– col primo motivo, il ricorrente deduce «Nullità della sentenza gravata per motivazione meramente apparente e comunque al di sotto del c.d. “minimo costituzionale”, in violazione dell’art. 111 cost., comma 6, dell’art 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.»;
– si sostiene che la motivazione sia solo formale e priva di reale contenuto logico-giuridico, in quanto la sentenza non avrebbe esaminato in modo adeguato le prove testimoniali e documentali, limitandosi a giudizi generici e apodittici;
– il motivo è inammissibile, perché il ricorrente deduce il vizio di carenza di motivazione (peraltro, senza ricondurlo al vizio ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.) sol perché essa è «priva del benché minimo riferimento alle predette dichiarazioni testimoniali e agli altri elementi probatori acquisiti» e, cioè, per avere la Corte territoriale compiuto «una mancanza così grave come l’omesso esame della prova testimoniale»;
– in altre parole, ad avviso del ricorrente, le dichiarazioni dei testi (riportate anche nel testo del ricorso) non sono state adeguatamente valorizzate dal giudice d’appello, il quale, però, contrariamente, a quanto affermato nell’atto introduttivo, non ha affatto mancato di esaminare le risultanze istruttorie (come si si evince dal richiamo della deposizione testimoniale di A. L., a conforto della quale, secondo la Corte di merito, vi sono reperti fotografici), senza che sia necessario dar conto di ogni singolo elemento probatorio addotto dalle parti (in proposito, si deve ribadire il consolidato principio espresso da Cass. Sez. 5, 29/12/2020, n. 29730, Rv. 660157-01, secondo cui «Il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prova che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso, né gli è richiesto di dar conto, nella motivazione, dell’esame di tutte le allegazioni e prospettazioni delle parti e di tutte le prove acquisite al processo, essendo sufficiente che egli esponga – in maniera concisa ma logicamente adeguata – gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione e le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi implicitamente disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo svolto.»);
– col secondo motivo si deduce «Nullità della sentenza gravata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 3»; la Corte d’appello avrebbe erroneamente escluso la responsabilità della Provincia di (OMISSIS), nonostante la presenza di un’insidia stradale (il pietrisco non visibile all’uscita di una curva), e, perciò, la decisione sarebbe in contrasto con la giurisprudenza consolidata sulla responsabilità della P.A. per danni da beni demaniali;
– la censura è infondata;
– contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte d’appello ha puntualmente esaminato la situazione fattuale e, nell’ambito del giudizio di merito che le compete (incensurabile in sede di legittimità), ha motivatamente escluso la sussistenza di insidie o trabocchetti tali da integrare una responsabilità ex art. 2043 c.c. dell’ente convenuto: «Passando al compendio probatorio e ai reperti fotografici prodotti in atti, il tratto di strada interessato dall’incidente si presentava corredato da segnali e pannelli integrativi idonei ad avvertire della presenza di pericoli per strada sdrucciolevole, che può diventare scivolosa in occasione di particolari condizioni climatiche o ambientali. Si osserva, inoltre, che il sinistro de quo si è verificato alle ore 16.20 del 13.05.2007, su un tratto di carreggiata ampio e rettilineo, la stagione, l’orario, la luminosità ed il tratto di strada rettilineo – vedi schizzi planimetrici in atti- (km VIII della ex ..) escludono la possibilità che possa configurarsi l’elemento dell’imprevedibilità dell’insidia stradale; dagli incartamenti in atti e dallo schizzo planimetrico allegato, emerge che il sinistro non si è verificato a ridosso dall’uscita di una curva, bensì su un tratto di strada rettilineo, e che, qualora vi fosse stato presente del pietrisco sulla predetta strada, – avendo il conducente della moto piena visibilità – lo stesso poteva essere evitato con l’ordinaria diligenza. … quella che veniva considerata quale fonte di pericolo inevitabile, non percepibile dal G.E. non sussisteva, poiché la strada era stata oggetto di lavori di ripristino del piano viabile. … A conforto di quanto dichiarato dal teste L. sono i reperti fotografici prodotti in atti che, rappresentano le reali condizioni della strada.»;
– col terzo motivo si deduce «Violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma, 1 n. 3»; si lamenta la mancata applicazione delle regole sulla responsabilità oggettiva per danni da cose in custodia, per andare esente dalla quale la P.A. avrebbe dovuto dimostrare il caso fortuito;
– col quarto motivo si deduce «Omessa motivazione sulla responsabilità ex art. 2051 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c.»; la Corte d’appello avrebbe omesso del tutto di motivare l’assenza di responsabilità ex art. 2051 c.c., limitandosi a una formula generica, senza qualificare correttamente, anche d’ufficio, i fatti;
– col quinto motivo si deduce «Violazione dell’art. 2051 c.c. per errata valutazione del significato di caso fortuito, focalizzato solo sulla condotta del danneggiato, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. – Violazione dell’art. 1227 c.c. comma 1, in relazione all’art. 360 comma 1, n. 3 c.p.c., ai fini di un eventuale concorso colposo del danneggiato nella produzione dell’evento dannoso»;
– le censure – che attengono tutte al profilo di responsabilità ex art. 2051 c.c. e, per tale ragione, possono essere esaminate congiuntamente – sono in parte inammissibili e in parte infondate;
– è inammissibile la pretesa del ricorrente di una rivalutazione, da parte di questa Corte di legittimità, delle circostanze di fatto già accertate dal giudice di merito (così la doglianza del ricorso a pag. 20: «Se la Corte di Appello avesse fatto buon governo dei princìpi suesposti, avrebbe senz’altro ritenuto dimostrata l’esistenza del danno patito dall’attore, odierno ricorrente, e della sua derivazione causale dalla cosa, senza che alcuna rilevanza assumessero altri elementi, quali il fatto che la cosa avesse o meno natura insidiosa o la circostanza che l’insidia fosse o meno percepibile ed evitabile da parte dell’attore, odierno ricorrente»);
– poi, questa Corte, con l’ordinanza dell’1/2/2018, n. 2482 (e, nello stesso senso, con le ordinanze nn. 2479 e 2480 del 2018) ha avuto modo di precisare che: «In tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’art. 1227, comma 1, c.c., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost., sicché, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro»;
– tale principio di diritto – successivamente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 27724/2018; n. 20312/2019; n. 38089/2021; n. 35429/2022; nn. 14228 e 21675/2023), anche a Sezioni Unite (Cass. n. 20943/2022) – è stato poi ancor più di recente riaffermato, statuendosi (Cass. n. 11152/23) che la responsabilità ex art. 2051 c.c. ha natura oggettiva – in quanto si fonda unicamente sulla dimostrazione del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, non già su una presunzione di colpa del custode – e può essere esclusa o dalla prova del caso fortuito (che appartiene alla categoria dei fatti giuridici), senza intermediazione di alcun elemento soggettivo, oppure dalla dimostrazione della rilevanza causale, esclusiva o concorrente, alla produzione del danno delle condotte del danneggiato o di un terzo (rientranti nella categoria dei fatti umani), caratterizzate, rispettivamente, la prima dalla colpa ex art. 1227 c.c. (bastando la colpa del leso: Cass., ord. 20/07/2023, n. 21675, Rv. 668745-01; Cass. 24/01/2024, n. 2376; Cass., ord. 27/07/2024, n. 21065) o, indefettibilmente, la seconda dalle oggettive imprevedibilità e non prevenibilità rispetto all’evento pregiudizievole;
– a tanto deve aggiungersi che la valutazione del giudice del merito sulla rilevanza causale esclusiva della condotta del leso costituisce un tipico apprezzamento di fatto, come tale incensurabile in sede di legittimità, ove scevro – come nella specie – da quei soli vizi logici o giuridici ancora rilevanti ai fini del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. (tra cui l’apparenza della motivazione per manifesta fallacia o falsità delle premesse od intrinseca incongruità o inconciliabile contraddittorietà degli argomenti: Cass. 16502/17);
– applicando alla fattispecie in esame le predette statuizioni giurisprudenziali, si evince che la Corte d’appello – nell’affermare «come il danneggiato (in pieno giorno e adeguatamente avvertito dalla segnaletica stradale) non abbia fatto quanto nelle sue possibilità, per interrompere il nesso eziologico tra fatto e l’evento dannoso, poiché la situazione di pericolo, segnalata, sarebbe stata suscettibile di essere superata utilizzando l’ordinaria diligenza e prudenza» – ha dato una succinta, ma esaustiva, motivazione riguardo alla colpa del danneggiato (anche ai fini della responsabilità per cose in custodia, esplicitamente menzionata: «… non avendo trovato conferma la ricostruzione della dinamica dell’evento offerta nel libello introduttivo né ai sensi dell’art. 2043 c.c. e né ai sensi dell’art. 2051 stesso codice non vi è spazio per affermare la responsabilità, neppure concorrente, dell’ente convenuto»), la quale costituisce sufficiente ragione per escludere la responsabilità della Provincia, anche se non integra una condotta del tutto imprevedibile ed eccezionale;
– con l’ultimo motivo si deduce l’«Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.»;
– secondo il ricorrente, i fatti storici che il giudice d’appello avrebbe omesso di considerare sono i «seguenti atti processuali: – verbale di udienza del 09/12/2009, recante le dichiarazioni dei testi B. L. e F. F. …; – verbale di udienza del 22/02/2011, recante le dichiarazioni dei testi G. L. e T. F. …. Dalle richiamate dichiarazioni testimoniali, si evince, in modo estremamente chiaro, che il pietrisco cosparso sulla sede stradale si trovava subito dopo l’uscita di una curva e che l’odierno ricorrente circolava, con il suo motociclo, a velocità moderata sul luogo del sinistro.»;
– è manifestamente inammissibile la denuncia del vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. per lamentare l’omesso esame di risultanze probatorie (ex permultis, Cass. Sez. U., 07/04/2014, n. 8053, Rv. 629831-01: «L’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie»);
– in conclusione, il ricorso va rigettato;
– consegue a tale decisione la condanna del ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate, secondo i parametri normativi, nella misura indicata nel dispositivo;
– va dato atto, infine, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente ed al competente ufficio di merito, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13;
Cass. civ., III, ord., 24.09.2025, n. 26061