1. Ritenendo sussistere l’interesse alla decisione dell’appello si può passare all’esame del merito.
1.1. Con il primo motivo, rubricato: “Error in iudicando – Contraddittorietà – Illogicità – Manifesta ingiustizia”, la parte appellante censura la sentenza per aver il T.a.r. ritenuto non necessaria, nella concreta fattispecie, pur trattandosi di un procedimento di autotutela, la previa comunicazione di avvio del procedimento in ragione dell’urgenza e della applicabilità in concreto dell’art. 21-octies, secondo comma, della L. 241/1990. L’appellante si richiama a giurisprudenza amministrativa che ha sottolineato la necessità di instaurare il contradditorio nei casi di annullamento di provvedimenti favorevoli e afferma che avrebbe potuto portare degli elementi idonei ad evitare l’adozione del provvedimento di annullamento. Si contesta inoltre la presenza di ragioni d’urgenza, che non risultano menzionati nell’atto, essendo stato all’epoca operante un provvedimento di sospensione dei lavori emesso dal Comune di Roccamonfina del 14.11.2024 per altri motivi.
1.2. La seconda doglianza, rubricata: “Error in iudicando – Illogicità – Manifesta ingiustizia” riguarda la contestata movimentazione di terreno in misura maggiore rispetto a quella prevista nel progetto, ritenuta illegittima dal T.a.r. ma rivelatasi in conso di opera, a dire dell’appellante, strettamente necessaria per la realizzazione della struttura. A riguardo la stessa rappresenta che l’interramento del plinto con movimentazione di terra era previsto nel progetto ma presentando il sito di installazione un declivio naturale lungo una direzione, era necessario al fine di realizzare il plinto di fondazione, procedere preliminarmente ad una rimozione di terreno per portare il piano di lavoro in orizzontale alla quota di strada che ha comportato una movimentazione ulteriore di 22 mc il cui reinterro è stato impedito dall’ordinanza del Comune.
1.2.1. L’Ente Parco invece sostiene che si tratta di vizi del progetto e quindi di false rappresentazioni.
1.3. Il terzo motivo di gravame è invece finalizzato a criticare la sentenza laddove si è pronunciata negativamente in ordine alla contestata eliminazione degli alberi. A riguardo rappresenta l’appellante che l’Ente Parco non avrebbe potuto attribuire il taglio degli alberi alla società ricorrente in quanto la documentazione sia progettuale che fotografica richiamata in atti contraddice tale circostanza.
1.4. Con il quarto motivo si censura la sentenza per aver il T.a.r. ritenuto che in ragione della falsa rappresentazione progettuale dell’intervento l’interesse pubblico fosse re ipsa data dalla necessità di tutelare l’area protetta e che non fosse necessaria la valutazione dell’interesse sotteso al PNNR.
1.5. L’ultima doglianza è invece finalizzata a denunciare l’illegittimità della pronuncia laddove ritenendo sussistere una falsa rappresentazione addebitabile alla richiedente ha respinto la censura con cui è stata lamentata la violazione della Direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri 2.11.2023, che, in relazione alla realizzazione delle reti pubbliche di comunicazione relative agli interventi da realizzare con fondi del PNRR, prevede all’art. 4, che “i soggetti pubblici titolari di competenze di amministrazione attiva sono responsabili della proficua e leale collaborazione istituzionale e devono evitare l’adozione di atti o di comportamenti che possano determinare interruzioni o ritardi nella realizzazione delle reti pubbliche di comunicazione”.
2. L’appello è fondato per quanto riguarda il profilo dedotto con il primo motivo di gravame con cui è stata censurata l’erroneità della pronuncia sul primo motivo di ricorso afferente la mancata comunicazione di avvio del procedimento in autotutela e la conseguente pretermissione della facoltà, riconosciuta ex lege in favore del destinatario del provvedimento che va ad incidere negativamente su una posizione giuridica favorevole già acquisita, di presentare documenti e memorie.
Come osservato dalla ricorrente, il procedimento è stato adottato (id est avviato e concluso con lo stesso atto del 18.11.2024) senza essere statopreceduto dalla comunicazione prevista dall’art. 7 della L. n. 241/1990, ed è stato quindi assunto in violazione dell’obbligo del contraddittorio.
L’esercizio del potere di autotutela, in quanto espressione nella fattispecie de qua di una rilevante discrezionalità amministrativa è sempre soggetto all’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento, all’analitica motivazione delle ragioni di interesse pubblico ad esso sottese e alla ponderazione dell’interesse del privato alla stabilità della posizione acquisita, pena l’illegittimità del provvedimento al fine adottato.
In questo senso, ex multis, questo Consiglio – con la sentenza della Sezione V, 22 luglio 2019, n. 5168 – ha condivisibilmente affermato che “gli atti di autotutela e di ritiro devono essere preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7, legge n. 241 del 1990, al fine di consentire, attraverso l’instaurazione del contraddittorio con gli interessati, una loro efficace tutela nell’ambito del procedimento amministrativo ed, al contempo, di fornire all’amministrazione, con la rappresentazione di fatti e la proposizione di osservazioni da parte del privato, elementi di conoscenza utili o indispensabili all’esercizio del potere discrezionale, in funzione di una ponderata valutazione dell’interesse pubblico concreto ed attuale alla rimozione dell’atto”.
Non sono invece condivisibili le motivazioni addotte dal Tribunale in ordine alla ricorrenza di una situazione di urgenza e sulla applicabilità, nella specie, dell’art. 21-octies, secondo comma, della Legge 241/1990, posto che la difesa della parte appellante ha illustrato nel ricorso gli argomenti, sopra sinteticamente riportati, che Inwit avrebbe introdotto nel procedimento di secondo grado, ove fosse stata ammessa a parteciparvi.
Si tratta, ad avviso del Collegio, di argomenti di una certa pregnanza che avrebbero potuto diversamente orientare l’Ente Parco Regione Regionale Area Vulcanica di Roccamonfina e Foce del Garigliano pur negando la difesa dell’amministrazione tale eventualità.
La documentazione prodotta in giudizio pare confermare: – che fosse intenzione di Inwit mantenere gli alberi che non occupavano il sedime in cui sono previste le fondazioni per mascherare il palo; – che il taglio è stato eseguito in un momento anteriore all’installazione del cantiere; – che Inwit non è proprietaria ma locataria dell’area; – e che la legna tagliata per l’uso è stata accatastata nelle vicinanze per essere seccato.
Anche in ordine alla maggiore movimentazione della terra risultano fornite delle solide giustificazioni che avrebbero potuto anche essere valutate diversamente in sede procedimentale, considerata la natura strategica dell’opera e la possibilità della remissione in pristino sotto il profilo ambientale.
Diversamente a quanto ritenuto in prime cure non sussisteva nella fattispecie alcuna urgenza in quanto i lavori, all’epoca dell’adozione dell’atto, erano già sospesi, e sul punto tutti sono d’accordo, in forza di altro provvedimento del Comune di Roccamonfina, per cui era di fatto possibile la comunicazione di un avvio senza ulteriore rischio per il paesaggio, dando all’interessata la possibilità di utilmente controdedurre.
3. L’accoglimento della censura sopra esaminata determina, per la sua evidente pregiudizialità logico-giuridica (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. n. 5/2015), l’assorbimento dei restanti motivi di gravame, con salvezza della riedizione del potere, previa opportuna attivazione degli istituti di partecipazione procedimentale nei confronti di Inwit.
4. Per le ragioni suesposte, il ricorso in appello va accolto, e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata va accolto il primo motivo del ricorso introduttivo in relazione al dirimente profilo della mancata comunicazione di avvio del procedimento, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato in primo grado.
5. Sussistono, nondimeno, giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio tra le parti.
CONSIGLIO DI STATO, VI – sentenza 30.09.2025 n. 7602