Reato – Violenza sessuale – Induzione a compiere o subire atti sessuali e approfittamento dello stato di vulnerabilità

Reato – Violenza sessuale – Induzione a compiere o subire atti sessuali e approfittamento dello stato di vulnerabilità

Il ricorso, nella sua plurima declinazione, è infondato.

1. Si premette che non è compito di questa Corte operare una rivalutazione del compendio probatorio effettuato (in c.d. “doppia conforme”) dai giudici di merito. Il controllo del giudice di legittimità sul vizio della motivazione attiene difatti solo alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 3, n. 12110 del 19.3.2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247).

In altri termini, il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla ricostruzione dei fatti né all’apprezzamento del giudice di merito, ma è limitato alla verifica della rispondenza dell’atto impugnato a due requisiti, che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542).

2. Ciò premesso i motivi, in quanto denuncianti nella sostanza un difetto motivazionale prospettato sotto diverse angolazioni, possono essere esaminati congiuntamente.

3. Entrambi i giudici territoriali hanno valutato il medesimo compendio probatorio costituito:

-dal contenuto delle dichiarazioni rese dalla giovane al personale della Questura di Varese recatosi presso il Pronto Soccorso del nosocomio su richiesta del personale medico, ove il (OMISSIS) veniva trovata la giovane che riferiva agli operanti una versione dei fatti accaduti il (OMISSIS) precedente identica a quella poi rassegnata nella querela sporta dalla parte offesa la quale indicava quale autore dell’abuso tale S., di cui forniva anche il numero di telefono;

-dalle dichiarazioni rese dalla madre, prima destinataria del racconto dei fatti poi rappresentati, per quanto nel suo ricordo, anche all’amica S., poi escussa a sommarie informazioni;

-dichiarazioni rese da P. F., proprietario dell’hotel ove la ragazza era giunta, accompagnata dall’imputato, verso le ore 4,30 del mattino, ed aveva con lui sostato in una camera, da cui il giovane si era allontanato verso le ore 7,00; -dalle risultanze del referto del Pronto Soccorso;

-da quanto risultante dal sequestro del cellulare in uso alla denunciante, di cui veniva estratta copia forense e, soprattutto, dal contenuto della conversazione intercorsa, via chat, tra la B. ed A.A. il giorno del fatto, a partire dalle ore 10,25, così come riportato nel corpo della motivazione della sentenza; ed hanno dato conto, sulla base di una lettura immune da manifeste aporie logiche delle descritte emergenze, del fatto che nelle prime ore del giorno erano stati consumati tra le parti un primo rapporto sessuale completo, ‘senza protezione’, di cui la ragazza non aveva conservato ricordo alcuno e un secondo rapporto, consensuale, commentato dalla ragazza con soddisfazione.

Il Tribunale aveva ritenuto il racconto della parte offesa (menzognero nello spaccato in cui raccontava alla madre e poi agli inquirenti di essersi svegliata, con il giovane nudo su di lei, che stava tentando di penetrarla, e di averlo respinto, spintonandolo per poi subito dopo chiudersi in bagno a fare la doccia; e ancora laddove dichiarava che l’imputato le aveva offerto da bere un alcolico in discoteca, vero che, invece, «aveva accettato da bere da un altro ragazzo» in discoteca) veridico quanto al nucleo essenziale dei fatti denunciati.

Aveva dunque proceduto:

-alla ricostruzione dell’incontro sessuale con l’imputato avvenuto tra le ore 4,30 e le ore 7,00 del mattino della (OMISSIS),

-alla attestazione della abusiva strumentalizzazione da parte di A.A. dello stato di alterazione psico-fisica in cui la ragazza versava, in costanza del primo rapporto («a motivo della condizione di forte ubriachezza, tale da integrare quella condizione di marcata vulnerabilità a cui ha riguardo la fattispecie incriminatrice, tale da provare la persona della consapevolezza della natura e del significato dell’atto sessuale che l’ha riguardata», ritenute decisive, quanto alla affermazione del significativo ‘grado’ di ubriachezza, le dichiarazioni dell’albergatore: “faceva fatica a stare in piedi e […] sembrava un po’ assente: la ragazza non stava bene”, indicative di «una condizione di obnubilamento mentale e di un compromesso stato di coscienza», corroborati dalla amnesia del giorno successivo estrinsecamente riscontrata dal contenuto della chat);

-alla attestazione del differenziale di potere/capacità tra i due, posto che il giovane era giunto in albergo alla guida dell’auto, aveva interloquito normalmente con l’albergatore;

giungendo alla affermazione dell’approfittamento da parte dell’imputato, odierno ricorrente, delle descritte condizioni della giovane, a prescindere da qualsiasi verbalizzazione o richiesta o consenso dalla stessa non validamente manifestabili, e ciò nonostante la realtà del successivo rapporto consensuale («un rapporto sessuale, si comprende completo, con l’imputato, del tutto consensuale, non solo senza averlo respinto, ma anche insistendo, poi, perché il ragazzo facesse con lei la doccia»), rilevato che «occorre avere riguardo ai singoli atti sessuali posti in essere, rispetto a ciascuno dei quali occorre verificare la ricorrenza dei requisiti della fattispecie incriminatrice; in altri termini, il (sopravvenuto) consenso al compimento di un atto sessuale (sia pure della stessa tipologia, e con la stessa persona) non comporta che, in assenza di consenso ad un atto sessuale antecedente, si possa presumere, alla luce dei comportamenti successivi, che la persona offesa, ove ne fosse stata in grado, l’avrebbe prestato».

Ha evidenziato, poi, in particolare la Corte di appello, tornando ad esaminare il contenuto della chat tra parte offesa ed imputato, come la conversazione iniziasse con la richiesta da parte della ragazza di poter fare delle domande sulla serata precedente, e come, in successione, siano state dalla stessa poste domande sul come fossero finiti ad (OMISSIS), su come potesse essere accaduto che i due fossero arrivati quella sera ad avere rapporti, e, addirittura, sulla eventualità che la consumazione del rapporto avesse riguardato solo loro due o se vi fossero stati coinvolti anche gli amici dell’imputato, su come in particolare si fosse sentita (chiedendo se avesse vomitato) rappresentando di essere piena di lividi ed escoriazioni di cui non sapeva darsi spiegazione, e esclamando, sorpresa e sconfortata, di non riconoscersi nella descrizione dell’accaduto e dei comportamenti da se medesima tenuti come descrittile dall’interlocutore. Tanto a dimostrazione della assenza di coscienza, e/o di piena coscienza e consapevolezza di quanto stava accadendo nel momento della verificazione dei fatti, e, per converso, della contestuale assoluta lucidità, nell’occorso, dell’imputato, tanto consapevole delle condizioni in cui la giovane in quei frangenti versava da non sorprendersi delle domande, postume, postegli, e che altrimenti sarebbero risultate irragionevoli.

Così il Tribunale come la Corte di appello di Torino hanno ritenuto, allora, la sussistenza del dolo della violenza -coincidente con la consapevolezza delle minorate condizioni in cui versava la persona offesa- in ragione del descritto suo stato al momento dell’ingresso in albergo, tale da necessitare l’aiuto addirittura fisico, nel sorreggerla, da parte dell’imputato; e la Corte territoriale ha argomentato come nessuna diversa allegazione dall’imputato è stata resa al fine di dimostrare di aver agito rappresentandosi una realtà diversa da quella effettiva, onde anche solo allegare di versare in errore sull’atteggiarsi della volontà dell’altro. Dolo vieppiù confermato dal radicale mutamento di registro della conversazione via chat nella parte in cui i due giovani giungono, successivamente, a commentare il secondo rapporto, quello consenziente, come connotato da reciproca soddisfazione.

4. A fronte di un siffatto, compiuto duplice impianto motivazionale, sì aderente alle risultanze probatorie da rilevare e differenziare, nella rappresentazione degli accadimenti da parte della persona offesa, quanto ritenuto credibile da quanto, invece, sconfessato da ragioni logiche e ab estrinseco, la difesa del ricorrente -che neppure contesta la generale ritenuta attendibilità della parte offesa, soltanto censurando i giudici di merito a proposito della valutazione frazionata della credibilità del racconto- nel denunciare il poliedrico vizio di motivazione, indulge, in realtà, e tenta di valorizzare possibili divergenti e più favorevoli al ricorrente ricostruzioni dei fatti, basate su una inammissibile rilettura della piattaforma probatoria, contestandone la valutazione conformemente resa nel merito.

5. Osserva in via preliminare il Collegio che le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214 – 01; conf. Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014, dep. 14/01/2015, Pirajno, Rv. 261730 – 01; Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Manzini, Rv. 265104 – 01; Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, S., Rv. 275312 – 01).

Tale principio è stato, da tempo, ritenuto applicabile anche alle dichiarazioni della vittima di violenze sessuali, anche se costituita parte civile, sottolineando, tra l’altro, che, in questa materia, proprio perché al fatto non assistono testimoni, possono tuttavia acquisire valore di riscontro esterno le confidenze rese dalla vittima a terzi in periodi non sospetti (v. Sez. 3, n. 1818 del 03/12/2010, dep. 20/01/2011, L.C., Rv. 249136 – 01).

5.1. Quanto, poi, alla legittimità della valutazione frazionata delle dichiarazioni della persona offesa, di cui il ricorrente ha eccepito il carattere indebito, la giurisprudenza di legittimità la ritiene ammissibile quando dette dichiarazioni siano riferibili a una molteplicità e diversità di episodi succedutisi nel tempo, soprattutto se con cadenze cronologiche non recenti, in quanto un eventuale giudizio di inattendibilità su alcune circostanze non necessariamente inficia la credibilità delle altre parti del racconto, non essendo sempre e necessariamente ravvisabile, in tale ipotesi, un’interferenza fattuale e logica tra le parti del discorso (Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, dep. 2018, F., Rv. 273530 – 01; v. anche Sez. 6, n. 6221 del 20/04/2005, dep. 2006, Aglieri, Rv. 233095 – 01, nonché Sez. 5, n. 25940 del 30/06/2020, M., Rv. 280103 – 01).

6. Consegue a tali premesse la infondatezza delle censure sollevate dal ricorrente con il primo motivo di ricorso, in quanto volte a conseguire una lettura alternativa delle risultanze istruttorie, in particolare delle dichiarazioni della persona offesa, da contrapporre a quella dei giudici di merito, che, però, non è manifestamente illogica e non è dunque suscettibile di rivisitazioni nel giudizio di legittimità.

6.1. Neppure si versa, esattamente, nella specie, in una ipotesi di valutazione frazionata delle dichiarazioni della persona offesa, giudicata attendibile solo in relazione ad alcune delle circostanze dalla stessa dichiarate, benché tutte relative al medesimo fatto, bensì di una sorta di progressione dichiarativa, caratterizzata da iniziali reticenze e menzogne, da cui le successive dichiarazioni sono state depurate, che dalle pronunce di merito si desume essere state implicitamente spiegate, in modo non manifestamente illogico, con l’immaturità, il senso di vergogna nutrita dalla vittima nei confronti della madre, adeguatamente giustificando la ricostruzione dei fatti, peraltro confermata ab estrinseco nella parte ritenuta credibile. Dato atto delle poche, certamente non veritiere, dichiarazioni, attinenti tuttavia a circostanze non direttamente attinenti alla violenza come contestata, il Tribunale -in ciò validato dalla Corte di appello- ha evidenziato i plurimi e convergenti elementi di riscontro delle dettagliate dichiarazioni accusatorie della giovane in quanto supportate dalla lettera delle espressioni della più volta citata chat, narrazione così della parte offesa come dell’imputato/ricorrente, conducenti inequivocamente alla ricostruzione degli accadimenti nel senso della prospettazione accusatoria.

6.2. I giudici di merito hanno dunque spiegato e superato, in modo coerente e logico, le pretese aporie, e giustificato la valutazione di attendibilità della parola della vittima, concludendo, alla luce della concordanza di tutti tali elementi e della assenza di intenti calunniatori o accusatori, per la sua attendibilità la genuinità del narrato della querela.

Ne consegue l’inammissibilità delle censure sollevate con il primo motivo di ricorso, in quanto prive di autentico confronto critico con il complesso degli elementi probatori considerati e con tutti gli argomenti sviluppati nella motivazione della sentenza impugnata.

5. Così anche quanto al secondo motivo, apoditticamente contestativo, analogamente risultando adeguatamente argomentata la ragione del progressivo sgomento della giovane nell’apprendere i tratti della condotta tenuta e di cui non serbava ricordo, circostanza peraltro già logicamente implicitamente desumibile dalla iniziale richiesta di poter interloquire con l’imputato per comprendere cosa effettivamente fosse successo la sera precedente.

L’evidenza dell’impingere, il ricorso, in questioni di fatto in questa sede inammissibili traspare, con evidenza, nello svolgimento dei motivi terzo -nella parte in cui contesta la mancata individuazione della precisa collocazione oraria del rapporto abusivamente posto in essere nell’arco temporale in cui le parti si sono, insieme, intrattenute nella camera di albergo- e quinto, reiterativo della censura -sia pure con riferimento alla asseritamente mancante esatta collocazione del rapporto abusivo nella teoria degli eventi come ricostruiti mercè la lettura della chat ed alla stregua dei quali il rapporto di che trattasi avrebbe potuto essere collocato in ultimo, una volta che, ormai, la parte offesa si era ripresa-.

Orario, quello non precisamente individuato, che, comunque, non oggettivamente determinabile sulla scorta della base probatoria disponibile, è relativo ad argomento correttamente svolto dalla Corte territoriale con riferimento alla sua collocazione nell’ambito della fascia oraria ricompresa tra l’arrivo dei due giovani in albergo (alle ore 4,30 circa) e l’allontanamento dell’imputato dalla struttura (alle ore 7,00 circa), e risulta -dalla motivazione- indifferente rispetto alla corretta ricostruzione degli accadimenti, la cui peculiarità, ai fini della individuazione degli elementi costitutivi del delitto, secondo la logica ricostruzione offerta dai giudici di merito, risiede nelle condizioni soggettive in cui le parti reciprocamente versavano, ritenute, per le considerazioni svolte, estranee rispetto alla collocazione della condotta incriminata nella linea del tempo ricompresa in tale spaccato.

6. Qualche argomentazione in più ritiene il collegio di svolgere in ordine alla tematica del mancato consenso al rapporto correlato alla condizione di inferiorità della parte offesa desunta, anche, dal suo mancato ricordo degli accadimenti (di cui ai motivi terzo e quarto).

6.1. Si è detto della motivazione al proposito resa dalla Corte territoriale (§ 3), sicché basta in questa sede richiamare quanto ivi argomentato.

6.2. Intende questa Corte riaffermare il principio (da ultimo ribadito da Sez. 3, n. 11168 del 15/12/2023 Ud. (dep. 18/03/2024) Rv. 286044 – 01), secondo cui «[I]I delitto di induzione a compiere o subire atti sessuali con abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa, di cui all’art. 609-bis, comma secondo, n. 1), cod. pen., si configura anche nel caso di approfittamento di una situazione di vulnerabilità preesistente o, comunque, indipendente rispetto alla condotta del soggetto agente, posto che la condizione di inferiorità della vittima dev’essere valutata sul piano oggettivo, indipendentemente dalle cause che l’hanno generata».

Ciò sulla scorta della perimetrazione della nozione di «condizioni di inferiorità psichica o fisica» cui si riferisce l’art. 609-bis, secondo comma, n. 1, cod. pen. che, (premessa l’evocazione, dal punto di vista semantico, di una posizione di “subordinazione”, “sottomissione”, “dipendenza” o “soggezione”; e psicologico, di una condizione di insicurezza e di scarsa stima di sé) si riferisce alla situazione di subalternità, soggezione e vulnerabilità determinata da una qualunque causa psichica o fisica, non necessariamente assoluta, posto che la fattispecie in questione è distinta dal legislatore rispetto a quelle caratterizzate da violenza, minaccia o abuso di autorità, e mira a tutelare la corretta formazione della volontà di autodeterminarsi nella sfera sessuale (cfr. Sez. 3, n. 44171 del 19/09/2023 Ud. (dep. 03/11/2023 ) Rv. 285289 – 02).

Sez. U, n. 27326 del 16/07/2020, C., § 5 del Considerato in Diritto, hanno infatti osservato che «[I]a differente formulazione dei primi due commi dell’art. 609-bis cod. pen. evidenzia come, nella violenza sessuale “costrittiva”, il soggetto passivo ponga in essere o subisca un evento non voluto poiché ne viene annullata o limitata la capacità di azione e di reazione coartandone la capacità di autodeterminazione, mentre nella violenza sessuale “induttiva” l’agente persuade la persona offesa a sottostare ad atti che, diversamente non avrebbe compiuto, ovvero a subirli strumentalizzandone la vulnerabilità e riducendola al rango di un mezzo per il soddisfacimento della sessualità. In entrambi i casi l’autore del reato incide sul processo formativo della volontà della persona offesa, direttamente compressa, nel primo caso, fino ad impedire ogni diversa opzione ed orientata, nel secondo, conformemente alle intenzioni dell’agente».

E in questo senso si è ripetutamente espressa la giurisprudenza, costante nell’affermare che la condizione di inferiorità psichica della vittima al momento del fatto prescinde da fenomeni di patologia mentale, ed è integrata anche da una situazione intellettiva e spirituale di “minore resistenza” all’altrui opera di coazione psicologica o di suggestione dovuta ad un limitato processo evolutivo mentale e culturale, ma con esclusione di ogni causa propriamente morbosa (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 31776 del 13/07/2022, P., Rv. 283644-01, e Sez. 3, n. 38261 del 20/09/2007, F., Rv. 237826-01). E che non necessiti, al proposito, l’espletamento di indagini peritali, potendo la stessa essere accertata dal giudice di merito alla luce di tutte le risultanze processuali.

Ben potendo, poi, tale situazione essere determinata altrimenti, esemplificativamente, in tema di maltrattamenti in famiglia, da un avvilimento generale conseguente alle vessazioni patite (Sez. 3, n. 46043 del 20/03/2018 Ud. (dep. 11/10/2018) Rv. 274519 – 02), da credenze esoteriche in grado di suggestionare la persona offesa, delle quali l’agente approfitti spingendo o convincendo quest’ultima ad aderire ad atti sessuali che, diversamente, non avrebbe compiuto (Sez. 3, n. 31512 del 14/09/2020 Ud. (dep. 11/11/2020) Rv. 280267 – 02), o nel caso di alterazione causata dall’assunzione di alcool, quando l’agente, approfittando della condizione della vittima, la induce a compiere o subire atti sessuali ai quali la stessa non avrebbe, altrimenti, prestato il consenso (Sez. 3, n. 8981 del 05/12/2019 Ud. (dep. 05/03/2020) Rv. 278401 – 01).

6.3. Il delitto qui contestato è, dunque, predicabile nella sua sussistenza quando l’agente, abusando della condizione di debolezza del soggetto passivo, induce quest’ultimo a compiere o a subire atti sessuali ai quali non avrebbe altrimenti prestato il consenso (tra le altre, Sez. 3, n. 16899 del 27/11/2014, I, Rv. 263344); quel che, peraltro, è confermato dal principio per il quale l’abuso delle condizioni di inferiorità psichica o fisica consiste nel doloso sfruttamento della menomazione della vittima e si verifica quando le richiamate condizioni sono strumentalizzate per accedere alla sfera intima della persona che, versando in uno stato di difficoltà, viene ridotta ad un mezzo per l’altrui soddisfacimento sessuale (tra le molte, Sez. 3, n. 20776 del 14/4/2010, T, Rv. 247655); rilevando, alfine, per la sussistenza del reato che 1) la condizione di inferiorità sussista al momento del fatto; 2) il consenso dell’atto sia viziato da tale condizione; 3) il vizio sia riscontrato caso per caso e non presunto, né desunto esclusivamente dalla condizione patologica in cui si trovi la persona, quando non sia tale da escludere radicalmente, in base ad un accertamento, se necessario, fondato su basi scientifiche, la capacità stessa di autodeterminarsi; 4) il consenso sia frutto dell’induzione; 5) l’induzione, a sua volta, sia stata posta in essere al fine di sfruttare la (e approfittare della) condizione di inferiorità per carpire un consenso che altrimenti non sarebbe stato dato; 6) l’induzione e la sua natura abusiva non si identifichino con l’atto sessuale, ma lo precedano (Sez. 3, n. 52835 del 19/6/2018, P, Rv. 274417).

6.4. Esattamente come nel caso di specie.

Lo stato di inferiorità psicofisica della vittima è stato desunto sulla base di un ragionamento logico deduttivo che trova legittimità, oltre che nella sua coerenza interna (per effetto di uno sviluppo del dialogo fra i due conversanti nella chat non lascia dubbi sulla vicenda), anche nel riscontro costituito dalla deposizione del teste escusso e del titolare dell’albergo; e, in fatto, dalla amnesia del giorno successivo, estrinsecamente riscontrata dal contenuto della chat.

I giudici di merito hanno, anche, attestato il differenziale di potere/capacità tra i due, posto che, invece, il giovane era giunto in albergo alla guida dell’auto ed aveva interloquito normalmente con l’albergatore.

Da ciò la affermazione dell’approfittamento da parte dell’imputato odierno ricorrente delle descritte condizioni della giovane, a prescindere da qualsiasi eventuale consenso dalla stessa nell’atto manifestato.

Condizioni che evidentemente, avrebbero reso invalido qualsiasi consenso che la parte non era in grado di prestare.

7. Considerazioni, tutte, da cui si trae la correttezza (censurata col sesto motivo) della sentenza impugnata anche quanto alla ritenuta sussistenza del dolo, generico e, pertanto, della coscienza e volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della persona non consenziente, nella specie nella condizione, ampiamente spiegata, della sperequazione, a detrimento della parte lesa, del potenziale di coscienza e volontà dell’agire.

8. Il ricorso è perciò, nella sua totalità, infondato.

Al rigetto consegue l’onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.

E di tenere indenne la parte civile, ammessa al patrocinio a spese dello Stato, dalle spese sostenute per il processo.

Cass. pen., III, ud. dep. 24.09.2025, n. 31847

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