Famiglia – Filiazione – Separazione – Provvedimento di separazione e mancato recepimento dei patti intercorsi tra i coniugi, questioni di validità

Famiglia – Filiazione – Separazione – Provvedimento di separazione e mancato recepimento dei patti intercorsi tra i coniugi, questioni di validità

1.1. Con atto di citazione ritualmente notificato, M.I. ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo n. 706/2023 emesso dall’intestato Tribunale (nel procedimento n. R.G. 3376/2023), con cui le è stato ingiunto il pagamento dell’importo di € 20.889,35 a favore di R.C.S. Detto importo era pari al 50% di quanto versato all’istituto bancario dall’ingiungente – oggi opposto – dal 1.10.2017 al 1.5.2023, equivalente a n. 67 rate del mutuo contratto da entrambi i coniugi per l’acquisto della casa familiare.

2. A sostegno della proposta opposizione la M.I. ha dedotto che, “nelle more della cessazione degli effetti civili del matrimonio” i prossimi ex coniugi “provvedevano a stipulare un accordo consensuale, in seno al quale il sig. R.C.S., si impegnava a pagare in modo integrale le rate di mutuo afferenti la casa coniugale”, sebbene nelle condizioni di separazione e divorzio non ve ne sia traccia. A dire – però – dell’opponente, la negoziazione stragiudiziale era ricavabile aliunde; cioè, da un lato, dai pagamenti che il R.C.S. ha da sempre effettuato per intero e mai contestati sino alla richiesta di corresponsione degli assegni familiari; e, dall’altro lato, dalla rinuncia della M.I. al mantenimento personale al posto dell’unico assegno di mantenimento da corrispondere in favore dei figli.

2.1. Pertanto, l’ingiunzione doveva ritenersi infondata giacché meramente pretestuosa e ritorsiva.

3. Con comparsa depositata il 19/1/2024, si è costituito R.C.S., chiedendo il rigetto dell’opposizione per l’insussistenza dell’accordo citato. Osservava, inoltre, che:

– il ricorso per ottenere il divorzio fu depositato il 18.6.2019;

– la sentenza di separazione è del 27.12.2019, seppur per la sua efficacia costitutiva occorre guardare al momento del passaggio in giudicato;

– di aver richiesto con il ricorso per decreto ingiuntivo gli importi versati successivamente alla separazione (14.09.2017), più precisamente dal 1.10.2017;

– nel decreto di omologa non vi è prova dell’accordo citato dall’opponente che, pur potendo ben essere inserito tra le condizioni del divorzio, non lo è stato;

– “Il pagamento della quota “accollata” da parte del sig. R.C.S. non può mai dimostrare l’esistenza dell’accordo per “facta concludentia”: rispetto al creditore Intesa San Paolo l’obbligazione del pagamento della quota del mutuo è unitaria ed è dovuta solidalmente dai due contraenti.”

3.1. Sulla scorta di ciò, ha chiesto altresì le rate di mutuo pagate successivamente all’emissione dell’ingiunzione monitoria nonché la cancellazione della frase sconveniente ed offensiva, ai sensi dell’art. 89 comma II c.p.c., “atteggiamento prevaricatore e violento dell’opponente nei confronti dei figli” in quanto privo di fondamento, nonché si tratterrebbe di giudizio estraneo rispetto all’oggetto del processo.

4. Instaurato il contraddittorio, la causa veniva istruita con l’escussione dei figli della coppia e successivamente, ritenuta la causa matura per la decisione, è stata fissata udienza per la rimessione della causa in decisione al 19.06.2025 con assegnazione dei termini a ritroso ex art. 189 c.p.c.

5. La questione involge il tema della sussistenza di accordi a latere delle condizioni di separazione ovvero divorzio, non riportate, però, nel relativo provvedimento conclusivo dell’autorità giudiziaria. In altre parole, il thema decidendum riguarda l’ammissibilità di un patto aggiunto e coevo ad un accordo ufficializzato in sede di soluzione della crisi familiare.

5.1. Sul punto, l’indirizzo prevalente nella giurisprudenza di legittimità ha affermato il principio di diritto secondo cui “l’accordo transattivo relativo alle attribuzioni patrimoniali, concluso tra le parti ai margini di un giudizio di separazione o di divorzio, ha natura negoziale e produce effetti senza necessità di essere sottoposto al giudice per l’omologazione” (cfr. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 1985 del 28/01/2025).

5.2. Più precisamente, nell’accordo tra le parti, in sede di separazione e di divorzio, si ravvisa un contenuto necessario – attinente all’affidamento dei figli, al regime di visita dei genitori, ai modi di contributo al mantenimento dei figli, all’assegnazione della casa coniugale, alla misura e al modo di mantenimento, ovvero alla determinazione di un assegno divorziale per il coniuge economicamente più debole – ed uno eventuale: la regolamentazione di ogni altra questione patrimoniale o personale tra i coniugi stessi (cfr. Cass., 19 agosto 2015, n. 16909).

5.3. Tradizionalmente, gli accordi «negoziali» in materia familiare erano ritenuti del tutto estranei alla materia e alla logica contrattuale e si evidenziava che l’elemento patrimoniale, ancorché presente, era strettamente collegato e subordinato a quello personale.

5.4. Di recente, escludendosi che l’interesse della famiglia sia superiore e trascendente rispetto alla somma di quelli, coordinati e collegati, dei singoli componenti, si è ammessa un’ampia autonomia negoziale delle parti, e si è affermata la logica negoziale, seppur con qualche cautela, là dove essa non contrasti con l’esigenza di protezione dei minori o comunque dei soggetti più deboli (cfr. Cass., 3 dicembre 2015, 24621).

5.5. La giurisprudenza di legittimità è variamente intervenuta, con particolare riferimento agli accordi extragiudiziali in occasione della separazione – ma, ciò vale anche per gli accordi che intervengono con riferimento al divorzio, avallando una complessa evoluzione verso una più ampia autonomia negoziale dei coniugi -. Si è stabilito che tutti i patti intercorsi tra i coniugi, in vista della separazione, anteriori, coevi o successivi, indipendentemente dal loro contenuto, dovessero essere sottoposti al controllo del giudice che, con il suo decreto di omologa, conferiva ad essi valore ed efficacia giuridica. Successivamente, si è cominciato ad operare una distinzione tra un contenuto necessario che riguarda i rapporti tra i genitori e figli, riservato al controllo del giudice, e un contenuto relativo ai coniugi, che, almeno tendenzialmente, rimane nell’ambito della loro determinazione discrezionale ed autonoma, in base alla valutazione delle rispettive convenienze, fino ad arrivare a sostenere l’autonomia negoziale dei genitori, anche nel rapporto con i figli, purché si pervenga ad un miglioramento degli assetti concordati davanti al giudice (cfr., ex multis, Cass., 22 gennaio 1994, n. 657Cass., 8 novembre 2006, n. 23801Cass., 24 ottobre 2007, n. 22329Cass., 12 gennaio 2016, n. 298). Pure in tema di divorzio, la giurisprudenza ha sostenuto che tali accordi, di natura sicuramente negoziale, non sarebbero di per sé contrari all’ordine pubblico, dando vita, a volte, a veri e propri contratti (cfr. Cass., 20 agosto 2014, n. 18066Cass., 21 agosto 2013, n. 19304) e che, inoltre, anche se essi non si configurano come contratti, a tali accordi sarebbero sicuramente applicabili alcuni principi generali dell’ordinamento come quelli attinenti alla nullità dell’atto o alla capacità delle parti, ma pure alcuni più specifici, quali ad esempio quelli relativi ai vizi di volontà (Cass., 3 dicembre 2015, 24621, citata).

5.6. Deve, quindi, ritenersi superato, pertanto, il principio secondo cui gli accordi assunti prima del matrimonio o magari in sede di separazione consensuale, in vista del futuro divorzio, sono sempre nulli per illiceità della causa, perché in contrasto con i principi di indisponibilità degli status e dello stesso assegno di divorzio (cfr. Cass., 4 giugno 1992, n. 6857Cass., 20 marzo 1998, n. 2955).

5.7. È ragionevole, infatti, ritenere che tali accordi non producano effetti vincolanti tra le parti solo laddove contengano clausole chiaramente lesive degli interessi dei beneficiari dell’assegno di mantenimento oppure condizioni contrarie all’ordine pubblico: in mancanza di tali circostanze, l’accordo transattivo produce effetti obbligatori per le parti, e ciò anche se il suo contenuto non venga recepito in un provvedimento dell’autorità giudiziaria.

5.8. Ciò posto quanto alla genesi dei patti, è stato anche affermato che le modificazioni degli accordi, convenuti tra i coniugi, successive all’omologazione della separazione ovvero alla pronuncia presidenziale di cui all’art. 708 cod. proc. civ., trovando legittimo fondamento nel disposto dell’art. 1322 cod. civ., devono ritenersi valide ed efficaci, a prescindere dall’intervento del giudice – ex art. 710 cod. proc. civ., qualora non superino il limite di derogabilità consentito dall’art. 160 cod. civ. e, in particolare – quando non interferiscono con l’accordo omologato, ma ne specifichino il contenuto con disposizioni maggiormente rispondenti, all’evidenza, con gli interessi ivi tutelati (cfr., Cass., n. 298/2016).

5.9. I criteri, quindi, che devono essere seguiti dal giudice nell’interpretazione di detti accordi sono due: la non interferenza rispetto all’accordo omologato o assunto in sede di divorzio; la specificazione del contenuto dell’accordo e la posizione di maggior rispondenza rispetto all’interesse tutelato.

5.10. È pure pacifico il principio secondo cui in tema di divorzio, nel caso di conclusione di una transazione in corso di causa, spetta comunque al giudice di merito il potere di delibare e di interpretare secondo equità l’accordo, laddove taluni aspetti non siano stati esplicitamente disciplinati dalle parti. (cfr. Cass., n. 23566/2016).

5.11. Una volta affermata la natura negoziale degli accordi in oggetto, ciò comporta che la prova dello stesso segue le regole di prova dei contratti e che la soluzione dei contrasti interpretativi tra una pattuizione a latere ed il contenuto di una separazione omologata o con la sentenza di divorzio, è governata ai criteri dettati dagli artt. 1362 s.s. c.c. in tema di interpretazione dei contratti (cfr. Cass. n. 1324/2025).

6. Quanto al regime di prova, allora, vengono in rilievo gli artt. 2722 e ss. c.c.

6.1. È bene precisare, che gli artt. 2722 e ss. c.c. non riguardano propriamente il regime di prova dei contratti con forma ad sustantiam ovvero ad probationem, bensì un diverso regime probatorio che si fonda su circostanze documentali. In altre parole, un contratto a forma libera, se fatto per iscritto, soggiace lo stesso agli artt. 2722 e ss. c.c.

6.2. Chiarito ciò, occorre procedere ad esaminare l’art. 2722 c.c., nella parte in cui stabilisce il divieto di prova testimoniale per i patti aggiunti o coevi al contenuto di un documento, e il 2726 c.c., che consente di ammettere la prova testimoniale per la prova di detto patto al ricorrere di determinate circostanze che lasciano fondatamente ritenere l’esistenza dello stesso.

6.3. Con ordinanza del 29.06.2024 sono state ammesse le prove testimoniali proprio in applicazione dell’art. 2726 c.c. A mente di quest’ultimo “la prova per testimoni è ammessa in ogni caso: 1) quando vi è un principio di prova per iscritto: questo è costituito da qualsiasi scritto, proveniente dalla persona contro la quale è diretta la domanda o dal suo rappresentante, che faccia apparire verosimile il fatto allegato; 2) quando il contraente è stato nell’impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta.”

6.4. Nel caso di specie, da un lato vi è un principio di prova scritta e dall’altro lato si versa nell’ipotesi di impossibilità morale e giuridica.

6.5. Quanto al primo profilo viene in rilievo la confessione stragiudiziale fatta dal R.C.S. nei messaggi inviati ai figli (v. all. 5 dell’atto di citazione), prodotti dall’attrice. È pur vero che la confessione stragiudiziale fatta a un terzo è liberamente apprezzata dal giudice, ai sensi dell’art. 2735 c.c.; tuttavia ciò costituisce pur sempre principio di prova nei termini meglio chiariti dall’art. 2724 c.c. Il tenore dei messaggi, infatti, meglio chiarisce il fatto che sin dalla stipula del contratto di mutuo, è stato sempre il convenuto ad accollarsi per intero le rate, disvelando il significato interno dell’accollo. Infatti, il convenuto fa riferimento alle spese che sostiene, tra cui anche quella del mutuo, senza tuttavia mai far emergere la sussistenza, pro quota, dell’obbligazione dell’opponente.

6.6. Detto profilo non può non essere esaminato anche alla luce della circostanza di cui al n.2, dell’art. 2724 c.c. per la stretta correlazione fattuale della vicenda in esame.

6.7. È stato chiarito, infatti, che “Se è vero che per la ricorrenza dell’impossibilità morale, di procurarsi la prova scritta di cui alla citata norma non è sufficiente la deduzione di una astratta posizione di preminenza della persona dalla quale la dichiarazione scritta doveva essere pretesa o di un vincolo affettivo con la persona stessa, è pur vero che la valutazione debba sempre essere operata in considerazione del caso concreto e che la circostanza de qua non possa essere negata, ove ricorrano altre speciali e/o particolari circostanze concorrenti a determinare una specifica situazione di oggettivo impedimento psicologico alla richiesta di una dichiarazione siffatta. Non può pretendersi l’allegazione di circostanze ostative assolute, ma è sufficiente, per integrare gli estremi di una situazione d’impossibilità morale, specie ove si verta in tema di rapporti affettivi, l’allegazione di circostanze anche di dettaglio nelle quali un atteggiamento di sospetto e/o sfiducia finirebbe per ingenerare comprensibili risentimenti e motivi di crisi nei rapporti interpersonali; sicché, in tali ipotesi, l’opera del giudice deve volgersi, con particolare sensibilità, alla valutazione delle circostanze dedotte in relazione sia al tipo di rapporto inter partes, sia alla possibile incidenza di eventi o situazioni particolari” (v. Cass., n. Sez. 1, Sentenza n. 13857 del 07/07/2016Cass., n. 15760/2001).

6.8. Ebbene, nel caso di specie, ricorrono queste circostanze speciali e di contorno che fanno apparire verosimile la sussistenza dell’impossibilità morale. Il clima affettivo descritto da entrambe le parti è abbastanza precario quanto a risentimenti per una comunione spirituale ormai cessata (come peraltro si evince dalla notevole distanza delle parti in merito a soluzioni bonarie della presente controversia). Nemmeno la presenza di figli ha consentito agli ormai ex coniugi di abbandonare i dissapori passati e giungere a distendere i rapporti affettivi. Inoltre, occorre considerare che sono stati allegati dalle parti fatti, anche precedenti alla separazione, in cui gli argomenti economici erano sempre motivo di frizioni della coppia.

6.9. E, allora, appare possibile – giacché altamente probabile – che il solo fatto di cristallizzare nell’accordo di separazione prima, e divorzio poi, il patto tra i coniugi, avrebbe ingenerato un clima di maggior sospetto, sfiducia, acuendo la crisi familiare peraltro già in atto.

6.10. Detto ciò, in punto di ammissibilità della prova per testi, occorre ora procedere ad esaminare il contenuto delle deposizioni testimoniali al fine di meglio chiarire la sussistenza o meno dell’accordo a latere.

6.11. In via preliminare occorre dichiarare l’inammissibilità della documentazione prodotta da parte opposta il 31/10/2024 poiché effettuata oltre i termini di cui alla memoria ex art. 171 ter, n. 3 c.p.c. in tema di prova contraria.

6.12. In ogni caso, quanto al teste di parte attrice, E.C.S., le dichiarazioni sono coerenti intrinsecamente ed estrinsecamente dettagliate anche in merito ai profili temporali. Il cuore della credibilità deve essere effettuato in merito alle spese sostenute dall’opposto nel periodo 2021/2022. In relazione a ciò, non sono emersi profili di incoerenza giacché il teste ha riferito che il padre ha contribuito in un periodo non recente, interrompendo la contribuzione orientativamente nel periodo 2021/2022: periodo in cui il teste si era trasferito a Milano. Detta circostanza risulta coerente – talaltro – con la missiva inviata dai legali dell’opposto, del 03.02.2022, con cui veniva evidenziata la volontà di quest’ultimo di provvedere al mantenimento per le spese universitarie “spontaneamente”, con ciò intendendo il fatto di non provvedere più a suddividere la spesa ex ante o rimborsare a consuntivo quanto speso dal genitore collocatario. Inoltre, l’affermazione “Attualmente mio padre non contribuisce alle spese per i miei studi universitari.” non è smentita dagli atti di causa, poiché non è stata allegata alcun fatto di senso contrario che destituisca di credibilità il dichiarante nel periodo temporale più prossimo rispetto all’udienza del 17.10.2024 – giorno della testimonianza -.

6.13. Quanto all’accertamento dei fatti, ha confermato la sussistenza dell’accollo integrale del mutuo a fronte della rinuncia da parte della madre ad avanzare per sé stessa richieste monetarie in sede di separazione prima e divorzio poi.

(testualmente: “Sul Capitolo 4 così risponde: Si è vero. Sono a conoscenza di questo accordo intervenuto tra i miei genitori sia perché me lo hanno detto loro e sia perché ho potuto constatare di persona i pagamenti fatti da mio padre di 200 euro a testa più le rate del mutuo. Il mutuo a cui si fa riferimento è quello relativo all’acquisto dell’immobile dove attualmente abito con mia madre. In ordine al pagamento delle rate del mutuo posso dire che erano variabili perché il tasso era variabile e che mio padre versava direttamente l’importo alla banca; mentre l’importo di 200 euro a figlio veniva versato sul conto di mia madre. Sul Capitolo 5 così risponde: Si è vero. Lo so in quanto mio padre mi ha detto personalmente che non poteva sostenere le spese universitarie in quanto pagava già le rate del mutuo.”)

7. Sulla stessa scia si collocano le dichiarazioni dell’altra teste di parte attrice, G.C.S. Non presenta dubbi in ordine alla credibilità intrinseca del narrato ed estrinseca, poiché la sua deposizione trova riscontro negli atti processuali, offrendo una plastica ricostruzione del rapporto familiare. Quanto al merito, conferma l’esistenza dell’accordo intercorso tra i genitori avendolo appreso sia dalla madre che dallo stesso padre.

8. In virtù di ciò, allora, deve ritenersi provato il patto aggiunto alle condizioni di separazione prima e divorzio poi – in virtù del sostanziale rinvio di quest’ultimo alle prime – secondo cui il R.C.S. avrebbe rinunciato alla rivalsa nei confronti del condebitore solidale accollandosi interamente il mutuo, a fronte della contestuale rinuncia della M.I. ad avanzare richieste economiche in suo favore. A nulla vale il rilievo della protestatio avanzata dall’opposto, giacché essa si colloca nel solco temporale successivo alla richiesta pro quota degli assegni familiari, rivelandosi così illegittima e pretestuosa.

8.1. La figura dell’accollo interno, non prevista espressamente dal codice civile, ricorre nel caso in cui il debitore convenga con il terzo l’assunzione, da parte di costui, in senso puramente economico, del peso del debito senza, tuttavia, attribuire alcun diritto al creditore e senza modificare l’originaria obbligazione. Sicché il terzo assolve il proprio obbligo di tenere indenne il debitore adempiendo direttamente in veste di terzo, o apprestando in anticipo al debitore i mezzi occorrenti, ovvero rimborsando le somme pagate al debitore che ha adempiuto (cfr. Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 38225 del 03/12/2021Cass., n. 4383 del 2014). L’accollo a efficacia esterna, invece, che l’art. 1273 c.c. configura come vero e proprio contratto a favore di terzo, si ravvisa nel caso in cui l’accordo tra il debitore e il terzo accollante attribuisce al creditore il diritto di pretendere l’adempimento nei confronti, oltre che dell’accollato, se cumulativo, anche (o solo, se privativo) e direttamente dell’accollante. Nell’ipotesi invece di accollo cd. semplice o interno, l’accordo tra debitore e terzo non comporta alcuna modificazione soggettiva dell’originaria obbligazione, determinando l’assunzione del debito da parte dell’accollante in senso puramente economico, sicché si traduce nell’assunzione di un’obbligazione, per sua natura riconducibile ai soli rapporti tra le parti del negozio, avente a oggetto semplicemente l’assunzione (non del debito altrui ma) degli effetti economici del debito altrui, e quindi il compimento di qualsiasi attività o prestazione idonea a sollevare il debitore principale dalle conseguenze economiche del debito. Con l’accollo semplice (o interno), quindi, il terzo accollante si impegna nei confronti del solo debitore accollato e non anche verso il creditore, il quale non può quindi da lui pretendere l’adempimento dell’obbligazione. L’accollante, pertanto, in caso di mancata osservanza dell’obbligo, risponde dell’inadempimento nei confronti del solo accollato e non anche verso il creditore, terzo estraneo all’accordo.

8.2. Ebbene, è necessario considerare la posizione occupata, in particolare, sotto il profilo economico, dall’accollante già obbligato principale nel rapporto obbligatorio. Versandosi in ipotesi di obbligazioni solidali, il patto interno tra più condebitori, al fine di superare la presunzione egualitaria nel debito, dà ai condebitori la facoltà di spostare il peso economico dell’obbligazione, in tutto o in parte, in capo ad uno dei debitori o ad alcuni soltanto di essi.

8.3. In ciò, si scorge il condebitore che assume a proprio carico il debito dell’altro – per la quota che quest’ultimo avrebbe dovuto normalmente pagare direttamente al creditore o, in via di regresso, al condebitore adempiente – quel “terzo” accollante, che consente di qualificare e di ricondurre l’operazione fattuale descritta all’istituto in esame. Infatti, si verifica l’effetto tipico dell’accollo, consistente nell’assunzione di un debito altrui nei rapporti interni. Si tratta, evidentemente, di un accollo cd. interno che interviene rispetto ad un rapporto obbligatorio principale in cui, da un lato, c’è un creditore e, dall’altro, più debitori i quali, con un apposito accordo avente una sua propria causa, convengono di suddividere diversamente le parti spettanti a ciascuno di essi, derogando alla presunzione di cui all’art. 1298, co. 2 c.c.

9. L’esistenza di detto patto, allora, impone l’accoglimento dell’opposizione e, per l’effetto, la revoca integrale del decreto ingiuntivo opposto.

10. Quanto alla richiesta di cancellazione della frase “sconveniente ed offensiva”, ai sensi dell’art.

89 comma II c.p.c., avanzata dall’opposto questa deve essere cancellata, là dove fa riferimento “atteggiamento prevaricatore e violento” dell’opposto nei confronti dei figli. Ciò poiché è estraneo rispetto al giudizio odierno, in cui si controverte, anche ai fini del narrato, di pretese, richieste e ritorsioni economiche che, seppur in astratto possono anche rientrare nella nozione di violenza, non ricorre nel caso di specie.

10.1. Le espressioni sconvenienti od offensive ex art. 89 c.p.c. consistono in tutte quelle frasi, attinenti o meno all’oggetto della controversia, che superino il limite della correttezza e della convenienza processuale, espresse nei riguardi dei soggetti presenti nel giudizio, in violazione di tutti i principi posti a tutela del rispetto e della dignità della persona umana e del decoro del procedimento. Tale ipotesi è integrata in caso di espressioni eccedenti le esigenze difensive ed avulse dalla materia del contendere.

11. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, ai sensi del DM. n. 147/2022, tenuto conto del valore della domanda e dell’attività processuale svolta e della complessità delle questioni svolte, con distrazione a favore del procuratore costituito dichiaratosi antistatario.

Trib. Catanzaro, II civile, sent., 17.07.2025

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