1. Il ricorso deve essere accolto.
2. Il Procuratore generale ricorrente ha censurato l’abnormità del decreto che dispone il giudizio impugnato, in quanto il Giudice dell’udienza preliminare ha escluso l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., contestata nella richiesta di rinvio a giudizio, senza ricorrere all’interlocuzione con le parti espressamente prevista dall’art. 423, comma 1-bis cod. proc. pen.
3. Il motivo è fondato.
3.1. Dall’esame diretto degli atti processuali (ammesso in sede di legittimità quando è censurata una violazione della legge processuale, ex plurimis: Sez. U, n. n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 229092) risulta che il giudice dell’udienza preliminare nel decreto dispositivo del giudizio ha escluso la circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. e ha indicato nel Tribunale di Locri, e, dunque, non nel giudice distrettuale, il giudice competente per la celebrazione del dibattimento.
3.2. La disciplina originaria dell’udienza preliminare non contemplava il potere del giudice di attribuire al fatto contestato una diversa definizione giuridica, espressamente considerato, invece, dall’art. 521, comma 1, cod. proc. pen. con riguardo al dibattimento.
L’art. 423 cod. proc. pen., infatti, nella formulazione originaria, contemplava solo il potere del pubblico ministero di modificare l’imputazione nell’udienza preliminare.
Nel silenzio della legge, la giurisprudenza di legittimità ha, tuttavia, costantemente ritenuto che il giudice dell’udienza preliminare non può modificare il fatto oggetto dell’imputazione, ma può dare ad esso una diversa qualificazione giuridica (Sez. 6, n. 28481 del 17/04/2012, C., Rv. 253695- 01; Sez. 3, n. 1803 del 1/12/2010, dep. 2011, Alain, Rv. 249334 – 01; Sez. 6, n. 3503 del 11/11/1998, Manno, Rv. 212213-01; Sez. 2, n. 11144 del 11/11/1997, Aquino, Rv. 209426 – 01).
Il giudice dell’udienza preliminare ha, infatti, il potere di definire correttamente il fatto sul quale è chiamato a pronunciarsi giacché, in un ordinamento fondato sul principio di legalità, tale potere è connaturale allo stesso esercizio della giurisdizione, che non tollera limitazioni in ordine all’inquadramento giuridico dei fatti che le parti sottopongono al giudice (Sez. 6, n. 548 del 29/01/1996, P.M. in proc. Verde, Rv. 204383; cfr., anche Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, in motivazione).
Questa linea interpretativa è stata, peraltro, accolta dalla Corte costituzionale che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 429 cod. proc. pen., sollevata in relazione all’art. 25, primo comma, e 101, secondo comma, Cost., nella parte in cui non consentirebbe al giudice dell’udienza preliminare di dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione e formulata con la richiesta di rinvio a giudizio (C. Cost., sent. n. 347 del 1991; C. Cost., sent. 372 del 1991).
Le Sezioni unite di questa Corte hanno, inoltre, rilevato che il potere del giudice dell’udienza preliminare di dare al fatto contestato una diversa qualificazione giuridica, riconducendo così la fattispecie concreta allo schema legale che le è proprio, trova fondamento nella valenza generale della regola contenuta nell’art. 521, comma 1, cod. proc. pen. e nella sua applicazione analogica (Sez. U, n. 5307 del 20/12/2007, dep. 01/02/2008, P.M. in proc. Battistella, Rv. 238239).
Secondo questa pronuncia, il principio di legalità, che fonda l’ordinamento e l’attività giurisdizionale, pretende la propria osservanza in ogni fase del processo, anche all’udienza preliminare, quale snodo di passaggio dalle indagini al giudizio, sicché è consentito e doveroso anche per il giudice che vi è preposto «accertare che fatto e schema legale coincidano e, dunque, modificare, se occorre, la qualificazione giuridica del fatto prospettata dal p.m. riconducendo, così, la fattispecie concreta, anche se a determinati limitati fini, nello schema legale che le è proprio».
Il giudice dell’udienza preliminare, dunque, anche in mancanza di specifica previsione e in base al principio generale enunciato dall’art. 521 cod. proc. pen., può modificare la qualificazione giuridica del fatto per il quale il pubblico ministero ha chiesto il rinvio a giudizio, disponendo la vocatio in ius innanzi al giudice competente in relazione al fatto così come diversamente qualificato (ex plurimis: Sez. 3, n. 51424 del 18/09/2014, Longhi, Rv. 261398 – 01; Sez. 6, n. 3658 del 16/11/1998, Carlutti, Rv. 212688).
Al giudice dell’udienza preliminare compete, pertanto, il potere di ridurre l’imputazione, derubricando il reato da consumato a tentato, da complesso a semplice, da aggravato a non aggravato, al fine di garantire l’esigenza, immanente in ogni fase processuale, di assicurare la costante corrispondenza dell’imputazione alle emergenze processuali (v. Corte cost., sent. n. 88 del 1994; Cass., Sez. 6, n. 548 del 29/01/1996, Verde, Rv 204383); il giudice dell’udienza preliminare, all’esito dell’udienza, nell’esercizio del potere di cognizione attribuitogli dalla legge, può, dunque, escludere la sussistenza delle circostanze aggravanti eventualmente contestate e disporre il rinvio a giudizio per il reato semplice residuato (Sez. 6, n. 21840 del 24/05/2012, Cava, in motivazione).
Si è, inoltre, coerentemente affermato che non incorre in abnormità, sotto il duplice profilo strutturale e funzionale, né in eccesso di potere il decreto con cui il giudice per l’udienza preliminare dispone il giudizio modificando la qualificazione giuridica del fatto posta dal pubblico ministero nella propria richiesta, in quanto lo ius variandi in punto di diritto è potere tipico attribuito al giudice in ogni fase e grado del procedimento, il cui esercizio non incide sull’autonomo potere – riservato in via esclusiva al pubblico ministero – di modificare il fatto contestato e di procedere a nuova contestazione qualora esso risulti diverso da come è descritto nell’imputazione (Sez. 6, n. 28262 del 10/05/2017, Tosi, Rv. 270521 – 01; conf. Sez.6, n. 3658 del 16/11/1998, Carlutti, Rv. 212688; Sez. 3, n. 51424 del 18/9/2014, Longhi, Rv. 261398).
3.3. In questo assetto normativo, il potere del giudice dell’udienza preliminare di riqualificare il fatto contestato era, tuttavia, esercitato secondo modalità processuali differenti da quelle ritenute necessarie per il potere, parimenti non espressamente considerato dal codice di rito, di sindacare la genericità o l’indeterminatezza dell’imputazione.
Se, infatti, la riqualificazione poteva essere operata dal giudice dell’udienza preliminare nel decreto che dispone il giudizio, anche senza previa attivazione del contraddittorio, il sindacato sulla genericità dell’imputazione postulava la necessaria sollecitazione delle parti.
Le Sezioni unite di questa Corte, componendo un contrasto di giurisprudenza insorto sul punto, hanno, infatti, statuito che è abnorme e, quindi, ricorribile per cassazione, il provvedimento con cui il giudice dell’udienza preliminare disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero per genericità o indeterminatezza dell’imputazione, senza avergli previamente richiesto di precisarla. È invece rituale il provvedimento con cui il medesimo giudice, dopo aver sollecitato il pubblico ministero nel corso dell’udienza preliminare ad integrare l’imputazione senza che quest’ultimo abbia adempiuto al dovere di provvedervi, determini la regressione del procedimento onde consentire il nuovo esercizio dell’azione penale in modo aderente alle effettive risultanze d’indagine (Sez. U., n. 5307 del 20/12/2007, dep. 2008, Battistella, Rv. 238239). Le Sezioni unite hanno, altresì, precisato che in questo caso la restituzione degli atti è legittima in virtù dell’applicazione analogica dell’art. 521, comma secondo, cod. proc. pen.
3.4. Ritiene, tuttavia, il Collegio che questi consolidati principi di diritto non possano più essere riproposti, nei medesimi termini, dopo l’introduzione, nella disciplina dell’udienza preliminare, dell’art. 423, comma 1-bis, cod. proc. pen., per effetto dall’art. 23, comma 1, lett. i), n. 2) del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150.
Questa disposizione, che ha dato attuazione al criterio direttivo enunciato dall’art. 1, comma 9, lett. n) della legge delega 27 settembre 2021, n. 134, sancisce che «Se rileva che il fatto, le circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza non sono indicati nell’imputazione in termini corrispondenti a quanto emerge dagli atti o che la definizione giuridica non è corretta, il giudice invita il pubblico ministero a operare le necessarie modificazioni. Se la difformità indicata permane, sentite le parti, il giudice dispone con ordinanza, anche d’ufficio, la restituzione degli atti al pubblico ministero».
Il legislatore della riforma ha, dunque, espressamente riconosciuto il potere del giudice dell’udienza preliminare di sindacare la genericità dell’imputazione e quello di riqualificare il fatto contestato, quando «la definizione giuridica non è corretta», e ha condizionato il loro esercizio al rispetto delle medesime modalità procedurali.
L’art. 423, comma 1-bis, cod. proc. pen., ha, infatti, recepito nella trama sistematica del codice di rito il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite nella sentenza Battistella con riferimento al sindacato del giudice dell’udienza sulla genericità dell’imputazione, estendendolo anche ai casi di riqualificazione dell’imputazione.
Nella Relazione illustrativa al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 si rileva che «ambedue gli interventi rispondono all’esigenza di celere definizione dei procedimenti, in quanto la completezza dell’imputazione e la sua correttezza (in punto di fatto e di diritto), per di più realizzata (salvo contrasti) senza retrocessione degli atti e nel contraddittorio con le parti, per un verso, consente il più rapido superamento dei casi problematici, per altro verso, facilita l’accesso ai riti alternativi, soprattutto se preclusi proprio dalla qualificazione giuridica o, in ogni caso, scoraggiati da fatti mal descritti o qualificazioni errate.
La soluzione adottata, oltre a impedire il verificarsi dell’evento anomalo per cui è solo con il decreto di rinvio a giudizio che emerge la qualificazione ritenuta dal giudice, consente altresì di svolgere il dibattimento su un oggetto (in fatto e in diritto) corretto, riducendo il rischio tanto di istruttorie inutili quanto di modifiche (ex art. 516 ss. c.p.p.) o retrocessioni (art. 521 c.p.p.) in corso di dibattimento o, addirittura, in esito ad esso».
L’art. 423, comma 1-bis, cod. proc. pen. ha, dunque, introdotto il contradittorio preventivo quale condizione per l’esercizio da parte del giudice dell’udienza preliminare del sindacato sulla dimensione fattuale e giuridica dell’imputazione.
Questa disposizione ha, dunque, sancito anche nell’udienza preliminare il principio affermato della sentenza Drassich (Corte EDU, 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia) e recepito dal costante orientamento della giurisprudenza di legittimità (ex plurimis: Sez. 6, n. 11670 del 14/02/2025, D., Rv. 287796 – 01; Sez. 5, n. 41534 del 09/10/2024, G., Rv. 287231 – 01; Sez. 5, n. 27905 del 03/05/2021, Rv. 281817-03), secondo il quale il giudice può dare al fatto, nel rispetto del principio del giusto processo di cui dell’art. 6 della Convenzione EDU, una diversa e più grave qualificazione giuridica, a condizione che la stessa sia prevedibile e che l’imputato sia stato messo in condizione di far valere le proprie ragioni in merito alla nuova definizione giuridica della vicenda.
3.5. Nel mutato contesto normativo, occorre, dunque, verificare, in primo luogo, se, in seguito all’introduzione dell’art. 423, comma 1-bis, cod. proc. pen., permanga o meno il potere del giudice dell’udienza preliminare di riqualificare il fatto contestato nel decreto che dispone il giudizio, anche in mancanza della previa sollecitazione del contraddittorio sul punto, o se la nuova disposizione contempli l’unica modalità legittima per il giudice di riqualificare il fatto contestato.
Ove si dovesse optare per la seconda opzione interpretativa, è, inoltre, necessario accertare se la riqualificazione operata nel decreto che dispone il giudizio, in violazione dell’art. 423, comma 1-bis, cod. proc. pen., costituisca una mera irregolarità, una nullità o determini l’abnormità di questo atto.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, avverso il decreto che dispone il giudizio non è previsto alcun mezzo di impugnazione e, pertanto, per il principio della tassatività dei mezzi di impugnazione, esso non è suscettibile di autonomo gravame e ogni censura deve esser fatta valere nella successiva fase dibattimentale (Sez. 5. n. 29492 del 07/05/2018, Manganaro, Rv. 273329 – 01; Sez. 5, n. 30558 del 28/05/2008, Leuzzi, Rv. 240429 – 01); per contro, il decreto che dispone il giudizio può dirsi immediatamente impugnabile quando presenti le caratteristiche dell’atto abnorme (ex plurimis: Sez. 1, n. 5388 del 18/10/1996, Vitalone, Rv. 206083 – 01).
3.6. Una recente sentenza di questa Corte ha escluso la legittimità della qualificazione ex officio nel decreto che dispone il giudizio (Sez. 6, n. 19109 del 26/03/2024, P., Rv. 286475 – 02).
La sentenza, che il Collegio condivide, ha rilevato che la restituzione degli atti al pubblico ministero, prevista dall’art. 423, comma 1-bis, cod. proc. pen. come rimedio alla permanente difformità fra l’imputazione formulata dalla pubblica accusa e quella ritenuta dal giudice dell’udienza preliminare, prevale sulla possibilità per il medesimo giudice di riqualificare il fatto all’atto dell’emissione del decreto che dispone il giudizio, in quanto il legislatore, in tal modo, ha intesto garantire, sin da subito, la corretta instaurazione del giudizio e il pieno esplicarsi del diritto di difesa dell’imputato, anche in relazione all’accesso ai riti deflattivi.
La sentenza ha precisato che, «a seguito dell’introduzione di uno specifico rimedio processuale, volto ad evitare difformità tra l’imputazione (sia in relazione alla descrizione del fatto che alla qualificazione giuridica) indicata nella richiesta di rinvio a giudizio, rispetto a quella contenuta nel decreto di rinvio a giudizio, deve ritenersi che il nuovo istituto prevalga sulla soluzione giurisprudenziale in precedenza individuata. A tale conclusione si giunge anche valorizzando un ulteriore elemento e, cioè, quello concernente la necessità di garantire la corretta instaurazione del giudizio fin dall’udienza preliminare, con riguardo alla qualificazione del fatto corretta ritenuta dal giudice» (pag. 6 della sentenza).
Nel disegno del legislatore della riforma, dunque, il nuovo potere di controllo e di “stabilizzazione” dell’imputazione previsto dall’art. 423, comma 1-bis, cod. proc. pen. esclude il potere del giudice dell’udienza preliminare di riqualificare il fatto contestato con il decreto che dispone il giudizio.
Questa scelta del legislatore è, peraltro, stata resa esplicita dell’intervenuta abrogazione dell’art. 429, comma 2-bis, cod. proc. pen.
Questa disposizione prevedeva che «[S]e si procede per delitto punito con la pena dell’ergastolo e il giudice dà al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione, tale da rendere ammissibile il giudizio abbreviato, il decreto che dispone il giudizio contiene anche l’avviso che l’imputato può chiedere il giudizio abbreviato entro quindici giorni dalla lettura del provvedimento o dalla sua notificazione. Si applicano le disposizioni dell’art. 485».
Il legislatore della riforma ha abrogato questa disposizione non solo in quanto l’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen. non ammette più il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo, ma anche in quanto la riqualificazione nell’udienza preliminare deve essere operata nelle forme esclusive delineate dall’art. 423, comma 1-bis, cod. proc. pen.
Nella Relazione illustrativa al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 si rileva, infatti, che «l’abrogazione in parola consentirà, oltre tutto, di concentrare la celebrazione del rito abbreviato per tutti i reati per i quali è prevista l’udienza preliminare innanzi al GUP, poiché l’imputazione dovrà essere in ogni caso modificata in udienza preliminare dal pubblico ministero e non potrà essere disposta autonomamente dal giudice in sede di decreto di rinvio a giudizio».
3.7. Esclusa la legittimità della riqualificazione operata dal giudice dell’udienza preliminare nel decreto che dispone il giudizio, è, dunque, necessario qualificare questa violazione della legge processuale.
Alcune recenti pronunce hanno ritenuto abnorme l’ordinanza del giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale che, ritenendo l’imputazione affetta da indeterminatezza, restituisca gli atti al pubblico ministero senza averlo previamente sollecitato, nel contraddittorio delle parti, ad integrare o a precisare la contestazione, in quanto determina, in violazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, un’indebita regressione del procedimento idonea ad alterare l’ordinata sequenza logico-cronologica (Sez. 2, n. 6800 del 13/02/2025, Mazzocchi, Rv. 287576 – 01; Sez. 2, n. 30440 del 14/03/2024, Vena, Rv. 286744 – 01; Sez. 5, n. 36056 del 09/07/2024, Mbagnick, Rv. 286933 – 01).
Pur essendo il contraddittorio sulla completezza e correttezza giuridica dell’imputazione previsto dall’art. 554-bis, comma 5, cod. proc. pen. omologo a quella disciplinato dall’art. 423, comma 1-bis, cod. proc. pen., tali pronunce hanno censurato provvedimenti di restituzione degli atti al pubblico ministero affetti da abnormità funzionale, che determinano un’indebita regressione del procedimento.
Nel caso di specie, ricorre, invece, un caso di abnormità strutturale per carenza di potere in concreto, in quanto il giudice dell’udienza preliminare che esclude un aggravante contestata senza previamente sollecitare il contraddittorio sul punto, ai sensi dell’art. 423, comma 1-bis, cod. proc. pen., esercita un potere che, in quelle forme, non gli è riconosciuto dalla legge processuale.
Le Sezioni unite hanno, infatti, recentemente rilevato che «l’abnormità è qualificabile come strutturale, laddove il provvedimento del giudice si ponga al di fuori del sistema processuale, in quanto espressione dell’esercizio di un potere non attribuito dall’ordinamento processuale, dunque adottato in una situazione di “carenza di potere in astratto”; ovvero quando esso sia manifestazione di un potere riconosciuto dall’ordinamento, ma esercitato al di fuori dei casi consentiti, in un contesto processuale del tutto diverso da quella previsto dalla legge, per cui sia riconoscibile una “radicale deviazione del provvedimento dallo scopo del suo modello legale”, dunque una situazione di “carenza di potere in concreto; in entrambe le ipotesi, si tratta di provvedimento frutto di uno sviamento di potere, che integra gli estremi del vizio della abnormità se è causa di un pregiudizio altrimenti non sanabile in relazione ai diritti soggettivi o alle facoltà delle parti.
L’abnormità è qualificabile, invece, come funzionale, laddove il giudice abbia esercitato un potere riconosciutogli dall’ordinamento, ma il provvedimento emesso comporti una stasi del procedimento ovvero un’impossibilità di proseguirlo: fattispecie che si verifica non tanto perché il provvedimento abbia comportato un regresso del procedimento ad un grado o ad una fase precedente (regresso che comporterebbe, di regola, la mera illegittimità del provvedimento, e, in assenza di espressa previsione legislativa, la non ricorribilità della relativa decisione), bensì unicamente quando esso imporrebbe al pubblico ministero il compimento di un atto nullo, come tale rilevabile nel corso del successivo procedimento; in altri termini, l’abnormità funzionale non sussiste laddove la decisione del giudice non comporti una irrimediabile stasi processuale, perché, indipendentemente dal fatto che vi sia stata o meno una indebita regressione del procedimento, le conseguenze del provvedimento “anomalo” finiscono per diventare “innocue”, in quanto risolvibili per mezzo di successive “attività propulsive legittime”» (Sez. U, n. 42603 del 13/07/2023, El Karti, Rv. 285213 – 02; Sez. U, n. 37502 del 28/04/2022, Scarlini, Rv. 283552 – 01; Sez. U, n. 20569 del 18/01/2018, Ksouri, Rv. 272715 – 01; Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Toni, Rv. 243590 – 01)» (Sez. U, n. 10869 del 12/12/2024, dep. 2025, D., Rv. 287607-01).
3.8. Ritiene, dunque, il Collegio che, in seguito all’introduzione dell’art. 423, comma 1-bis, cod. proc. pen., deve ritenersi abnorme, sotto il profilo strutturale, il decreto che dispone il giudizio che, senza la previa sollecitazione del contraddittorio, modifichi la qualificazione giuridica del fatto operata dal pubblico ministero nella propria richiesta, escludendo una circostanza aggravante.
4. Alla stregua di tali rilievi, deve essere annullato senza rinvio il decreto che dispone il giudizio impugnato, disponendo la trasmissione degli atti al Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Reggio Calabria per l’ulteriore corso.
Cass. pen., VI, ud. dep. 13.10.2025, n. 33679