Reato – Violenza sessuale e insufficienza del mero interesse affettivo

Reato – Violenza sessuale e insufficienza del mero interesse affettivo

Il ricorso è fondato.

1. Coi due motivi di ricorso il Procuratore generale presso la Corte di appello di Firenze deduce, da una parte, travisamento della prova dichiarativa resa dalla persona offesa in incidente probatorio, in quanto la Corte avrebbe tratto dalla deposizione testimoniale il dato palesemente contrario a quanto dichiarato dalla testimone, ossia che gli atti sessuali da lei subiti erano stati compiuti con consenso espresso, mentre dal tenore della deposizione risultava univocamente che la persona offesa ha fatto riferimento ad uno stato di alterazione psichica dovuto a ingerimento di sostanze alcoliche, indotto dall’imputato, ovverosia ad uno stato di ubriachezza tale da non consentirle di esprimere un consenso esplicito che in realtà mai avrebbe dato in quel contesto, a una condizione psicofisica in cui pur avendo a tratti coscienza e percezione di quanto le stesse accadendo non era in grado di reagire e di manifestare una volontaria opposizione ad atti che, in stato di normalità psicofisica, non avrebbe mai compiuto nella situazione particolare in cui si trovava quella sera.

Il ricorrente altresì deduce che dalla travisata prova testimoniale se ne è tratta anche una interpretazione della legge penale erronea ed in contrasto con l’insegnamento consolidato della suprema corte in tema di necessità di espresso consenso all’atto sessuale; in quanto in una conclamata e non controversa situazione di inferiorità psichica dovuto all’abuso di alcol non si poteva desumere un consenso, né la sua mancanza poteva essere sopperita da un errore dell’imputato sulla assenza di dissenso, ostandovi l’art 5 cod. pen..

Tanto più quindi illogica ed errata la motivazione in considerazione che lo stato di alterazione psichica era stato indotto dall’imputato.

Palesemente errata in diritto poi la considerazione svolta dalla corte territoriale che lo stato di ubriachezza non era tale da escludere la coscienza e consapevolezza e la possibilità di esprimere un consenso.

Essendo la totale incapacità non già sussumibile nel secondo comma di cui all’art 609-bis cod. pen. (induzione), ma nel primo comma (violenza a danni di persona incapace di intendere e volere), così che sarebbe stata applicata una interpretazione sostanzialmente abrogante del secondo comma dell’art. 609-bis cod.pen. dove l’imputazione contesta che se un consenso vi è stato esso era viziato dallo stato di alterazione psichica.

2. Il travisamento della prova in cui la Corte di appello è incorsa risulta evidente ove si guardi alle premesse, contraddittorie, da cui la conclusione, forzata ed in contrasto con la decisione di prime cure rispetto alla quale non si confronta minimamente.

2.1. Certamente è vera la premessa che la persona offesa avesse un debole per l’imputato.

Vera è, pure, l’altra premessa che, sicuramente, quella sera la ragazza si trovasse in stato di alterazione psichica dovuta alla assunzione di sostanze alcoliche (indotta e favorita anche dall’imputato, di intesa col L. situazione circa la quale la sentenza del Tribunale aveva fornito ampia illustrazione con dovizia di richiami a deposizioni incrociate del tutto convergenti, non smentite da argomentazioni difensive, facendo riferimento a ripetuti episodi di vomito, di mancamenti, di percezione a flash della vicenda, a buchi di memoria di fasi salienti (circostanze tutte obliterate dalla Corte territoriale e contrastata -l’ultima in particolare- implicitamente e senza porsi in posizione critica con il giudicato di primo grado, laddove ha invece sottolineato e valorizzato la minuziosa riproposizione e narrazione degli accadimenti della serata).

Vera è, ancora, l’ulteriore premessa che gli atti sessuali subiti sono stati descritti dalla persona offesa, che quindi li ha ricordati ed è stata in grado di fissare nella memoria la successione degli eventi con una certa capacità di orientarsi nel tempo e nello spazio. Circostanza pacifica, ma che attiene (come la stessa Corte di appello attesta) allo stato di coscienza della parte offesa, e non anche alla capacità di determinarsi e di manifestare una consapevole volontà e assenso (come, invece, apoditticamente la Corte territoriale afferma in difetto di qualsivoglia aggancio probatorio).

2.2. Ciò che risulta dalla attendibile parola della persona offesa (mai posta in discussione) è, allora, la disponibilità della ragazza ad un rapporto affettivo col V. (certamente nemmeno a posteriori rispetto ai fatti archiviata), la massiccia e inusuale ingestione da parte della parte offesa e dell’amica di sostanze alcoliche, diverse, da parte della giovane a tanto non adusa, la coscienza rispetto agli accadimenti desumibile dalla capacità di ricordo e dal racconto resone.

2.2.1. Coscienza dalla Corte intesa quale condizione di lucidità indicativa di capacità di autodeterminazione; convincimento supportato dalla argomentazione che la persona offesa fosse, in quel frangente, consenziente ai rapporti sessuali avuti, e lo sarebbe stata anche se non avesse assunto sostanze alcoliche.

2.3. Rileva il Collegio, coerentemente alla consolidata giurisprudenza di questa Corte da cui non ha ragione di discostarsi, che il vizio di “travisamento della prova” (o di contraddittorietà processuale come lo qualifica la dottrina più attenta) chiama in causa, in linea generale, le ipotesi di infedeltà della motivazione rispetto al processo e, dunque, le distorsioni del patrimonio conoscitivo valorizzato dalla motivazione rispetto a quello effettivamente acquisito nel giudizio.

Tre sono le figure di patologia della motivazione riconducibili al vizio in esame: la mancata valutazione di una prova decisiva (travisamento per omissione); l’utilizzazione di una prova sulla base di un’erronea ricostruzione del relativo “significante” (cd. travisamento delle risultanze probatorie); l’utilizzazione di una prova non acquisita al processo (cd. travisamento per invenzione).

In questi casi (in cui emerge che la lettura del giudice sia affetta da errore “revocatorio”, per omissione, invenzione, falsificazione) non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano (cfr. tra le altre Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215).

Invero il vizio di “contraddittorietà processuale” vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell’esatta trasposizione nel ragionamento del giudice del dato probatorio nei termini di una “fotografia”, neutra e a-valutativa, del “significante”, ma non del “significato”, atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell’elemento di prova (Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, Stojanovic, Rv. 234167; Sez. 5, n. 36764 del 24/05/2006, Bevilacqua, Rv. 234605).

Tale vizio, quindi, deve intendersi non come un mezzo per valutare nel merito la prova, bensì lo strumento per saggiare la tenuta della motivazione alla luce della sua coerenza logica con i fatti sulla base dei quali si fonda il suo ragionamento.

2.4. Nel caso in esame appare evidente che la Corte di appello abbia utilizzato la prova, dichiarazioni della parte offesa, sulla base di un’erronea ricostruzione del relativo “significante” (cd. travisamento delle risultanze probatorie), andando ben oltre quanto dalla parte offesa dedotto, in ordine alla ricostruzione dei fatti (peraltro, come indicato dal Tribunale, con taluni vuoti di memoria), di poi traendo il proprio convincimento non solo in ordine alla -non provata nel frangente-capacità di autodeterminazione sessuale, ma, addirittura, al presumibile consenso che la giovane avrebbe prestato ove non avesse bevuto, dalla lettura della messaggistica postuma rispetto ai fatti (invero attestante, soltanto, una delle premesse sopra svolte ossia la disponibilità della adolescente ad un rapporto sentimentale coll’imputato).

3. Del pari fondate sono le censure svolte dal ricorrente in ordine al tema del consenso ai rapporti consumati.

3.1. Sostiene la Corte territoriale il sillogismo, non sostenibile ancor più quando si tratti di persone minori e adolescenti, secondo cui possa ricavarsi presunzione di consenso quando sussiste o comincia a delinearsi un interesse di una persona verso l’altra, per ragioni essenzialmente affettive, col risultato di presumere il consenso al compimento di atti sessuali anche in situazioni ove la volontà risulta alterata o condizionata, non essendo necessario che sia espresso un consenso chiaro e univoco all’atto sessuale, potendolo l’altra parte desumere dall’eventuale affinità relazionale già manifestata e percepita.

3.2. Si tratta di percorso logico, ancor prima che giuridico, del tutto distonico rispetto al sistema di tutela delle vittime di reati a sfondo sessuale, che si fonda cioè sulla implicita non necessità che in ogni situazione concreta le persone che compiono un atto sessuale lo facciano nella piena coscienza di sé e con lucida determinazione che deve perdurare per tutto il tempo e che non rilevano situazioni perturbative, ancorché presenti, in cui tale stato psicologico sia solo parzialmente alterato da assunzioni di sostanze alcoliche o di altra natura.

Percorso che la Corte territoriale esplicita nella interpretazione e lettura dei messaggi telefonici acquisiti agli atti e portati come prova asseritamente univoca, ma come anticipato, postuma, del manifestato consenso al momento del fatto.

3.2.1. Messaggi che, invero, erano stati puntualmente contestualizzati dal Tribunale: subito dopo il fatto e nei giorni successivi quando la ragazza, inizialmente quasi costretta per l’iniziativa dei genitori di sporgere querela, vive sensi di colpa e ha ancora vivo il sentimento affettivo favorevole verso l’imputato, rispetto al quale forse confida ancora che possa nascere una vera storia sentimentale; quale riscontro del tentativo dell’imputato di far ridimensionare la denuncia alla persona offesa, lasciandole intendere la possibilità che le attenzioni a suo tempo dimostrategli dalla ragazza possano trovare concretizzazione in un rapporto serio.

Messaggi, ancora, la cui lettura era stata resa alla stregua della contestualizzazione dei fatti anche nella loro ricostruzione cronologica.

3.3. Con la motivazione del Tribunale la sentenza impugnata non si confronta, illogicamente e semplicisticamente leggendo quei messaggi come una ricognizione ex post di un consenso pieno agli atti sessuali compiuti e come una sorta di ritrattazione della querela in un contesto temporale particolarmente delicato in cui è in corso l’incidente probatorio (ottobre 2018) e in cui l’imputato ha un preciso interesse ad ottenere dichiarazioni a sé favorevoli.

Nel che si ravvisa l’illogicità della motivazione resa, derivante dal fatto che, a fronte di una incontestato racconto della serata in cui sono avvenuti i fatti, ed in relazione alla quale la persona offesa riferisce del suo stato di ebbrezza grave, non viene svolta dalla Corte territoriale una valutazione della induzione all’atto calibrata a quel preciso momento; ma viene riletta ogni azione della ragazza attraverso il prisma, distorsivo, di quei messaggi successivi, senza ponderarli come avrebbe dovuto un rigoroso argomentare logico rispetto al caso concreto, già ricostruito e giudicato, con opposta analitica interpretazione, dal Tribunale. L’omissione motivazionale e il mancato confronto con la sentenza di prime cure è di evidenza lampante e rende il provvedimento impugnato gravemente viziato. Si veda Sez. 4, Sentenza n. 24439 del 16/06/2021 Ud. (dep. 22/06/2021) Rv. 281404 – 01 «Il giudice d’appello, in caso di riforma, in senso assolutorio della sentenza di condanna di primo grado, sulla base di una diversa valutazione del medesimo compendio probatorio, pur non essendo obbligato alla rinnovazione della istruttoria dibattimentale, è tenuto a strutturare la motivazione della propria decisione in maniera rafforzata, dando puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte»; e Sez. 4, n. 2474 del 15/10/2021 Ud. (dep. 21/01/2022 ) «Il giudice d’appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado sulla base del medesimo compendio probatorio, pur non essendo obbligato alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, è tenuto ad offrire una motivazione puntuale e adeguata che dia razionale giustificazione della difforme decisione adottata, indicando in maniera approfondita e diffusa gli argomenti, specie se di carattere tecnico-scientifico, idonei a confutare le valutazioni del giudice di primo grado. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di appello, che, nell’assolvere dal reato di omicidio colposo il ginecologo, condannato in primo grado per non aver tempestivamente effettuato, a seguito del ricovero di una donna in stato di gravidanza avanzata, il parto cesareo, così da provocare il decesso per anossia del feto, senza disporre perizia, ha sovrapposto il proprio soggettivo personale convincimento a quello del giudice di primo grado, omettendo di illustrare le ragioni della ritenuta insostenibilità logica della difforme valutazione di quest’ultimo fondata sulla ricostruzione dei consulenti tecnici del pubblico ministero).

Vizio ancor più di palmare evidenza ove si osservi la loro lettura disancorata dalle risultanze dichiarative di cui all’incidente probatorio, così che la loro interpretazione appare monca, omissiva, del tutto parziale e distorta e essenzialmente contraddittoria, tenuto conto del fatto che la versione resa in incidente probatorio non è messa in crisi, non è criticata logicamente, laddove la ragazza è netta nel dire che se fosse stata lucida in quella specifica situazione mai avrebbe dato il consenso agli atti sessuali compiuti. E’ la stessa Corte a rilevare (pag. 7) che quella sera non sarebbe stato il momento di avere rapporti con M. Sicché la conclusione che la Corte territoriale trae dalla lettura dei messaggi si pone in drastico e irrisolto contrasto logico con la testimonianza resa dalla vittima e dalla sua compagna, soprattutto perché di tale contrasto non ci si cura minimamente di fornire una logica spiegazione, se non quella sopra accennata di formulazione di un principio contrario alla legge di presunzione del consenso in chi abbia in precedenza manifestato un interesse sentimentale e relazionale verso una persona a compiere atti sessuali con la stessa in qualsiasi contesto.

3.4. Intende, comunque, il Collegio ribadire che ci si trova al cospetto di condotte univocamente accertate e riconosciute in termini di atti sessuali con persona minorenne in stato di alterazione per assunzione di bevande alcoliche, perle quali vige il seguente principio di diritto su cui la Corte ha omesso di confrontarsi «[I]n tema di violenza sessuale in danno di persona che si trovi in stato di inferiorità fisica o psichica, il reato di cui all’art. 609-bis, comma secondo, n. 1, cod. pen., è configurabile quando l’agente, abusando della condizione di debolezza del soggetto passivo, induce quest’ultimo a compiere o a subire atti sessuali ai quali non avrebbe altrimenti prestato il consenso. (Fattispecie relativa a pratiche caratterizzate da sadismo, imposte dall’imputato approfittando della condizione di inferiorità psichica della persona offesa, consenziente soltanto ad ordinari rapporti sessuali non connotati da violenza)», così sin da Sez. 3, n. 16899 del 27/11/2014 Ud. (dep. 23/04/2015) Rv. 263344 – 01; e fermo restando che questa Corte ha, anche, di recente affermato che «L’assunzione, da parte della persona offesa, di sostanze alcoliche o stupefacenti in quantità tali da comportare l’assoluta incapacità di esprimere il proprio consenso, rende configurabile, nei suoi confronti, il delitto di violenza sessuale per costrizione, di cui all’art. 609-bis, comma primo, cod. pen. e non quello di violenza sessuale per induzione di cui all’art. 609-bis, comma secondo, cod. pen.», cfr. Sez. 3, Sentenza n. 7873 del 19/01/2022 Ud. (dep. 04/03/2022 ) Rv. 282834 – 02.

Principi con cui la Corte ha omesso di confrontarsi così come in nessuna considerazione ha tenuto la circostanza, anch’essa non contestata dalla difesa, che lo stato di alterazione è stato volontariamente ed artatamente provocato dall’imputato somministrando alla minorenne plurime sostanze alcoliche. E constatandone lo stato di evidente ubriachezza e quindi, anche da questo punto di vista, non essendo stato indagato correttamente il dato della convinzione dell’agente di avere il consenso della vittima.

4. Il ricorso merita dunque accoglimento.

All’accoglimento del ricorso segue l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze per nuovo giudizio, che si atterrà, nel rivalutare i fatti in contestazione, ai principi enunciati.

Cass. pen., III, ud. dep. 26.09.2025, n. 32031

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