*Urbanistica e edilizia – Intervento edilizio, sopravvenuto vincolo paesaggistico ed operatività della sanatoria con parere obbligatorio dell’Autorità

*Urbanistica e edilizia – Intervento edilizio, sopravvenuto vincolo paesaggistico ed operatività della sanatoria con parere obbligatorio dell’Autorità

1. L’odierna società appellante, Agririna Eredi Rinaldi Claudio s.a.s. di Rinaldi Barbara & C. s.a.s. (di qui in avanti, per brevità, solo Agririna), ha presentato l’istanza prot. QI/2004/41492 avente ad oggetto la comunicazione ai sensi degli artt. 22-23 del d.P.R. n. 380 del 2001 (c.d. Superdia) per interventi di “ristrutturazione di due tettoie pertinenziali agricole dell’azienda”.

1.1. Qualche mese dopo, con la nota prot. n. 51211 del 14 settembre 2004, la società ha comunicato l’inizio dei lavori di “costruzione di due strutture metalliche prefabbricate” in cemento armato normale e strutture metalliche, richiamando quale titolo edilizio abilitativo la suddetta istanza prot. QI/2004/41492.

1.2. Dopo aver esaminato l’istanza, con nota prot. 0072563 del 26 novembre 2004 Roma Capitale ha comunicato alla società il contrasto dell’intervento edilizio con le N.T.A. al P.R.G. vigente, in base al quale non erano consentiti aumenti di cubatura, ordinando di non effettuare le previste trasformazioni

1.3. Preso atto di quanto sopra, la società appellante ha presentato l’istanza di permesso di costruire in sanatoria ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, protocollo QI/2005/050029253 del 09.05.2005, per intervento di “trasformazione di due tettoie pertinenziali agricole in depositi pertinenziali agricoli”.

1.4. A seguito di sopralluogo, è stato tuttavia accertato che le opere edilizie oggetto della c.d. Superdia erano state realizzate, nonostante il diniego dell’amministrazione, e, pertanto, con determinazione dirigenziale n. 199 del 2 febbraio 2006 è stata ordinata la demolizione dei suddetti manufatti.

2. La società ha impugnato il suddetto ordine di demolizione con il ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma (di qui in avanti, per brevità, il Tribunale), iscritto al R.G. n. 8438/2006.

2.1. Nelle more, all’esito dell’istruttoria condotta dall’allora Dipartimento IX di Roma Capitale in relazione all’istanza di permesso di costruire in sanatoria presentata nel maggio 2005, è stata inoltrata comunicazione di preavviso di rigetto, ai sensi dell’art. 10-bis della l. n. 241 del 1990, con nota prot. QI/70607 del 24 ottobre 2008.

2.2. All’esito del contraddittorio procedimentale, l’amministrazione ha confermato il rigetto della istanza ex art. 36-bis del d.P.R. n. 380 del 2001 con la determinazione dirigenziale (di qui in avanti, per brevità, solo D.D.) n. 1403/2009.

2.3. La società, pertanto, ha impugnato dinanzi al Tribunale anche il provvedimento di rigetto dell’istanza di permesso di costruire in sanatoria con ricorso iscritto al R.G. n. 1833/2010.

2.4. Dopo aver riunito i due giudizi (R.G. n. 8438/2006 e R.G. n. 1833/2010), il Tribunale, con la sentenza 6711/2011, ha dichiarato l’improcedibilità per carenza di interesse del primo ricorso (avverso la D.D. n. 199/2006 di demolizione) e ha respinto, in quanto infondato, il secondo ricorso (avverso la D.D. 1403/2009).

3. Avverso la suddetta sentenza Agririna ha proposto appello a questo Consiglio di Stato, con ricorso iscritto al R.G. n. 2292/2012.

3.1. Nel frattempo, durante la pendenza del giudizio di appello, Agririna ha presentato una nuova istanza di permesso di costruire in sanatoria ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, prot. 120061846 del 26 luglio 2012, avente ad oggetto la “ristrutturazione di due manufatti agricoli consistenti in rimessa per le macchine agricole e deposito del fieno e completamento della ristrutturazione degli stessi”.

3.2. Il gravame proposto da Agririna è stato infine accolto da questo Consiglio di Stato con la sentenza n. 1909 del 9 aprile 2013.

3.3. Questo Consiglio di Stato ha accolto, infatti, sia l’originario ricorso presentato avverso la D.D. n. 199/2006 (ordine di demolizione) che il successivo ricorso presentato avverso la D.D. n. 1403/2009 (rigetto dell’istanza di permesso di costruire in sanatoria).

3.4. In esecuzione della pronuncia di questo Consiglio di Stato, dunque, l’amministrazione ha esaminato nuovamente l’istanza di permesso di costruire in sanatoria prot. 050029253 del 9 maggio 2005.

3.5. L’istruttoria ha dato ancora una volta esito negativo e, pertanto, con nota prot. QI/114828 del 25 novembre 2013 è stata indirizzata alla società appellante una nuova comunicazione di preavviso di rigetto, a cui ha fatto seguito il definitivo rigetto dell’istanza con la D.D. n. 791 del 13 maggio 2014.

3.6. In particolare, è stata ritenuta da Roma Capitale ostativa al rilascio dei richiesti permessi l’assenza dei seguenti atti:

• l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria ex art. 167 del d. lgs. n. 42 del 2004, stante la presenza di un regime vincolistico (archeologico e rurale);

• la dichiarazione sulla legittimità delle preesistenze e sullo stato dei luoghi;

• la dichiarazione del professionista in ordine alla c.d. doppia conformità;

• un atto d’obbligo recante l’asservimento a pertinenza dei nuovi manufatti;

• il non asservimento del lotto a precedenti costruzioni;

• una verifica dell’indice PTPR.

4. Di qui è sorto ancora il nuovo contenzioso, oggetto del presente giudizio, in quanto sia il preavviso di rigetto che la D.D. di demolizione, poc’anzi citate, sono stati impugnati da Agririna avanti al Tribunale, con il ricorso iscritto al R.G. n. 4018/2014 ed il correlato ricorso per motivi aggiunti iscritto al R.G. n. 10683/2014.

4.1. Nel frattempo, gli uffici hanno respinto anche l’istanza di permesso di costruire in sanatoria ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, presentata nel 2012 durante la pendenza del giudizio di appello, con D.D. n. 514 del 28 marzo 2014.

4.2. Tale ultima determinazione dirigenziale è stata pure essa impugnata dinanzi al Tribunale, con ricorso iscritto al R.G. n. 10715/2014.

4.3. Roma Capitale si è costituita in tutti e tre i giudizi depositando documentazione e relazione degli Uffici e chiedendo il rigetto dei ricorsi.

4.4. La società ha proposto tre istanze cautelari avverso gli atti impugnati, respinte dal giudice di primo grado con le ordinanze nn. 4624- 4625-4626 del 26 settembre 2014, che non sono stati impugnati con appello cautelare.

4.5. In vista dell’udienza di trattazione della causa dei tre procedimenti, fissata al 14 marzo 2023, Roma Capitale ha depositato in primo grado la propria memoria e documenti.

5. All’esito della discussione, con sentenza n. 5264 del 27 marzo 2023, il Tribunale ha riunito i tre ricorsi, in parte dichiarandoli inammissibili e in parte respingendoli nel merito.

5.1. Secondo il primo giudice, in sintesi, l’amministrazione aveva il potere di riesaminare l’istanza di sanatoria del 9 maggio 2005, come desumibile dal dispositivo della sentenza n. 1909 del 2013 del Consiglio di Stato e dall’orientamento giurisprudenziale – formatosi prima delle modifiche all’art. 10-bis della l. n. 241 del 1990, inapplicabili ratione temporis alla fattispecie, introdotte dal d.l. n. 76/2020, a mente del quale «in caso di annullamento in giudizio del provvedimento così adottato, nell’esercitare nuovamente il suo potere l’amministrazione non può addurre per la prima volta motivi ostativi già emergenti dall’istruttoria del provvedimento annullato» – fautore della teoria del c.d. “one shot temperato” secondo cui, nel caso di annullamento di un provvedimento di diniego, l’amministrazione ha l’obbligo di riesaminare la vicenda nella sua interezza con ciò implicitamente consentendo il riesame dell’istanza ovviamente nel rispetto dei limiti derivanti dal giudicato di annullamento.

5.2. Ciò posto, il Tribunale non ha ritenuto di potere condividere l’impostazione di parte ricorrente allorché ha prospettato che, ai fini della decisione in ordine alla domanda di sanatoria del 9 maggio 2025, sia irrilevante il vincolo paesaggistico entrato in vigore nel 2007 a seguito delle deliberazioni del Consiglio regionale n. 556 del 25 luglio 2007 e n. 1025 del 21 dicembre 2007 in quanto, a detta di Agririna, dovrebbe farsi riferimento al quadro giuridico e fattuale esistente al momento di presentazione della domanda di sanatoria del 2005.

5.2. Dalla disciplina del d.P.R. n. 380 del 2001 emerge che il rilascio del titolo edilizio è subordinato all’esistenza dei requisiti richiesti dalla normativa vigente al momento dell’adozione dell’atto e non della domanda del privato e, in questo senso, deporrebbe l’art. 12, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001 secondo cui «il permesso di costruire è rilasciato in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente» laddove, ovviamente, il termine “vigente” deve intendersi riferito alla data di rilascio del titolo edilizio.

5.3. Il richiamo della ricorrente al disposto del d.P.R. n. 380 del 2001, secondo cui la sanatoria deve essere rilasciata «se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda», non corroborerebbe, secondo il primo giudice, la tesi per cui il quadro giuridico e urbanistico da tenere presente ai fini del rilascio del titolo sia quello esistente al momento della domanda e non già del rilascio del titolo e ciò per un duplice ordine di ragioni:

a) la doppia conformità, come configurata dall’art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001, costituisce un presupposto di ammissibilità della domanda, ma non giustifica l’irrilevanza delle sopravvenienze fino al rilascio del titolo;

b) nel sistema “fisiologico” dell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 non vi è un significativo iato temporale tra presentazione della domanda e rilascio del titolo che deve intervenire nel termine di sessanta giorni pena il verificarsi del silenzio rigetto previsto dal comma 3 della disposizione.

5.4. Nel caso di specie, invece, la decisione dell’amministrazione interviene a distanza di anni dalla presentazione dell’istanza.

5.5. Per quanto concerne specificamente il vincolo paesaggistico sopravvenuto (ipotesi che ricorre nella fattispecie), la giurisprudenza ne avrebbe sempre ritenuto la rilevanza, ai fini della sanatoria, non potendo il vincolo sopravvenuto restare senza conseguenze sul piano giuridico, con la conseguenza che deve ritenersi sussistente l’onere procedimentale di acquisire il prescritto parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo in ordine all’assentibilità della domanda di sanatoria

5.6. In quest’ottica, rammenta ancora il Tribunale, l’Adunanza plenaria, nella sentenza n. 20 del 1999, ha evidenziato che la cura del pubblico interesse, in cui si concreta la pubblica funzione, ha come sua qualità essenziale la legalità: è la legge che attribuisce la funzione e ne definisce le modalità di esercizio, anche attraverso la definizione dei limiti entro i quali possono ricevere attenzione gli altri interessi, pubblici e privati, con i quali l’esercizio della funzione interferisce.

5.7. Si tratta di un compito, peraltro, che nessun’altra norma può svolgere se non quella vigente al tempo in cui la funzione si esplica (“tempus regit actum”).

5.8. Ne conseguirebbe che la pubblica amministrazione, sulla quale a norma dell’art. 97 Cost. incombe più pressante l’obbligo di osservare la legge, deve necessariamente tener conto, nel momento in cui provvede, della norma vigente e delle qualificazioni giuridiche che essa impone” e da ciò si desume, secondo il primo giudice, la rilevanza del vincolo sopravvenuto alla domanda di condono presentata ex l. n. 47 del 1985, in conformità, del resto, a quanto stabilito dall’Adunanza plenaria.

5.9. La parte ricorrente ha giustificato la pretesa all’applicazione della normativa vigente al momento della presentazione dell’istanza ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 con il richiamo all’effetto retroattivo ed eliminatorio derivante dal giudicato di annullamento formatosi sulla sentenza n. 1909 del 2013 di questo Consiglio di Stato.

5.10. Senonché, ha osservato ancora il Tribunale, il vincolo paesaggistico del 2007 rileva come fatto sopravvenuto ostativo all’esecuzione del giudicato in virtù del noto principio per cui l’esecuzione del giudicato trova limiti nelle sopravvenienze di fatto e diritto antecedenti alla notificazione della sentenza divenuta irrevocabile, conseguendone che la sopravvenienza è strutturalmente irrilevante sulle situazioni giuridiche istantanee, mentre incide su quelle durevoli nel solo tratto dell’interesse che si svolge successivamente al giudicato, determinando non un conflitto, ma una successione cronologica di regole che disciplinano la situazione giuridica medesima.

5.11. Quanto fin qui evidenziato ha indotto il Tribunale a ritenere che, ai fini della rivalutazione della domanda di sanatoria del 09/05/05 conseguente all’annullamento disposto dalla sentenza n. 1909/13 del Consiglio di Stato, l’amministrazione avrebbe dovuto tener conto del vincolo paesaggistico sopravvenuto.

5.12. Ne conseguirebbe che la mancanza dell’autorizzazione paesaggistica ex art. 167 del d. lgs. n. 42 del 2004 e l’omesso deposito dell’attestazione ex art. 481 c.p. del professionista incaricato circa la doppia conformità dell’intervento costituiscono circostanze che, di per sé sole, giustificano la reiezione dell’istanza di sanatoria disposta con la determinazione dirigenziale n. 791 del 13 maggio 2014.

5.13. Ciò comporterebbe l’inaccoglibilità delle ulteriori censure articolate dalla ricorrente in quanto:

– i vizi procedimentali, oggetto della prima doglianza, non determinano l’annullamento dell’atto impugnato, in ossequio a quanto previsto dall’art. 21-octies, comma 2, della l. n. 241 del 1990, stante la correttezza sostanziale e la natura vincolata dello stesso;

– le contestazioni circa l’illegittimità dell’efficacia preclusiva attribuita dall’amministrazione alla mancata dimostrazione della legittimità della preesistenza e al mancato impegno a non modificare la destinazione d’uso dell’area e all’asservimento dei fabbricati risultano inammissibili, per carenza d’interesse, data la natura plurimotivata dell’atto impugnato e l’autosufficienza, ai fini della legittimità del diniego di sanatoria, degli altri profili motivazionali (relativo alla sopravvenienza del vincolo paesaggistico e alla mancata attestazione del progettista circa la doppia conformità) in precedenza ritenuti legittimi.

5.13. Il Tribunale ha rilevato, infine, che la parte ricorrente alle pagine 24-26 del ricorso per motivi aggiunti, nel paragrafo “risarcimento del danno subito”, ha prospettato genericamente un danno riferibile alla violazione del buon andamento dell’azione amministrativa nel caso di specie ricondotta alla durata del procedimento.

5.14. Tale danno, per altro, è dalla stessa parte ricorrente qualificato anche come indennizzo ex art. 28 del d.l. n. 69 del 2003 e ristoro ex art. 114, comma 4, c.p.a.

5.15. Nell’epigrafe e nelle conclusioni dell’atto introduttivo così come nel paragrafo “risarcimento del danno subito” mancherebbe, però, una specifica domanda di parte ricorrente alla condanna di Roma Capitale al pagamento di tali somme e ne conseguirebbe che nessuna statuizione deve, in merito, essere emessa.

5.16. Solo per esigenza di completezza il Tribunale ha rilevato che:

– la parte ricorrente in prime cure, benché onerata ex art. 2697 c.c., non ha dedotto né tanto meno comprovato alcuna voce di danno;

– non sussistono i presupposti per l’indennizzo da ritardo ex art. 28 d.l. n. 69 del 2013, in quanto la disposizione è applicabile solo dopo la sua entrata in vigore laddove, in sede di riedizione del procedimento conseguente alla sentenza del Consiglio di Stato, nessun significativo ritardo si è verificato;

– l’art. 114, comma 4, c.p.a. è inapplicabile alla vicenda controversa mancando, alla luce di quanto detto, un ingiustificato ritardo o violazione nell’esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza n. 1909/13 del giudice di appello.

6. Avverso la suddetta sentenza, l’odierna appellante ha proposto appello avanti a questo Consiglio di Stato e ha articolato due motivi di censura, di cui meglio si dirà in seguito, chiedendone la riforma.

6.1. Si è costituita Roma Capitale, a sua volta, per chiedere la reiezione dell’appello.

6.2. Le parti, in vista dell’udienza pubblica fissata per la data del 23 settembre 2025, hanno depositato, ai sensi dell’art. 73 c.p.a., le rispettive memorie, anche di replica.

6.3. Infine nella pubblica udienza del 23 settembre 2025 il Collegio, sentiti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.

7. L’appello è infondato.

8. Occorre esaminare secondo l’ordine logico anzitutto, per la loro determinante – e, come si dirà, assorbente – rilevanza ai fini del decidere, i profili di censura con cui l’appellante Agririna deduce (pp. 7-14 del ricorso) che essa ha sostanzialmente reiterato l’originaria istanza del 2005, respinta con la D.D. n. 791 del 13 maggio 2014 ed impugnata dinanzi al Tribunale con motivi aggiunti al ricorso R.G. n. 4018/2014, depositando un’ulteriore istanza n. 120061846 del 26.7.2012, anch’essa rigettata con D.D. 514 del 28 marzo 2014, poi impugnata con un ulteriore ricorso al Tribunale con ricorso R.G. n. 10715/2014, tant’è che il giudice di prime cure ha riunito i giudizi per connessione oggettiva e soggettiva.

8.1. Ebbene, all’appellante preme ribadire che l’istanza del 5 maggio 2005, il cui rigetto era stato annullato e censurato dall’adito Consiglio di Stato con la citata sentenza n. 1909 del 9 aprile 2013, è stata nuovamente rigettata a seguito della riattivazione del potere amministrativo susseguente al giudicato.

8.2. Tuttavia, Roma Capitale, invece di limitarsi a riesaminare l’istanza, applicando la disciplina giuridica e fattuale vigente alla data della presentazione della stessa, ha applicato la disciplina vigente al momento dell’emissione del provvedimento, con la conseguenza che, con D.D. 791 del 13 maggio 2014 di rigetto, anziché limitarsi a riesaminare ora per allora l’istanza, l’ha riesaminata considerando non le sopravvenienze fattuali, bensì tutte le sopravvenienze normative (regolamentari e provvedimentali) medio tempore intervenute che, invero, al più avrebbero potuto/dovuto essere applicate solo alla successiva e rinnovata istanza n. 120061846 del 26 luglio 2012.

8.3. Difatti, sempre secondo l’appellante, sarebbe finanche superfluo evidenziare che, sia dal chiaro tenore testuale dell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 sia dal totalitario orientamento giurisprudenziale anche di codesto Consiglio di Stato (Cons. St., sez. VI, 9 giugno 2023, n. 5708), l’intervento edilizio deve essere conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al tempo della realizzazione dell’opera, sia al momento di presentazione dell’istanza ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, con evidente irrilevanza della disciplina sopravvenuta posteriormente alla presentazione dell’istanza.

8.4. Tale principio, tuttavia, sarebbe stato palesemente disatteso sia dall’amministrazione che dal giudice di prime cure, avendo entrambi dato rilevanza anche alla disciplina sopravvenuta alla presentazione dell’istanza anche con riferimento al primigenio giudizio (rectius: motivi aggiunti avverso diniego della sanatoria del 2005).

8.5. Difatti, Agririna ha chiaramente eccepito in tutti i gravami che le domande di sanatoria sarebbero dovute essere definite alla stregua della disciplina giudica esistente all’epoca della presentazione dell’istanza inoltrata nell’anno 2005, tant’è che sia il nuovo P.R.G. (con le relative N.T.A.) che il P.T.P.R. sono stati adottati solo nel 2008 e, dunque, solo per le domande in sanatoria successive a tale data possono essere ritenute rilevanti le modifiche normative sopravvenute

8.6. La società appellante, pertanto, con il motivo in esame impugna e contesta quella che assume essere la artificiosa, illegittima, oltre che vessatoria ed illogica ricostruzione dell’istituto dell’accertamento di conformità disciplinato dall’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 operata dal giudice di prime cure, criticandone, in quanto inconferente, la relativa motivazione.

8.7. Innanzi tutto essa richiama il dato testuale e letterale espresso dalla disciplina che, com’è noto, vincola in maniera inderogabile sia le parti (pubblica e privata) che l’autorità giudiziaria, anche sotto il profilo ermeneutico (art. 12 Preleggi), per poi sottolineare la specialità ed eccezionalità della disciplina coniata dall’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 che, dunque, è del tutto differente e diversa dall’ordinario regime previsto dall’art. 12, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001, ai sensi del quale «il permesso di costruire è rilasciato in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente».

8.8. Il Tribunale, per giustificare la rilevanza del regime sopravvenuto, richiama la disciplina di cui all’art. 12, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001, non considerando che tale disposizione disciplina l’ipotesi ordinaria di acquisizione del titolo edilizio e non quella speciale od eccezionale prevista dall’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 che, dunque, deroga al regime ordinario nei limiti da essa espressi.

8.9. Difatti, mentre nel regime ordinario ai sensi dell’art. 12, comma 1, cit., il titolo deve essere conforme agli strumenti urbanistici e alla disciplina edilizia vigente, senza specificare alcuna data e, dunque, ritenendosi applicabile anche il regime sussistente al momento dell’emissione del provvedimento, ossia dando rilevanza ai mutamenti normativi sopravvenuti tra la data di presentazione dell’istanza e quella della sua definizione, non altrettanto è stato previsto per il regime speciale di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, dove il legislatore si è premurato di specificare, in maniera chiara e tassativa, i momenti ritenuti rilevanti per la c.d. doppia conformità, indicandosi nel tempo della realizzazione dell’opera e nel momento della presentazione della domanda.

8.10. Se il legislatore avesse voluto introdurre anche per l’acquisizione del permesso a costruire in sanatoria l’analogo regime previsto per l’acquisizione del permesso a costruire secondo la procedura ordinaria di cui all’art. 12, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001, ne avrebbe mutuato i termini, senza alcuna ulteriore specificazione ed indicazione dei momenti rilevanti per la doppia conformità.

8.11. Così non è stato e, quindi, né l’amministrazione né il Tribunale potrebbero, deduce ancora l’appellante, sovvertire un elemento espresso a chiare lettere dalla disposizione normativa sulla base di valutazioni che, se ben analizzate, appaiono di mera opportunità, se non di politica legislativa de iure condendo.

8.12. Anche la statuizione del primo giudice, secondo la quale la doppia conformità rappresentando un presupposto di ammissibilità dell’istanza non giustificherebbe l’irrilevanza delle sopravvenienze fino al rilascio del titolo, appare causalmente scoordinata dalla finalità che con essa si vorrebbe perseguire e, cioè, la rilevanza perenne sino alla definizione del procedimento delle sopravvenienze normative, nonostante il chiaro e contrario tenore della disposizione normativa.

8.13. Anzitutto non sarebbe previsto da alcuna fonte che la doppia conformità sia un requisito di ammissibilità, trattandosi all’evidenza di un requisito sostanziale e, dunque, di meritevolezza della richiesta sanatoria.

8.14. In secondo luogo, deduce ancora l’appellante, se anche fosse considerato un requisito di ammissibilità dell’istanza, non si comprendono le ragioni per le quali tale asserita natura e vocazione sterilizzerebbe il chiaro tenore della legge e, soprattutto, renderebbe sempre rilevanti le modifiche sopravvenute, quasi a voler richiedere una terza conformità (conformità al momento dell’esecuzione dell’opera, al momento della presentazione della domanda, al momento dell’emissione del provvedimento), all’evidenza non prevista e creata ad hoc dal giudice di prime cure.

8.15. Vero è, ammette Agririna, che nei procedimenti di condono è sempre rilevante il regime vincolistico sopravvenuto sino alla definizione del procedimento, ma in quei procedimenti non v’è una tassativa previsione che indica con precisione i momenti in cui la disciplina è rilevante, come invece accade nella sanatoria ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001.

9. Le censure dell’appellante, nei termini esposti, non meritano condivisione.

10. La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, ancor di recente, ha ribadito il principio secondo il quale, se è vero che il vincolo sopravvenuto non può operare in via retroattiva, lo stesso non può neppure restare senza conseguenze sul piano giuridico, dovendosi ritenere sussistente l’onere di acquisire il parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo in ordine alla assentibilità della sanatoria delle opere abusivamente realizzate in precedenza alla sua apposizione (v., ex multis, Cons. St., sez. VI, 3 aprile 2024, n. 3047, Cons. St., sez. VII, 6 marzo 2023, n. 2307, Cons. St., sez. VI, 28 luglio 2022, n. 6671; Cons. St., sez. VI, 21 luglio 2017, n. 3603; Cons. St., sez. VI, 7 maggio 2015, n. 2297).

10.1. In proposito, basti qui solo rammentare – come del resto ha fatto correttamente la sentenza qui gravata – che l’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, con sentenza n. 20 del 1999, dopo aver passato in rassegna i contrastanti orientamenti all’epoca emersi in sede giurisprudenziale, ha rilevato come il vincolo paesaggistico su un’area, ancorché sopravvenuto all’intervento edilizio, non possa restare senza conseguenze sul piano giuridico, derivandone, indefettibilmente, che deve ritenersi sussistente l’onere procedimentale di acquisire il prescritto parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo in ordine all’assentibilità della domanda di sanatoria, a prescindere dall’epoca d’introduzione del vincolo, per essere tale valutazione funzionale all’esigenza di vagliare l’attuale compatibilità dei manufatti realizzati abusivamente con lo speciale regime di tutela del bene compendiato nel vincolo.

10.2. Ora, se è vero che la giurisprudenza richiamata si riferisce all’ipotesi in cui sia stata proposta istanza di sanatoria e debba concludersi il relativo procedimento, è del tutto evidente e consequenziale che tale principio debba trovare applicazione anche nell’ipotesi in cui, in presenza di un immobile abusivo, l’ente preposto alla tutela del territorio ne ordini la demolizione (v., sul punto, Cons. St., sez. VI, 3 aprile 2024, n. 3047).

10.3. Ciò in quanto, sulla base del principio tempus regit actum, rileva il complessivo regime giuridico dell’area alla data di emanazione del provvedimento conclusivo del procedimento, sicché la sopravvenienza del vincolo, rispetto all’edificazione delle opere, osta al rilascio del titolo non solo per le molteplici previsioni delle varie leggi condonistiche, ma anche in riferimento alla generale disciplina del permesso in sanatoria di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001.

10.4. Non a caso questo Consiglio, respingendo censura analoga a quella proposta, nel presente giudizio, che fa leva sulla violazione del principio della c.d. doppia conformità di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, ha sancito, espressamente, che «contrariamente a quanto asserito dall’appellante non basta, pertanto, in caso di vincolo sopravvenuto all’esecuzione dell’opera abusiva, la c.d. doppia conformità urbanistica dell’immobile, in quanto indipendentemente dal fatto che l’abuso risulti sanabile dal punto di vista edilizio, la sanatoria potrà essere concessa solo nel caso in cui i lavori eseguiti siano ritenuti compatibili con l’interesse paesistico tutelato» (Cons. St., sez. VI, 28 luglio 2022, n. 6671).

10.5. E pertanto correttamente l’amministrazione comunale ha tenuto conto, in ossequio a tali consolidati principi, del vincolo paesaggistico sopravvenuto anche in presenza di istanza proposta ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, non potendo considerarsi irrilevante o indifferente, tamquam si non esset, per l’amministrazione preposta al governo del territorio, il sopraggiungere di un vincolo paesaggistico incompatibile con l’opera, anche se all’epoca in cui fu realizzata tale vincolo non sussisteva.

10.6. Né è condivisile eccepire, come fa l’appellante, che di tale sopravvenienza non dovrebbe tenersi conto perché, in conseguenza dell’annullamento disposto da questo Consiglio di Stato con la sentenza n. 1909 del 2013, la valutazione dovrebbe compiersi ex tunc, ora per allora, sulla base del regime giuridico vigente nel 2005.

10.7. Prescindendo qui dal rilievo che l’appellante, nei tre giudizi incardinati al Tribunale e poi riuniti, ha impugnato anche il diniego opposto da Roma Capitale all’ulteriore istanza nel 2012, allorché il vincolo, pacificamente, esisteva (ciò che l’appellante stessa, con estrema correttezza, riconosce), basti qui rilevare che le sopravvenienze normative precedenti al giudicato – come quella in questione – incidono in modo evidente, e inevitabile, sull’esecuzione del giudicato stesso.

10.8. Invero, come pure ha ben evidenziato il primo giudice, è orientamento ormai costante di questo Consiglio – almeno a far data dalla pronuncia n. 11 del 9 giugno 2016 dell’Adunanza plenaria – che, nella contrapposizione fra naturale dinamicità dell’azione amministrativa nel tempo ed effettività della tutela, un punto di equilibrio è stato tradizionalmente rinvenuto nel principio generale per cui l’esecuzione del giudicato può trovare limiti solo nelle sopravvenienze di fatto e diritto antecedenti alla notificazione della sentenza divenuta irrevocabile, sicché la sopravvenienza è strutturalmente irrilevante sulle situazioni giuridiche istantanee, mentre incide su quelle durevoli nel solo tratto dell’interesse che si svolge successivamente al giudicato, determinando non un conflitto ma una successione cronologica di regole che disciplinano la situazione giuridica medesima.

10.9. Anche per le situazioni istantanee, però, la retroattività dell’esecuzione del giudicato trova, peraltro, un limite intrinseco e ineliminabile (che è logico e pratico, ancor prima che giuridico), nel sopravvenuto mutamento della realtà – fattuale o giuridica – tale da non consentire l’integrale ripristino dello status quo ante (come esplicitato dai risalenti brocardi factum infectum fieri nequit e ad impossibilia nemo tenetur) che semmai, ove ne ricorrano le condizioni, può integrare il presupposto esplicito della previsione del risarcimento del danno, per impossibile esecuzione del giudicato, sancita dall’art. 112, comma 3, c.p.a. (v., ex plurimis, Cons. St., sez. IV, 16 aprile 2024, n. 3443).

11. Siffatto orientamento, merita qui solo precisare, è stato affermato dalla giurisprudenza di questo Consiglio soprattutto con riferimento alle sopravvenienze in materia di edilizia e urbanistica, rispetto a provvedimenti di diniego di concessione edilizia, annullati in sede giurisdizionale, e ha la sua giustificazione nella circostanza che l’interesse all’esecuzione del giudicato in materia edilizia-urbanistica deve essere mediato con l’interesse generale al rispetto dei nuovi assetti in materia nel frattempo intervenuti (v., sul punto, Cons. St., sez. VI, 17 giugno 2010, n. 3851).

11.1 Può così affermarsi che le sopravvenienze di fatto e di diritto anteriori alla notifica della sentenza costituiscono un ostacolo e un limite all’esecuzione del giudicato laddove le stesse comportino un diverso assetto dei pubblici interessi che sia inconciliabile con l’interesse privato salvaguardato dal giudicato mentre, ove siffatta inconciliabilità non vi sia, torna invece a riespandersi la generale regola secondo cui la durata del processo non deve andare in danno della parte vittoriosa e la parte vittoriosa ha diritto all’esecuzione del giudicato in base allo stato di fatto e di diritto vigente al momento dell’adozione degli atti lesivi caducati in sede giurisdizionale (Cons. St., sez. VI, 22 ottobre 2002 n. 5816).

12. Ne segue che l’amministrazione, nel caso di specie, non avrebbe potuto non tener conto del vincolo paesaggistico sopravvenuto, precedente alla formazione del giudicato del 2013 favorevole all’odierna appellante, in quanto è fuor di dubbio – e, del resto, nemmeno contestato – che sull’area insiste, da prima del 2013, il vincolo indicato nei provvedimenti di rigetto del permesso di costruire in sanatoria (vincolo archeologico dei punti rurali ai sensi degli artt. 41- 44 delle N.T.A. al P.R.G. vigente).

12.1. Il mancato deposito dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, ai sensi dell’art. 167 del d. lgs. n. 42 del 2004, non poteva che determinare, dunque, il rigetto dell’istanza di sanatoria, come hanno correttamente rilevato i provvedimenti di diniego contestati nel presente giudizio e, altrettanto correttamente, il primo giudice.

13. Tale ragione è di per sé sufficiente a sorreggere la legittimità dei dinieghi impugnati, come ha altrettanto correttamente rilevato la sentenza impugnata, che quindi non ha esaminato gli ulteriori profili di doglianza, riproposti dall’appellante in questa sede con il primo motivo (pp. 4-7 del ricorso), dato che essi sarebbero stati, anche ove fondati, ininfluenti ai fini del decidere, alla luce del consolidato principio di diritto secondo cui «in presenza di un atto plurimotivato, è sufficiente la legittimità di una sola delle ragioni giustificatrici per sostenere il provvedimento, tenuto conto che, anche in caso di fondatezza degli ulteriori motivi di doglianza riferiti alle distinte rationes decidendi poste a fondamento del provvedimento amministrativo, questo non potrebbe comunque essere annullato in quanto sorretto da un’autonoma ragione giustificatrice (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. V, 17/07/2024, n. 6416)» (Cons. St., sez. V, 11 ottobre 2024, n. 8180).

14. Ne segue che, per tutte le ragioni esposte, l’appello deve essere respinto, con la conseguente conferma della sentenza impugnata.

14.1. Si deve solo qui aggiungere, per completezza, che, non essendo state impugnate le statuizioni reiettive delle richieste risarcitorie – anche ai sensi dell’art. 114, comma 4, c.p.a. – e/o indennitarie, proposte in primo grado, le medesime devono ritenersi qui definitivamente confermate.

15. Le spese del presente grado del giudizio, considerate la complessità della risalente vicenda e, comunque, la sopravvenienza del vincolo rispetto all’esecuzione delle opere contestate, possono essere interamente compensate tra le parti.

15.1. Rimane definitivamente a carico di Agririna il contributo unificato richiesto per la proposizione del gravame.

CONSIGLIO DI STATO, VII – sentenza 03.10.2025 n. 7754

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