Giurisdizione e competenza – Utilizzabilità delle dichiarazioni acquisite durante le indagini e giudizio abbreviato

Giurisdizione e competenza – Utilizzabilità delle dichiarazioni acquisite durante le indagini e giudizio abbreviato

1. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito precisate.

2. Il ricorso censura la sentenza impugnata nella parte in cui afferma la penale responsabilità dell’attuale ricorrente, perché fondata anche, e decisivamente, sulle dichiarazioni di D. C., ossia di persona che, nel momento in cui è stata sentita dalla Guardia di Finanza in sede di accertamenti tributari, avrebbe dovuto essere interrogata con le garanzie previste per l’indagato, essendo già emersi indizi di reità a suo carico, e, quindi, su dichiarazioni inutilizzabili a norma dell’art. 63, comma 2, cod. proc. pen.

2.1. In effetti, in forza di quanto previsto dall’art. 63, comma 2, cod. proc. pen., disposizione applicabile anche alle attività ispettive e di vigilanza ex art. 220 disp. att. cod. proc. pen., le dichiarazioni di persona escussa dalla polizia giudiziaria in qualità di persona informata sui fatti, e che, invece, avrebbe dovuto essere sentita, sin dall’inizio, in veste di indagato, sono inutilizzabili (cfr., per questa affermazione, Sez. 1, n. 25390 del 03/04/2025, Jouahri, Rv. 288177 – 01, e Sez. 3, n. 30922 del 18/09/2020, I, Rv. 280277 – 01).

E, secondo un orientamento giurisprudenziale, tale ipotesi di inutilizzabilità sarebbe da rilevare anche nel giudizio abbreviato, sia perché di tipo assoluto, sia perché nessuna disposizione normativa derogherebbe, espressamente o implicitamente, al principio generale della insanabilità delle inutilizzabilità (cfr., in particolare, Sez. 1, 20834 del 01/03/2023, O., Rv. 284539 – 01).

Tuttavia, questa affermazione non si confronta con la previsione di cui al comma 6-bis dell’art. 438 cod. proc. pen., aggiunto dall’art. 1, comma 43, legge 23 giugno 2017, n. 103, che dispone: «La richiesta di giudizio abbreviato proposta nell’udienza preliminare determina la sanatoria delle nullità, e la non rilevabilità delle inutilizzabilità, salve quelle derivanti dalla violazione di un divieto probatorio. Essa preclude altresì ogni questione sulla competenza per territorio del giudice».

Precisamente, ad avviso del Collegio, la questione della non rilevabilità, nel giudizio abbreviato, della inutilizzabilità derivante dalla violazione della disposizione di cui all’art. 63, comma 2, cod. proc. pen., si pone perché, in caso di richiesta di accesso a tale rito speciale proposta nell’udienza preliminare, in forza di quanto previsto dal comma 6-bis dell’art. 438 cod. proc. pen., le inutilizzabilità, in linea generale, non sono rilevabili, «salve quelle derivanti dalla violazione di un divieto probatorio».

2.2. Il tema centrale da approfondire, quindi, attiene alla individuazione della categoria delle “inutilizzabilità derivanti dalla violazione di un divieto probatorio”, prevista dal comma 6-bis dell’art. 438 cod. proc. pen.

Deve innanzitutto osservarsi che la categoria delle “inutilizzabilità derivanti dalla violazione di un divieto probatorio” si riferisce ad una “sottoclasse” di fattispecie, rispetto alla “classe” di fattispecie incluse nella più generale categoria della inutilizzabilità. Invero, questa soluzione discende immediatamente dal dettato legislativo, perché il legislatore, se avesse avuto voluto consentire la rilevabilità di tutte le inutilizzabilità, non avrebbe escluso la deducibilità, in linea generale, di questa patologia salvo alcune specificamente indicate, e precisamente solo quelle «derivanti dalla violazione di un divieto probatorio».

Sembra inoltre eccessivo limitare la categoria delle “inutilizzabilità derivanti dalla violazione di un divieto probatorio” esclusivamente alle c.d. inutilizzabilità “fisiologiche” o “relative”, ossia quelle operanti per il giudizio dibattimentale in applicazione delle regole proprie di tale rito, o comunque espressamente previste dal legislatore solo con riguardo a tale forma processuale (cfr., ad esempio, art. 350, comma 7, cod. proc. pen.).

Per un verso, infatti, l’introduzione del limite alla rilevabilità delle inutilizzabilità, se fosse stato circoscritto a queste ipotesi, sarebbe stato del tutto superfluo, perché il giudizio abbreviato è, per sua natura, giudizio «definito all’udienza preliminare allo stato degli atti» (cfr., emblematicamente, art. 438, comma 1, cod. proc. pen.), e perché gli elementi specificamente indicati dal legislatore come inutilizzabili nel dibattimento sono da ritenere invece utilizzabili, a contrario, fuori di questa tipologia di processo. Del resto, l’art. 442, comma 1-bis, cod. proc. pen., come inserito dall’art. 30, comma 1, lett. a), legge 16 dicembre 1999, n. 479, già prevedeva esplicitamente l’utilizzabilità degli atti di indagine, né alcuno mai ha dubitato, anche prima della introduzione del comma 6-bis nell’art. 438 cod. proc. pen., della piena utilizzabilità nel giudizio abbreviato di tali atti, sebbene gli stessi fossero formati unilateralmente, dal pubblico ministero, dalla polizia giudiziaria o dai difensori, e fossero, salvo tassative eccezioni, inutilizzabili nel dibattimento.

Sotto altro profilo, poi, anche da un punto di vista lessicale e semantico, la nozione di «violazione di un divieto probatorio», di cui all’art. 438, comma 6-bis, cod. proc. pen., non risulta coincidente con quella, più ampia, di «violazione dei divieti stabiliti dalla legge», prevista dall’art. 191, comma 1, cod. proc. pen. quale fondamento della categoria generale della inutilizzabilità.

Appare allora ragionevole ritenere che la categoria delle “inutilizzabilità derivanti dalla violazione di un divieto probatorio” si riferisca a quelle inutilizzabilità determinate dalla violazione di una regola di esclusione di tipo contenutistico, ossia di una regola che priva in radice il giudice del potere di assumere una determinata prova, come, ad esempio, quella dettata con riguardo alle informazioni sulle voci correnti nel pubblico, o quella relativa alla testimonianza sulle dichiarazioni comunque rese nel corso del procedimento dall’imputato o dalla persona sottoposta alle indagini.

2.3. In considerazione della nozione appena delineata di “inutilizzabilità derivanti dalla violazione di un divieto probatorio”, la previsione testuale dell’art. 438, comma 6-bis, cod. proc. pen. sembra comportare, come già rilevato da più voci in dottrina, che dall’area delle inutilizzabilità rilevabili nel giudizio abbreviato siano da escludere quelle derivanti da violazioni di regole concernenti il procedimento acquisitivo dell’elemento istruttorio.

Tuttavia, anche con riguardo alle inutilizzabilità derivanti da violazioni di regole concernenti il procedimento acquisitivo dell’elemento istruttorio, deve ravvisarsi un limite alla “non rilevabilità”, di natura sistematica: non può infatti ammettersi la utilizzabilità di atti acquisiti in violazione di un principio o di una disposizione costituzionale o sovranazionale, ossia di regole e valori “fondanti” dell’ordinamento giuridico, la cui attuazione, perciò, è irrinunciabile e indisponibile.

In questa prospettiva, costituiscono inutilizzabilità rilevabili nel giudizio abbreviato non solo quelle derivanti dalla violazione di un divieto attinente al contenuto dell’informazione, ma anche quelle dipendenti da violazioni di regole che attengono al procedimento acquisitivo dell’elemento istruttorio, e, insieme, costituiscono espressione di principi o disposizioni costituzionali o sovranazionali, come, ad esempio, quelle concernenti le informazioni ottenute mediante il delitto di tortura, ovvero mediante metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare o di valutare i fatti, siccome determinate dalla trasgressione di regole poste a tutela del valore primario della persona e della sua dignità.

2.4. La soluzione che esclude dall’area delle inutilizzabilità rilevabili nel giudizio abbreviato quelle derivanti da violazioni di regole relative al procedimento acquisitivo dell’elemento istruttorio, salvo si tratti di violazioni di regole espressive di un principio o di una disposizione costituzionale o sovranazionale, non sembra in conflitto con la elaborazione della giurisprudenza di legittimità, anche di epoca anteriore all’introduzione del comma 6-bis nell’art. 438 cod. proc. pen.

In effetti, a titolo indicativo, e senza voler prestare specifica adesione ai principi in esse affermati, pure perché ciò esorbiterebbe dai limiti della presente decisione, si possono segnalare numerose pronunce che hanno ravvisato ipotesi di inutilizzabilità non rilevabili nel giudizio abbreviato, le quali, però, appaiono estranee all’area delle inutilizzabilità c.d. “fisiologica” o “relativa”, ossia prevista specificamente per il giudizio dibattimentale.

In particolare, risulta consolidato l’indirizzo ermeneutico secondo cui la scelta del giudizio abbreviato preclude all’imputato la possibilità di eccepire l’inutilizzabilità degli atti d’indagine compiuti fuori dai termini ordinari di inizio e fine delle indagini preliminari (cfr., tra le tante: Sez. 6, n, 4694 del 24/10/1997, dep. 2018, Picone, Rv. 272196 – 01; Sez. 6, n. 12085 del 19/12/2011, dep. 2012, Inzitari, Rv. 252580 – 01; Sez. 5, n. 38420 del 12/07/2010, La Rosa, Rv. 248506 – 01). Allo stesso modo, si è ripetutamente affermato che la testimonianza indiretta è pienamente utilizzabile nel giudizio abbreviato “incondizionato”, anche quando il dichiarante si sia rifiutato o non sia stato in grado di indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia riferita, in quanto l’inutilizzabilità prevista dall’art. 195, comma 7, cod. proc. pen. opera solo nell’ipotesi in cui l’imputato abbia subordinato l’accesso al rito ad una integrazione probatoria costituita dall’assunzione del teste indiretto e se, nonostante l’audizione, sia rimasta non individuata la fonte dell’informazione (Sez. 2, n. 5731 del 02/10/2019, dep. 2020, Lamonaca, Rv. 278371 – 01; Sez. 3, n. 29236 del 17/02/2017, D.B., Rv. 270258 – 01; Sez. 3, n. 11100 del 29/01/2008, G., Rv. 239080 – 01).

Anche con specifico riferimento alle dichiarazioni rese da indagati o imputati di reato connesso, diverse pronunce hanno ristretto l’area della inutilizzabilità rilevabile nel giudizio abbreviato. Secondo una decisione, sono utilizzabili nel procedimento italiano, definito nelle forme del rito abbreviato, i verbali contenenti gli interrogatori di persone imputate di reato connesso, nella parte relativa alle dichiarazioni rese contra alios, assunti a seguito di rogatoria all’estero senza l’assistenza del difensore, in quanto gli atti compiuti all’estero su rogatoria sono assunti secondo le forme stabilite dal Paese richiesto, salvo l’eventuale contrasto con norme inderogabili di ordine pubblico e buon costume, che non si identificano necessariamente con il complesso delle regole dettate dal codice di rito e, in particolare, con quelle relative all’esercizio dei diritti della difesa (Sez. 6, n. 44830 del 22/09/2004, Cuomo, Rv. 230594 – 01). Una sentenza, poi, ha osservato che, ai fini della decisione nel giudizio abbreviato, sono utilizzabili tutti gli atti legittimamente acquisiti al fascicolo del pubblico ministero, comprese le dichiarazioni etero-accusatorie rese dall’imputato in fase d’indagini, in assenza del difensore ed in stato di custodia cautelare, poiché di esse, come di tutte le risultanze probatorie antecedenti all’istanza di abbreviato, lo stesso imputato ha accettato l’utilizzabilità (Sez. 2, n. 39342 del 15/09/2016, Lionti, Rv. 268378 – 01). Altra pronuncia, ancora, ha ritenuto utilizzabili nel giudizio abbreviato le dichiarazioni rese da persona in stato di detenzione, fuori udienza, senza l’osservanza dell’obbligo di documentazione integrale previsto dall’art. 141-bis cod. proc. pen. a pena di inutilizzabilità, quando le stesse attengano a fatti nei quali il dichiarante sia coinvolto in qualità di indagato o di imputato, anche in procedimento connesso (Sez. 6, n. 56731 del 19/07/2018, Adamo, Rv. 274780 – 01).

2.5. Una volta precisato che dall’area delle inutilizzabilità rilevabili nel giudizio abbreviato sono da escludere quelle derivanti da violazioni di regole relative al procedimento acquisitivo dell’elemento istruttorio, salvo si tratti di violazioni di regole espressive di un principio o di una disposizione costituzionale o sovranazionale, devono ritenersi alla stessa area estranee anche le inutilizzabilità concernenti le dichiarazioni rese a carico di terzi da persona escussa in fase di indagini dalla polizia giudiziaria perché sentita in qualità di persona informata sui fatti, invece che in veste di persona indagata.

Invero, le dichiarazioni rese a carico di terzi da persona escussa in fase di indagini dalla polizia giudiziaria in qualità di persona informata sui fatti, e che, invece, avrebbe dovuto essere sentita in veste di indagato sono assunte in violazione non di una regola di esclusione, bensì di una regola che disciplina le modalità di assunzione dell’elemento istruttorio. E questa regola non sembra potersi dire espressione di principi o disposizioni costituzionali o sovranazionali, perché non attiene direttamente nemmeno al diritto di difesa dell’indagato o dell’imputato, restando il medesimo del tutto estraneo all’atto di assunzione delle informazioni dal terzo ad opera della polizia giudiziaria.

3. Atteso che, per le ragioni precedentemente indicate, sono da ritenere utilizzabili le dichiarazioni di D. C., incensurabile risulta l’affermazione di penale responsabilità di S.V. per il reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, quale amministratore di fatto della società “(OMISSIS) s.r.l.”.

Precisamente, l’attuale ricorrente, agendo quale amministratore di fatto della società “(OMISSIS) s.r.l.”, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti emesse dalle società “(OMISSIS) s.r.l.”, “(OMISSIS) s.r.l.” e “(OMISSIS) s.r.l.”, avrebbe indicato nella dichiarazione relativa a dette imposte per l’anno 2013 elementi passivi fittizi per 346.538,75 euro a titolo di imponibile e 73.999,25 euro a titolo di IVA.

L’unico profilo contestato nel ricorso attiene all’attribuzione all’attuale ricorrente della posizione e qualità di amministratore di fatto della società “(OMISSIS) s.r.l.”, e sulla base di un unico rilievo: l’attribuzione della qualifica è fondata sulle dichiarazioni di due persone imputate di procedimento connesso, ossia G. P. e D. C., e, però, l’inutilizzabilità delle dichiarazioni del secondo renderebbe le dichiarazioni del primo inidonee a giustificare il risultato probatorio affermato, attesa la necessità di un “riscontro esterno” a norma dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen.

Di conseguenza, una volta ritenute utilizzabili le dichiarazioni di D.C., e non essendo stata contestata l’utilizzabilità delle dichiarazioni di G.P., entrambe affermative della qualità e posizione dell’attuale ricorrente di amministratore di fatto della società “(OMISSIS) s.r.l.”, in quanto diretto curatore della gestione aziendale e direttore commerciale della stessa addetto al settore vendite, non può ritenersi violata la regola di cui all’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. Né, sotto altro profilo, sono in alcun modo specificamente prospettate questioni in ordine al giudizio di attendibilità c.d. “intrinseca” delle dichiarazioni di D. C. o di G. P..

4. Alla infondatezza delle censure seguono il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Deve escludersi, infatti, che sia decorso il tempo necessario a prescrivere, attesa la computabilità di cause di sospensione della prescrizione per un totale di quattrocento trentadue giorni: precisamente dal 19 marzo 2018 al 9 luglio 2018, dal 10 maggio 2019 al 18 ottobre 2019 e dal 9 giugno 2023 al 15 novembre 2023.

Cass. pen., III, ud. dep. 26.09.2025, n. 32019

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