Con l’ordinanza reclamata il primo giudice rigettava la domanda di sequestro conservativo proposta dalla società C.M. s.r.l. contro i resistenti tre CE. quali ex amministratori di P.E. s.r.l., in vista dell’azione risarcitoria da esercitare quale creditrice di P.E. (in quanto acquirente del credito litigioso vantato da Cor.Mar. s.r.l. di Marostica) rimasta insoddisfatta dagli atti esecutivi già posti in essere.
Il primo giudice, superate le eccezioni preliminari di carenza di legittimazione attiva e di prescrizione, riteneva infondati tutti i profili di responsabilità indicati dalla ricorrente:
– l’addebito di avere acquistato a fine 2014 beni immobili dalla società compensandoli con crediti da finanziamento soci in realtà postergati, in quanto dai documenti risultava che i beni erano stati acquistati compensando il debito per prezzo non con crediti da finanziamento soci ma con gli importi di riserve che erano state distribuite nel medesimo torno di tempo dalla società;
– l’addebito di avere distribuito nello stesso periodo 2014 riserve, in quanto esse erano ritenute in parte (riserva di sovrapprezzo azioni) liberamente distribuibili e comunque (con riguardo alle “altre riserve”, che il giudice riteneva costituite da versamenti in conto capitale) dal momento che residuavano comunque, all’esito della distribuzione, risorse sufficienti per fare fronte ai debiti;
– l’addebito di avere venduto altri beni sociali nel 2015 e nel 2016, ritenuto generico;
– l’addebito di non avere appostato un fondo rischi a fronte della pretesa, in quanto l’ammontare del debito accertato (in Accertamento Tecnico Preventivo del 2011/2012) al momento della cessazione dalla carica degli amministratori (2015) era di importo tale (euro 38.000) da fare escludere che anche ove appostato un fondo rischi avrebbe potuto portare a negativo il patrimonio netto.
Riteneva anche insussistente per due resistenti il periculum in mora.
Reclama la ricorrente, dolendosi:
– del fatto che, non avendo controparte contestato che quelli portati in compensazione fossero crediti per restituzione di finanziamenti, al giudice fosse inibito trattare la materia sotto altro aspetto e in particolare ritenere che si trattasse di credito per riserve distribuite, con conseguente violazione del disposto dell’art. 112 c.p.c.;
– del fatto che, ove anche riguardato l’affare come concluso con compensazione di riserve, la riserva per sovrapprezzo azioni non fosse in realtà distribuibile in mancanza dei presupposti di legge, e che la riserva da conferimento non fosse tangibile fino alla liquidazione;
– del fatto che il giudice avesse confidato sul patrimonio netto positivo risultante da bilancio, dovendosi invece rettificare diverse voci dello stesso;
– del fatto che il giudice avesse ritenuto il credito noto agli amministratori di P.E. ammontante ai soli euro 38.000 accertati in ATP, quando doveva ritenersi incontestato che la creditrice aveva invece già rivendicato un credito ben maggiore, inclusivo di danni, per l’importo di euro 100.000 circa;
– della non corretta valutazione in punto periculum.
I reclamati si sono costituiti con difese su ambedue i presupposti della cautela. Premessa alla decisione è il richiamo al carattere devolutivo del reclamo.
Sono pacifici i seguenti fatti:
– i tre resistenti erano soci e amministratori di P.E.;
– P.E. aveva instaurato nel 2009 e poi risolto un contratto di appalto con COR.MAR. s.r.l.;
– COR.MAR aveva incardinato nel 2011 un procedimento per ATP, e il consulente aveva stimato, con relazione del 2012, che il credito di COR MAR per compenso ammontava ad euro 38.000;
– in data 7/11/2014 l’assemblea di P.E. deliberava di distribuire le riserve, ammontanti
in allora ad oltre euro 1,2 milioni (la delibera non è prodotta);
– in data 22/12/2014 i tre soci acquistavano dalla società degli immobili compensando il prezzo con i crediti “risultanti dalla predetta delibera” del 7/11/2014;
– nel corso del 2015 i tre CE. cessavano dalla carica (dalla visura si ricava che fra luglio e agosto 2015 CE.A. restava socio e amministratore unico) e a fine 2015 la società era posta in liquidazione, assumendo CE.A. la veste di liquidatore;
– nel 2016 C.M. s.r.l., dopo avere acquistato nel 2015 da COR MAR il credito rinveniente dal contratto di appalto risolto, agiva nel merito avanti il Tribunale di Vicenza contro P.E., per il pagamento del compenso dovuto e per il risarcimento del danno;
– nel 2020 era pubblicata la sentenza del Tribunale di Vicenza che riconosceva alla attrice vittoriosa poco meno di euro 100.000 capitali per compenso (38.805) e risarcimento danni (56.800) oltre alle spese del merito e dell’ATP;
– nei 2021 la C.M. agiva esecutivamente ottenendo assegnazione di modeste somme;
– successivamente, proposta senza successo istanza di fallimento di P.E., C.M. instava al Tribunale di Vicenza per la Liquidazione Controllata della debitrice ex art. 268 del codice della Crisi, e il suo credito – allora ammontante ad oltre euro 150,000 – veniva ammesso al passivo.
– nel 2023, con missiva del 20 febbraio ad Andrea CE. e con missiva del 9 maggio a CE.SI. e CE.S., la creditrice richiedeva il risarcimento del danno i tre ex amministratori, allegando illeciti gestori causativi della incapienza sociale.
Successivamente parte ricorrente incardinava un primo ricorso per sequestro avanti a questa Sezione, ma vi rinunciava. Proponeva per secondo quello in esame, introdotto nel maggio 2024.
In premessa, va osservato che la domanda di merito che fonda la pretesa attorea è quella di responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali per danno indiretto, derivante dal depauperamento per mala gestio del patrimonio sociale, in forza di una azione testualmente prevista solo per le s.p.a. dall’art. 2394 c.c. ma da tempo ritenuta in via interpretativa estesa anche alle s.r.l., e oggi prevista espressamente per le s.r.l. dall’art 2476 comma 6 c.c.. Si tratta di una azione di carattere extracontrattuale, nella quale dunque incombe all’attore l’intero onere probatorio, esteso anche alla sussistenza dell’elemento della colpa o dolo dell’autore dell’illecito.
Si condivide innanzitutto la conclusione del primo giudice sulla legittimazione attiva della creditrice, pur in costanza di procedura in senso lato concorsuale, dal momento che in effetti non è prevista l’estensione a tale procedura del disposto dell’art. 255 del codice, e dunque il liquidatore nominato dal Tribunale non può esercitare le azioni previste dall’articolo, fra le quali quella di cui all’art. 2476 comma 6 c.c. Il disposto dell’art. 274 del Codice invece ( “Il liquidatore, autorizzato dal giudice delegato, esercita o se pendente, prosegue, ogni azione prevista dalla legge finalizzata a conseguire la disponibilità dei beni compresi nel patrimonio del debitore e ogni azione diretta al recupero dei crediti.”) riguarda le azioni recuperatorie, da esercitare in nome della società, relative ai beni e diritti della società, e non affatto le azioni spettanti ai creditori.
Con riguardo alla prescrizione, si condivide con il primo giudice l’apprezzamento per il quale l’emersione all’esterno (e quindi ai creditori sociali) della insufficienza del patrimonio alla soddisfazione dei debiti sociali, presupposto indispensabile per il decorso della prescrizione secondo la regola generale dell’art. 2935 c.c., deve collocarsi alla data di pubblicazione del bilancio 2017 di P.E., il primo a presentare patrimonio netto negativo. Tale pubblicazione avvenne il 23/4/2018 e pertanto rispetto alla corretta data costituisce in effetti valido atto interruttivo la diffida del febbraio 2023 inviata a CE.A., pervenuta entro i cinque anni della durata dell’azione sociale; non la diffida del maggio 2023 inviata a Silvia e Sergio CE., successiva al maturare del quinquennio. L’ordinanza contiene un mero errore materiale nella indicazione della data della pubblicazione del bilancio in questione (18/5/2017 anziché 23/4/2018).
Ritenuta dunque utilmente interruttiva la sola missiva del febbraio, corre allora il dovere di ricordare che solo per gli addebiti sollevati con tale lettera e conseguenti diritti è fatta salvezza dalla prescrizione (con effetto esteso ai coobbligati solidali ex art. 1310 c.c.). Orbene, l’unico addebito sollevato in detta missiva che qui sia pertinente (parte reclamante non difende ulteriormente l’altro addebito, rigettato, fondato sulle vendite immobiliari del 2015 e del 2016, una delle quali pure richiamata nella lettera) è la sola vendita immobiliare perfezionata il 22/12/2014 fra la società e CE.A., per il prezzo di euro 454.000, di cui 373.413,59 compensati con crediti del CE. verso la società.
Alla luce di ciò, appare dirimente osservare che in tanto il fatto addebitato può comportare condanna risarcitoria in quanto esso si ponga in nesso di causalità con il danno: e se il solo fatto illecito che possa considerarsi non coperto da prescrizione è questo, è evidente che esso non può porsi in nesso causale con la incapienza della società rispetto al credito della ricorrente, allegato in euro circa 150.000 (e peraltro oggi ridottosi in parte per effetto della assegnazione ad essa della somma di oltre euro 41.000 in sede di liquidazione controllata, oltre che delle somme ottenute in sede esecutiva) dato che anche elidendo dalle riserve i 373.413 euro utilizzati per pagare parzialmente il prezzo della compravendita di CE.A., l’ammontare delle riserve residue (oltre euro 800 mila) sarebbe rimasto ben sufficiente a soddisfare la ricorrente.
In ogni caso, anche a superare questa dirimente valutazione, la domanda cautelare della ricorrente non avrebbe raggiunto il necessario grado del fumus boni iuris, dal momento che la vicenda avrebbe dovuto essere esplorata mediante valutazione consulenziale.
Non ha meritevolezza, innanzitutto, la censura ex art. 112 c.p.c. proposta dalla reclamante: il suo assunto (se il ricorrente addebita una compensazione con credito da finanziamento soci, e se il convenuto non nega che si tratti di finanziamento soci, al giudice è preclusa altra qualificazione del credito) pretende di togliere al giudice il potere di esaminare i documenti che la parte ricorrente stessa ha allegato a sostegno della propria tesi, in particolare l’atto di compravendita e il bilancio 2014, e di qualificare correttamente il credito portato in compensazione, anche al di là di come la qualifichi la stessa parte resistente, per applicare poi la pertinente regola giuridica.
Parte resistente in effetti non aveva contestato che quanto portato a compensazione del prezzo fosse costituito da crediti da finanziamento soci, e si era peraltro concentrata piuttosto nel contestare i presupposti della postergazione, la quale ultima peraltro nel ricorso era stata meramente nominata ma non affatto argomentata. È peraltro da osservare che la stessa ricorrente a p. 9 del suo atto di reclamo mostra di ritenere, non correttamente, che i crediti da finanziamento soci ricomprendano i “versamenti in conto capitale”, i quali invece sono cosa ben diversa e non sono regolati dall’art. 2467 c.c.. Sono i versamenti in conto capitale a stare a fondamento della iscrizione delle “altre riserve” per oltre euro 800mila, abbattute nel corso del 2014 per distribuzione; tanto alla luce della nota integrativa al bilancio 2014.
Stando al rogito con il quale vennero venduti ai tre soci vari immobili di P.E., dunque, buona parte del prezzo di vendita dei beni immobili acquistati dai tre soci veniva da crediti di essi che trovavano titolo in una delibera (7/11/2014) che non è stata prodotta, ma il cui contenuto (distribuzione delle riserve) si ricava da altri elementi, in particolare appunto dal bilancio di quell’anno. Il bilancio 2014 mostra e illustra in nota integrativa la avvenuta distribuzione delle riserve per oltre 1,2 milioni di euro (445.050 per riserva di sovrapprezzo azioni e 800.127 per “altre riserve” 9) mentre non mostra affatto una preesistente mole di debito per finanziamento soci, eventualmente abbattutosi in quell’anno.
Il primo giudice doveva e poteva verificare il titolo del credito portato in compensazione, dato che oltretutto il secondo addebito, la avvenuta distribuzione delle riserve, finiva per riguardare i medesimi titoli. Deve darsi dunque per acquisito che il prezzo dei beni venne pagato in parte con compensazione delle riserve distribuite.
Correttamente il primo giudice ha rilevato, a questo punto, che anche dopo la distribuzione delle riserve e la compravendita dei beni (nessuna contestazione è stata sollevata riguardo alla congruità del prezzo) la società chiudeva comunque il bilancio con un patrimonio netto positivo, ben superiore al credito che poteva prospettarsi in quel momento in capo alla creditrice.
In quell’epoca infatti (il bilancio 2014 venne depositato il 16/6/2015; i fatti contestati peraltro sono del novembre e dicembre 2014 ed è rispetto a quest’epoca che devono valutarsi gli elementi oggettivi e soggettivi dell’illecito) non era stata ancora incardinata la causa di merito, in cui venne anche richiesto il risarcimento del danno, e dunque gli amministratori erano solo a conoscenza dell’esito dell’accertamento tecnico preventivo che aveva determinato il credito per compensi in euro 38.000, somma bene inferiore al patrimonio netto residuo dopo la distribuzione e le cessioni immobiliari (89.141). È bene osservare che in quel momento la debenza per risarcimento – ove anche ne fosse stata fatta richiesta, circostanza solo fuggevolmente e genericamente accennata a p. 2 del ricorso, senza indicazione neppure dell’epoca della pretesa richiesta (“la creditrice, che sin da allora rivendicava…”) e quindi certamente non suscettibile di determinare un onere di contestazione; circostanza parimenti indicata in modo generico nella sentenza del 2020 – non costituiva in alcun modo un debito, ma, ammesso ve ne fosse richiesta, al più un rischio. La questione se il compenso dovuto a COR MAR costituisse già a fine 2014 un debito da iscrivere in contabilità (assumendo che non fosse stato iscritto) e se già a tale data si potesse considerare esistente un rischio riguardo al risarcimento del danno, meritevole della appostazione di un apposito fondo, e di quale entità, e se in esito a ciò il patrimonio netto residuo dovesse considerarsi insufficiente rispetto alla soddisfazione del diritto della ricorrente, quale ragionevolmente e prudentemente prospettabile in quel momento, dovrebbe essere approfondita peritalmente, e non può essere risolta in questa sede cautelare.
È infatti da ricordare che la prospettata domanda giudiziale per la quale è svolto il ricorso è una domanda di stampo extracontrattuale, onde la parte ricorrente è onerata anche di provare la colpa degli amministratori: in particolare sotto il profilo della negligenza. La valutazione se al momento in cui furono posti in essere gli atti censurati fosse prevedibile la maturazione del credito quale poi riconosciuto nella sentenza sopraggiunta nel 2020, e se dunque fu negligente l’operato degli amministratori, costituisce uno dei tasselli della valutazione della probabile fondatezza della domanda; e su questo aspetto, in ragione di quanto si è detto riguardo al “credito” di COR MAR prima e di C.M. poi, non vi sono elementi di adeguata valutazione.
Del tutto nuove sono le censure che parte reclamante, una volta fallita la prospettazione fondata sulla postergazione, formula rispetto alla distribuibilità della riserva da sovrapprezzo; e soprattutto le sue osservazioni che vorrebbero vedere rettificate le voci del bilancio 2014, per trarne un dato di patrimonio netto diverso e inferiore a quello che si legge nel bilancio depositato. In ogni caso si tratta sempre di aspetti non risolvibili senza un approfondimento tecnico, e dunque non certo in sede cautelare.
Conseguentemente, non ravvisandosi allo stato sufficienti ragioni di prevedibile accoglimento della domanda, non occorre passare all’esame del requisito del pericolo che nelle more della causa il credito vantato possa essere concretamente frustrato.
Segue pronuncia sulle spese, secondo soccombenza, considerate le fasi di studio e introduttiva, e, per la fase decisionale, dell’assenza di scritti. Si applica l’art. 13 comma 1quater d.p.r. 115/2002 con conseguente debenza del c.d. doppio contributo unificato.
Trib. Venezia, ord., 08.03.2025