquadramento del fenomeno discendono alcune considerazioni, attinenti sia all’esercizio della funzione amministrativa sia all’assetto dei rapporti quali delineati dal modulo consensuale adottato, riconducibile alla fattispecie un tempo significativamente denominata di concessione-contratto.
6.3.2.− Sul versante dell’azione amministrativa, le cui coordinate vanno rinvenute nell’art. 97 della Carta, va rilevato che il principio di continuità della stessa impone di evitare ogni ritardo che non sia strettamente funzionale alla salvaguardia dell’interesse pubblico cui è finalizzato il concreto procedimento e che possa pregiudicare, in tal modo ingiustificatamente, l’interesse dei privati. A fronte di un procedimento complesso ma analiticamente disciplinato, finalizzato a garantire l’equilibrio tra le parti insito nell’adozione del modulo consensuale (recte: contrattuale), risulta del tutto distonica una disposizione che, regolando direttamente quel procedimento, incide unilateralmente su un elemento della fattispecie, in senso sfavorevole per una sola delle parti. E appare significativo sottolineare che, in tal modo, il legislatore incide sfavorevolmente sulla parte privata e a vantaggio dell’amministrazione pubblica, operando in via legislativa quell’alterazione della parità delle parti tra amministrazione e privato che l’adozione in via amministrativa del modulo consensuale intendeva evitare.
Né tale alterazione della parità delle parti e conseguentemente dell’equilibrio contrattuale appare sorretta, nel caso in esame, da una idonea ragione di interesse pubblico.
L’esigenza, manifestata dalla difesa dell’interveniente, di assicurare l’applicazione del nuovo sistema tariffario a fronte di richieste asseritamente contrastanti con esso da parte della concessionaria, poteva già essere soddisfatta dall’applicazione delle delibere sia del CIPE sia dell’ART nel frattempo intervenute e avrebbe giustificato semmai un diniego di approvazione dei PEF non conformi alle stesse e dei conseguenti aumenti tariffari proprio sulla base di tale difformità, mentre – come si è visto – le delibere impugnate nel giudizio a quo sono motivate esclusivamente sulla base dell’intervenuto differimento dei termini in forza delle disposizioni censurate.
Per converso, come rilevato sia dal giudice a quo che da RAV, imponendo di non provvedere nei termini originariamente previsti sull’istanza di adeguamento tariffario e sull’aggiornamento del PEF, alla soluzione di continuità nell’esercizio dell’azione amministrativa e nell’ordinario svolgimento del rapporto contrattuale, si è aggiunto l’effetto di rendere sostanzialmente inoperanti gli istituti volti a favorire la conclusione di procedimenti il cui termine ordinatorio sia scaduto, a garanzia del buon andamento di tale azione amministrativa; con la conseguenza di produrre, a detrimento di quel buon andamento, la deresponsabilizzazione dei pubblici dipendenti e, soprattutto, la copertura in via legislativa di comportamenti della pubblica amministrazione astrattamente idonei a generare la sua responsabilità sul piano civilistico.
Gli illegittimi effetti determinati dalle disposizioni censurate, d’altra parte, sono stati accentuati dalle ulteriori dilazioni dei termini dettate dalla normativa successiva, le quali reiterano e consolidano l’alterazione della parità tra la parte pubblica e quella privata, senza che vi sia un interesse pubblico a sorreggere tale mutamento dell’equilibrio.
Non va da ultimo sottaciuto, anche sul piano della ragionevolezza, l’effetto paradossale della censurata posticipazione dei termini procedimentali, che non fa altro che alterare la corrispondenza tra fruizione del bene e pagamento del relativo pedaggio, in spregio del principio, posto a garanzia dell’utenza, del pay for use, tenendo immuni dagli aumenti delle tariffe proprio i fruitori, in un dato tempo, dell’infrastruttura, e potenzialmente riverberandosi, con i connessi aumenti, sui fruitori futuri.
6.3.3.− L’alterazione dell’equilibrio tra le parti risulta, d’altra parte, particolarmente accentuato sul versante del rapporto contrattuale che discende dalla concessione, con conseguente lesione dell’art. 41 Cost. Va infatti considerato che, in rapporti di tal genere, proprio per la importanza che essi rivestono e per gli interessi che intendono soddisfare, l’equilibrio contrattuale convenuto fra le parti assume massimo rilievo, in quanto funzionale a rendere l’esercizio della concessione in linea con gli interessi del Paese e nella piena garanzia dell’utenza.
Entro tale quadro, il legislatore non perde la possibilità di incidere sul rapporto concessorio, dettando una disciplina normativa in parte diversa da quella vigente all’epoca della stipula della convenzione. Vale in proposito quanto questa Corte afferma costantemente, ovvero che «con riferimento ai rapporti di durata, e alle modificazioni peggiorative che su di essi incidono secondo il meccanismo della cosiddetta retroattività impropria, […] il legislatore dispone di ampia discrezionalità e può anche modificare in senso sfavorevole la disciplina di quei rapporti, ancorché l’oggetto sia costituito da diritti soggettivi perfetti, a condizione che la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non trasmodi in un regolamento irrazionalmente lesivo del legittimo affidamento dei cittadini (ex plurimis, sentenze n. 241 del 2019, n. 16 del 2017, n. 203 del 2016 e n. 236 del 2009)» (sentenza n. 234 del 2020).
Ciò è valso particolarmente nel settore autostradale, ove «le concessioni in essere – per la quasi totalità assentite da decenni e senza l’esperimento di procedure concorsuali – sono il risultato di scelte effettuate con un’ottica non attenta all’efficienza del settore e delle gestioni», con un conseguente quadro «non sufficientemente trasparente sotto il profilo dei criteri, dei modelli tariffari applicati e dei sistemi di ammortamento degli investimenti» (Corte dei conti, sez. centr. contr. amm. Stato, deliberazione n. 18/2019/G).
È sulla scia di valutazioni e considerazioni di questo genere, d’altra parte, che, come si è visto, il legislatore ha ritenuto di istituire un’Autorità di regolazione dei trasporti, affidandole competenze specifiche, da esercitare – si noti – anche in riferimento alle concessioni in essere, in ordine alla determinazione dei criteri per la fissazione delle tariffe autostradali, nonché alla verifica del rispetto di tali criteri da parte dei soggetti interessati. In presenza di rapporti concessori pluriennali concernenti la gestione di beni comuni di rilievo strategico, infatti, resta prioritario «garantire il rispetto di standard di efficienza ed economicità, a tutela dell’interesse degli utenti al mantenimento di adeguati livelli qualitativi del servizio» (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 4 maggio 2022, n. 3484).
Le disposizioni censurate pongono invece una disciplina che – pur non modificando ex se la regolazione del rapporto concessorio, in quanto apparentemente si limita a differire i termini per la conclusione dei procedimenti di adeguamento tariffario e di aggiornamento dei PEF – finisce per alterare irragionevolmente l’equilibrio contrattuale tra le parti, sbilanciandolo in favore di una di esse, l’amministrazione concedente, con ricadute negative sugli interessi tanto dei concessionari, quanto dell’utenza.
Il loro effetto sostanziale, infatti, è quello di “bloccare” – e far ripartire daccapo – il procedimento di aggiornamento dei PEF, spostando in avanti il termine per la sua conclusione, ulteriormente differito peraltro con interventi legislativi successivi. Così facendo, il legislatore legittima il silenzio-inadempimento del concedente – il quale, secondo quanto è emerso anche durante la discussione nell’udienza pubblica, allo stato mai ha espressamente rigettato una proposta di PEF – e contestualmente impedisce al concessionario di agire contro tale silenzio.
Incidendo in tal modo sulla relazione paritaria concessoria, in cui come detto sono prevalenti gli elementi del rapporto contrattuale rispetto a quelli autoritativi, non soltanto è leso – come si è detto – il principio del buon andamento della pubblica amministrazione, che secondo una moderna concezione del potere pubblico impone che il relativo esercizio sia improntato ai canoni di correttezza e del giusto procedimento nonché al principio di doverosità della funzione amministrativa, ma possono determinarsi conseguenze di non poco momento sull’infrastruttura autostradale, sulla sua efficienza e sulla sua sicurezza, che necessitano di manutenzione e investimenti che vanno programmati.
Sotto questo profilo, infatti, l’aggiornamento del PEF e l’adeguamento annuale delle tariffe – che, nel contesto dell’innovato quadro normativo imperniato attorno alle competenze di ART in materia, sono posti in stretta correlazione tra loro – sono funzionali a consentire al concessionario di programmare le capacità di spesa e gli investimenti da effettuare sulla rete autostradale, in modo da assolvere efficientemente agli obblighi contrattuali derivanti dalla convenzione. Il differimento dei termini per la conclusione dei procedimenti qui in esame altera l’equilibrio contrattuale e impedisce al concessionario di avere la provvista finanziaria necessaria, minandone dunque la libertà di iniziativa economica privata.
6.3.4.− Lo sbilanciamento del rapporto concessorio così posto in essere non è funzionale neppure a impedire, secondo quanto affermato nelle difese dal Presidente del Consiglio dei ministri, un asserito aumento ingiustificato delle tariffe, sul presupposto che queste potessero essere calcolate sulla base dei vecchi criteri.
A escludere una tale evenienza stanno proprio l’istituzione dell’ART e la successiva estensione delle sue competenze alle concessioni in essere, che hanno portato alle delibere del 2019, le quali hanno dettato criteri uniformi per il calcolo delle tariffe. Spetta ora a una efficace e doverosa interlocuzione tra le parti, ispirata al principio di buona fede, dare applicazione alle delibere dell’Autorità di regolazione dei trasporti, aggiornando i PEF e adeguando le tariffe secondo i criteri dettati da tali delibere.
Le disposizioni censurate – e quelle che ne sono seguite – hanno, invece, sistematicamente differito e diversamente scansionato la sequenza procedimentale, di natura contrattuale, in ordine all’aggiornamento dei PEF e all’adeguamento delle tariffe, trasformandola invero in una sequenza di non-provvedimenti.
L’esito è duplice. In primo luogo, si realizza un irragionevole blocco dell’attività amministrativa, che ha quale paradossale conseguenza quella di impedire di dare seguito a quel disegno del legislatore imperniato su tariffe omogenee, stabilite sulla base dei criteri dell’autorità di settore. In secondo luogo, viene a crearsi uno squilibrio tra le parti del rapporto concessorio: il concessionario è tenuto agli adempimenti di tutti gli obblighi inerenti alla concessione, e specificati nella convenzione, senza peraltro poter contare sulla provvista finanziaria che il sistema normativo gli garantisce in tempi prestabiliti; l’amministrazione concedente è esonerata, per un tempo limitato ma indefinito e comunque di significativa durata, dall’adempimento degli obblighi assunti nei confronti del concessionario, a garanzia delle esigenze economiche dell’impresa, e, correlativamente, della sicurezza dell’infrastruttura a tutela dell’utenza.
6.3.5.− Deve essere pertanto dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3, del d.l. n. 162 del 2019, come convertito e nel testo vigente prima delle modifiche di cui all’art. 13, comma 5, del d.l. n. 183 del 2020, nonché del medesimo art. 13, comma 5, del d.l. n. 183 del 2020, come convertito.
Restano assorbite le ulteriori questioni di legittimità costituzionale sollevate.
6.3.6.− La declaratoria d’illegittimità costituzionale deve essere estesa in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), alle disposizioni che, incidendo sul testo originario dell’art. 13, comma 3, del d.l. n. 162 del 2019, hanno ulteriormente differito i termini ivi previsti, così aggravando i vizi di costituzionalità in questa sede accertati. Gli atti legislativi in questione, nella loro sequenza, sono ancor più sintomatici del cattivo uso del potere legislativo sopra riscontrato.
Devono pertanto essere dichiarati costituzionalmente illegittimi anche l’art. 2, comma 1, del d.l. n. 121 del 2021, come convertito, l’art. 24, comma 10-bis, del d.l. n. 4 del 2022, come convertito, e l’art. 10, comma 4, del d.l. n. 198 del 2022, come convertito.
Corte Cost., sent., 14.10.2025, n. 147