1.1. Con l’odierno ricorso parte ricorrente, in qualità di erede ed ex comproprietaria, oltre che di successiva dante causa a titolo oneroso dell’immobile sotto precisato, ha impugnato il provvedimento del 7 dicembre 2023, n. 596, con cui il Comune di Torregrotta ha disposto l’annullamento d’ufficio, ai sensi dell’art. 21-nonies, della l.n. 241/90, della concessione edilizia in sanatoria n. 175 del 28 agosto 2013, rilasciata ai sensi della l.n. 47/1985 (c.d. primo condono edilizio), avente ad oggetto la “Costruzione di un fabbricato ad una elevazione fuori terra in Torregrotta, Via Industriale 1° traversa privata, eseguito in assenza di concessione edilizia, in Catasto al Foglio 1 Part. 1049 sub. 4-5-6-7”, con conseguente declaratoria di nullità dei titoli edilizi successivamente rilasciati in favore del medesimo immobile (autorizzazione di agibilità prot. n. 16788/13 del 27 febbraio 2014; C.I.L.A. prot. n. 10786 del 21 luglio 2017; C.I.L.A.S. prot. n. 5089 del 31 marzo 2022).
1.2. I fatti di causa possono essere così succintamente riepilogati:
– col provvedimento n. 175 del 28 agosto 2013, il Comune di Torregrotta ha rilasciato ai Sigg. Amalia Cesareo Consolo, Mario Salvatore Sfameni ed Anna Sfameni la concessione edilizia in sanatoria n. 175/2013, ai sensi della l.n. n° 47/85 e della l.r. n° 37/85, a conclusione del procedimento di condono attivato nel 1986 dal loro dante causa iure hereditatis;
– successivamente, l’immobile veniva venduto a terzi che, avvedutisi di un potenziale pericolo alla proprietà acquistata, dovuta al dissesto dell’argine destro di un canale di scolo ubicato al confine del loro terreno, allertavano il Comune di Torregrotta in data 28 maggio 2021;
– la segnalazione ricevuta dall’Ente locale veniva inoltrata, per competenza, il 15 giugno 2021 al CAS (Consorzio Autostrade Siciliane), tenuto conto che il canale di cui trattasi risultava essere stato realizzato contestualmente all’esecuzione dei lavori per la creazione del tratto autostradale Villafranca Tirrena – Milazzo, al fine di consentire il deflusso delle acque meteoriche dal manto stradale;
– a seguito di sopralluogo e di ulteriori approfondimenti, il CAS convocava una riunione con i vari Enti pubblici coinvolti nella vicenda il 12 dicembre 2022, ove rappresentava che: i) la sponda sinistra dell’opera in commento risultava collocata nell’ambito della proprietà del Consorzio, mentre la sponda destra era di proprietà privata intestata alla società Corolla di Calcagno S.r.l.; ii) l’intera opera, inoltre, ricadeva sul territorio comunale di Monforte San Giorgio, mentre il lotto e l’immobile di proprietà privata, oggetto dell’odierna controversia, ricadevano nel Territorio Comunale di Torregrotta; iii) da ultimo, per quanto di interesse ai fini di causa, veniva rilevato, come da documentazione fotografica aerea risalente al maggio 1983 e al giugno 1985, che l’immobile ereditato dalla parte ricorrente, ricadente nella fascia di inedificabilità assoluta (art. 15 lett. a) della l.r. 78/76), non aveva la consistenza riportata nella dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà del 13.03.1986, allegata all’istanza di sanatoria ex l.n. 47/85 e l.r. n. 37/85, resa dal proprietario istante;
– il verbale della prefata riunione veniva inoltrato al Comune resistente nel mese di marzo 2023;
– di conseguenza, con nota n. 8914 del 6 giugno 2023, il Comune di Torregrotta dava comunicazione di avvio del procedimento di annullamento in autotutela del condono edilizio in precedenza rilasciato, in forza della falsa rappresentazione dei fatti posta in essere dall’allora istante, con provvedimento definitivo ex art. 21-nonies, della l.n. 241/90 adottato il successivo 7 dicembre 2023, impugnato in questa sede processuale.
1.3. Il ricorso è stato affidato alle seguenti censure:
I) Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 nonies, L. 7 agosto 1990, n. 241, in considerazione del mancato rispetto del termine di dodici mesi per l’adozione del provvedimento di annullamento d’ufficio.
II) Violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, dell’art. 21 nonies, L. 7 agosto 1990, n. 241, per mancato rispetto del termine ragionevole ai fini dell’esercizio del potere di secondo grado previsto dalla normativa vigente, anche avuto riguardo alla data di avvenuta conoscenza della dichiarazione mendace.
III) Violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, dell’art. 21 nonies, L. 7 agosto 1990, n. 241, tenuto conto che il falso contestato dalla p.a. comunale non sarebbe stato oggetto di accertamento in sede penale.
IV) Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 6, L 7 agosto 1990, n. 241: difetto di motivazione e carenza di istruttoria. Violazione e falsa applicazione dell’art. 23, L.R. 10 agosto 1985, n. 37, in quanto il Comune resistente non avrebbe fornito alcuna esplicitazione delle ragioni per cui l’immobile di cui trattasi sarebbe ricompreso nella zona di inedificabilità assoluta (150 metri dalla battigia).
V) Violazione e falsa applicazione sotto altro profilo dell’art. 3, L 7 agosto 1990, n. 241: difetto di motivazione, derivante dalla mancata enunciazione dell’interesse pubblico sotteso al potere di secondo grado esercitato.
VI) Violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, dell’art. 21 nonies, L. 7 agosto 1990, n. 241. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 6, L. 7 agosto 1990, n. 241 e degli artt. 31, L.n. 47/1985 e 23, L.R. n. 37/1985, tenuto conto che le dichiarazioni rese dall’allora proprietario e dante causa della odierna ricorrente non sarebbero false, come sostenuto dal Comune, essendo piuttosto conformi al dettato normativo.
VII) Violazione e falsa interpretazione, sotto altro profilo, dell’art. 21 nonies, L. 7 agosto 1990, n. 241. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3 e 4, L. 4 gennaio 1968, n. 15. Eccesso di potere sotto il profilo del travisamento dei fatti, del difetto di istruttoria e della manifesta irragionevolezza.
Secondo la prospettazione di parte, l’Amministrazione resistente avrebbe dovuto condurre una propria istruttoria protesa a verificare lo stato dei luoghi e, pertanto, non avrebbe potuto basarsi, ai fini del rilascio del condono, sulle sole dichiarazioni rese dal privato in sede di presentazione della domanda.
VIII) Violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, dell’art. 21 nonies, L. 7 agosto 1990, n. 241. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 6, L. 7 agosto 1990, n. 241. Eccesso di potere per travisamento dei fatti e per violazione del principio di proporzionalità.
Dalle aerofoto poste a fondamento dell’asserita falsità della rappresentazione dei fatti da parte del privato, risulterebbe come l’immobile in commento sarebbe stato comunque esistente, almeno in parte, sicuramente nel 1983, con conseguente necessità di procedere al suo condono per quella porzione di edificio.
2. Si è costituito in giudizio il Comune di Torregrotta che ha chiesto il respingimento del gravame in quanto infondato.
3. All’udienza del 4 dicembre 2024 la trattazione della causa è stata rinviata nelle more della decisione della Corte Costituzionale sulla q.l.c. sollevata dal C.g.a. con ordinanza n. 348/2024.
4. Alla successiva udienza pubblica del 10 settembre 2025 il ricorso è passato in decisione.
Il ricorso è infondato e non può trovare accoglimento.
5. In primo luogo, deve essere dato atto che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 72/2015, ha dichiarato non fondata la q.l.c. sollevata dal giudice amministrativo di appello siciliano (ordin. n. 348/2024), confermando la legittimità del divieto di costruire entro i 150 metri dalla battigia in Sicilia con statuizioni che non giovano alla causa dell’odierna parte ricorrente.
6. Venendo all’esame dei motivi di ricorso, il Collegio ritiene di poter trattare congiuntamente le prime tre censure alla luce dei loro contenuti e della loro infondatezza.
Anzitutto, diversamente da quanto sostenuto col gravame, alla fattispecie in esame, nella quale la p.a. ha esercitato un potere caducatorio di secondo grado per effetto di dichiarazioni mendaci rilasciate dal privato istante, non si applica il termine di dodici mesi per l’adozione del provvedimento di annullamento d’ufficio decorrente dalla data di rilascio di una precedente determinazione favorevole al privato da parte dell’Amministrazione.
Sul punto, invero, l’art. 21-nonies, co. 2-bis, della l.n. 241/90, stabilisce come “I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall’amministrazione anche dopo la scadenza del termine di dodici mesi di cui al comma 1 …”.
Al riguardo, va precisato come la citata locuzione “accertate con sentenza passata in giudicato” sia stata già interpretata dalla g.a., con statuizioni condivise dal Collegio, nel senso di essere riferita, soltanto, alle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell’atto di notorietà mendaci e non anche alla diversa fattispecie della falsa rappresentazione dei fatti contenuta in altri documenti.
Questa distinzione interpretativa trova il suo fondamento nella diversa natura giuridica delle due fattispecie. Le dichiarazioni sostitutive, disciplinate dal d.P.R. n. 445/2000, costituiscono, invero, strumenti di semplificazione amministrativa dotati di particolare valore probatorio, equiparati per efficacia agli atti pubblici che sostituiscono, come espressamente stabilito dall’art. 48, co. 1. Per tale ragione, il legislatore ha ritenuto necessario subordinare l’annullamento d’ufficio tardivo, motivato sulla scorta della loro presunta falsità, all’esito di un accertamento penale definitivo, quale garanzia di certezza giuridica proporzionata al valore probatorio privilegiato di tali dichiarazioni.
Orbene, nel caso a mani, come risulta dagli atti di causa, il privato istante ha rilasciato una prima dichiarazione, denominata “dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà”, riportante una non veritiera rappresentazione dei fatti, il giorno 13 marzo 1986, con firma autenticata, in pari data, da un notaio ai sensi dell’art. 20, della l.n. 15/1968
Quest’ultima legge, nello specifico, all’articolo 4, contemplava già la possibilità di produrre dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà ma, è bene sottolinearlo, è solo con l’entrata in vigore del successivo d.P.R. n. 445/2000 che le dichiarazioni sostitutive hanno acquisito l’efficacia probatoria rafforzata conosciuta nel nostro ordinamento giuridico odierno, con conseguente non applicabilità al caso in esame del regime più rigoroso previsto per l’accertamento della loro falsità previsto dal citato art. 21-nonies, co. 2-bis, della l.n. 241/90.
Una seconda dichiarazione mendace, poi, dello stesso e identico tenore, è stata rilasciata dal medesimo privato il 12 marzo 1986, come ammesso col sesto motivo di ricorso che sarà esaminato successivamente, nell’ambito del documento denominato “RELAZIONE DESCRITTIVA DELL’OPERA PER LA QUALE SI CHIEDE IL CONDONO”.
Per quanto precede, le citate dichiarazioni rese dal privato istante a corredo della domanda di condono, alla luce della loro natura, non necessitano dell’accertamento in sede penale in merito alla falsità dei loro contenuti prima del valido esercizio del potere di autotutela riservato all’Amministrazione, tenuto conto che siffatto aggravamento procedimentale, come sopra anticipato, deve intendersi riservato alle sole dichiarazioni sostitutive rese ai sensi del d.P.R. n. 445/2000, tenuto conto che solo dall’entrata in vigore di quest’ultima normativa (art. 48) è stato espressamente riconosciuto un valore probatorio rafforzato alle dichiarazioni rese dai privati in precedenza sconosciuto nel nostro ordinamento giuridico.
Essendo l’Amministrazione libera di apprezzare la “falsa rappresentazione dei fatti” dalla documentazione sottoscritta dalla parte privata istante ai fini dell’esercizio del potere di autotutela, non può ritenersi applicabile, al caso in esame, il termine di dodici mesi per agire decorrente dalla data di adozione del condono edilizio.
Peraltro, sempre sulla questione del mancato rispetto del termine di dodici mesi, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 8/2017, ha già avuto modo di affermare come “nella vigenza dell’articolo 21-nonies della l. 241 del 1990 – per come introdotto dalla l. 15 del 2005 – l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all’adozione dell’atto di ritiro anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole. In tali ipotesi, tuttavia, deve ritenersi: i) che il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consumi il potere di adozione dell’annullamento d’ufficio e che, in ogni caso, il termine <<ragionevole>> per la sua adozione decorra soltanto dal momento della scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro; ii) che l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione risulterà attenuato in ragione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati (al punto che, nelle ipotesi di maggior rilievo, esso potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possano integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano nel senso dell’esercizio del ius poenitendi); iii) che la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte” (Adun. Plen. n. 8/2017).
Sul piano dell’ambito oggettivo di applicazione della novella dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990,introdotta con la legge n. 124 del 2015, la medesima Adunanza Plenaria ha chiarito che “Tale disposizione non provvede che per il futuro, sicché dalla stessa non possono essere tratti elementi o spunti interpretativi ai fini della soluzione di questioni ricadenti sotto la disciplina del previgente quadro normativo”, di talché sia il termine di diciotto mesi previsto dalla citata normativa, sia quello di dodici oggi vigente, non può se non operare solo per l’avvenire, ossia avuto riguardo a provvedimenti amministrativi adottati dopo l’entrata in vigore della novella.
Sulla base di tali coordinate ermeneutiche la giurisprudenza successiva ha stabilito come:
– il termine di diciotto mesi (dodici nell’odierna controversia) per l’annullamento d’ufficio resta predicabile nella sua rigida previsione solo in relazione ai provvedimenti di annullamento in autotutela che abbiano ad oggetto provvedimenti che siano, anch’essi, successivi all’entrata in vigore della novella di cui alla legge n. 124 del 2015, in quanto trattasi di un termine che non può applicarsi in via retroattiva, nel senso di computare anche il tempo decorso anteriormente all’entrata in vigore della novella legislativa, atteso che tale esegesi, oltre a porsi in contrasto con il generale principio di irretroattività della legge (art. 11 preleggi) finirebbe per limitare in maniera eccessiva ed irragionevole l’esercizio del potere di autotutela amministrativa; si arriverebbe, infatti, all’irragionevole conseguenza per cui, con riguardo ai provvedimenti adottati diciotto mesi prima dell’entrata in vigore della nuova norma, l’annullamento d’ufficio sarebbe, per ciò solo, precluso (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 8 settembre 2020, n. 5410; Id., sez. III, 2 novembre 2019, n. 7476; Id., sez. VI, 8 maggio 2019 n. 2974, Id., sez. V, 19 gennaio 2017 n. 250; Id., sez. VI, 13 luglio 2017 n. 3462);
– nel caso di provvedimenti già adottati alla data di entrata in vigore della novella il termine suddetto integra esclusivamente un parametro di riferimento per valutare la “ragionevolezza del termine” dell’intervento in autotutela. Il nuovo termine legislativamente predeterminato non sostituisce in toto il termine ragionevole (e indeterminato) il quale, presente fin dall’originaria formulazione della disposizione delineata dalla legge n. 15 del 2005, continua a costituire il parametro normativo di riferimento laddove non possa trovare applicazione, “ratione temporis“, il termine di diciotto mesi (cfr. ex multis, Cons. Stato sez. V, 29 maggio 2019, n.3583; Id., sez. IV, 18 luglio 2018, n. 4374; Id., sez. VI, 19 gennaio 2017, n. 250).
Così ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, si ritiene che l’invocato termine perentorio di dodici mesi non possa trovare applicazione nel caso in esame, tenuto conto che il provvedimento di sanatoria su cui ha inciso l’atto in autotutela impugnato è stato adottato nel 2013, ossia ben prima della novella normativa prevista dalla citata legge n. 124/2015.
Peraltro, pur volendo far decorrere il termine di dodici mesi dalla scoperta della falsa rappresentazione dei fatti posta in essere dal privato le censure di parte ricorrente sarebbero comunque infondate.
Come risulta dagli atti, l’Amministrazione locale resistente ha ricevuto il verbale della riunione presieduta dal CAS il 12 dicembre 2022, soltanto a marzo 2023, essendo tempestivo il provvedimento in autotutela gravato adottato il 7 dicembre 2023.
A diverse conclusioni, non pare potersi giungere nemmeno spostando indietro il dies a quo al 12 dicembre 2022, data di celebrazione della riunione in commento, tenuto conto del fatto che il provvedimento di secondo grado oggi impugnato è stato comunque adottato il 7 dicembre 2023, ossia entro i dodici mesi all’uopo previsti, essendo irrilevante che la sua notifica sia occorsa il 15 dicembre 2023, tenuto conto che tale adempimento successivo da parte della p.a. attiene alla sfera dell’efficacia del provvedimento (art. 21-bis, l.n. 241/90) e non a quello della sua venuta ad esistenza nell’ordinamento giuridico.
I primi tre motivi di ricorso sono dunque infondati.
7. Anche il quarto ed il quinto motivo di gravame, da esaminarsi in via congiunta, risultano essere destituiti di fondamento, non ravvisandosi alcun difetto di motivazione e/o di istruttoria commesso dalla p.a. resistente avuto riguardo alla sussistenza del vincolo di inedificabilità assoluto nel caso in esame, tenuto conto del posizionamento dell’immobile a ridosso della spiaggia e, quindi, evidentemente entro il 150 metri dalla battigia previsti dalla normativa vigente, come risulta per tabulas dagli atti di causa e senza alcuna dimostrazione in senso contrario offerta dalla parte ricorrente.
Sulla necessità, poi, che il vincolo in parola potesse operare solo previa adozione dello strumento urbanistico da parte del Comune interessato, ha già preso posizione la Corte Costituzionale con la sentenza n. 72/2025 sopra richiamata, affermando come detto vincolo sia immediatamente applicabile, in Sicilia, anche in assenza dei piani urbanistici comunali.
Per quanto concerne, poi, l’obbligo di motivazione gravante sulla p.a. per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio di un titolo edilizio a distanza di anni, la citata Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 8/2017, ha già avuto modo di chiarire come “ l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio anche in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal titolo medesimo, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all’adozione dell’atto di ritiro, tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole, non potendosi predicare in via generale la sussistenza di un interesse pubblico in re ipsa alla rimozione in autotutela di tale atto… 11. … l’onere motivazionale comunque gravante sull’amministrazione nel caso di annullamento in autotutela del titolo edilizio in precedenza adottato possa restare in qualche misura attenuato in ragione della rilevanza degli interessi pubblici tutelati … Si pensi (e solo a mo’ di esempio) al titolo edilizio illegittimamente rilasciato in area interessata da un vincolo di inedificabilità assoluta … in tali ipotesi la motivazione dell’atto di ritiro potrà essere legittimamente fondata sul richiamo all’inderogabile disciplina vincolistica oggetto di violazione, ben potendo tale richiamo assumere un rilievo preminente in ordine al complesso di interessi e di valori sottesi alla fattispecie … 11.1. Si osserva inoltre che l’onere motivazionale richiesto all’amministrazione in sede di adozione dell’atto di ritiro risulterà altresì agevolato nelle ipotesi in cui la non veritiera prospettazione dei fatti rilevanti da parte del soggetto interessato abbia sortito un rilievo determinante per l’adozione dell’atto illegittimo… ” (Cons. Stato, Adun. Plen., sent. n. 8/2017).
Sulla stessa scia, la giurisprudenza di primo grado successiva ha confermato come “In materia di annullamento in autotutela di concessione edilizia in sanatoria rilasciata sulla base di false dichiarazioni, l’onere motivazionale gravante sulla Pubblica Amministrazione risulta attenuato qualora il provvedimento sia stato ottenuto mediante una non veritiera rappresentazione della realtà da parte del privato, non potendosi in tal caso configurare un legittimo affidamento in capo al beneficiario. La falsa prospettazione delle circostanze di fatto e di diritto, anche mediante il solo silenzio su circostanze rilevanti, comporta l’inapplicabilità del termine ordinario (di diciotto mesi, ora ridotti a dodici) previsto dall’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 per l’esercizio del potere di autotutela, senza che sia necessaria una condanna penale in giudicato del privato che ha indotto in errore l’amministrazione. Nel caso di immobili ricadenti in zona di inedificabilità assoluta, come la fascia dei 150 metri dalla battigia di cui all’art. 15 della legge regionale Sicilia n. 78/1976, l’interesse pubblico al ripristino della legalità violata assume carattere “autoevidente” e prevale sull’interesse privato al mantenimento del titolo edilizio illegittimo. … La motivazione del provvedimento di annullamento può ritenersi sufficiente quando dia conto della non veritiera prospettazione dei fatti da parte del privato, non essendo necessaria una specifica comparazione con gli interessi privati coinvolti, attesa l’insussistenza di un affidamento meritevole di tutela (T.A.R. Sicilia, Palermo, sent. n. 944/2024).
Al riguardo, anche il giudice amministrativo di appello siciliano si è pronunciato negli stessi termini, evidenziando come “11.2. Nel caso controverso, come già sopra evidenziato, nessun particolare onere motivazionale poteva essere preteso dal Comune di Marsala in ordine all’interesse pubblico al ritiro della concessione edilizia in sanatoria, né alla ponderazione tra interesse pubblico e interessi privati antagonisti, in quanto: a) nessun affidamento legittimo può ritenersi ingenerato in virtù della non veridicità della dichiarazione sostitutiva a corredo della istanza di condono; b) tale dichiarazione sostitutiva aveva invero assunto un valore determinante nel rilascio del titolo edilizio in sanatoria; c) ricorrendo una ipotesi di costruzione edilizia in zona sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluta, la motivazione dell’atto, secondo l’insegnamento dell’Adunanza Plenaria, può essere “legittimamente fondata sul richiamo all’inderogabile disciplina vincolistica oggetto di violazione, ben potendo tale richiamo assumere un rilievo preminente in ordine al complesso di interessi e di valori sottesi alla fattispecie” (C.g.a., sent. n. 689/2023, conferma T.A.R. Sicilia, Palermo, sent. n. 2545/2020).
Né alcun rilievo può avere nell’odierno contenzioso il precedente di questo T.A.R. n. 1210/2024, citato dalla parte ricorrente a suo favore nelle proprie difese, tenuto conto dell’ontologica diversità delle situazioni fattuali nei due casi presi in considerazione, posto che nel precedente giudizio citato di questo Tribunale il Comune resistente aveva esercitato il suo potere di annullamento in autotutela, a diversi anni dal rilascio del condono, senza fare alcun riferimento alla falsa rappresentazione dei fatti, come invece occorso nel caso oggetto dell’odierno giudizio, non essendo, pertanto, stata ritenuta applicabile, in quel caso, la deroga al termine ragionevole per l’esercizio del privato prevista in caso di mendacio.
8. Col sesto mezzo di impugnazione parte ricorrente sostiene come la dichiarazione resa dal privato istante non potrebbe essere ritenuta falsa, dal momento che le strutture essenziali dell’immobile in commento sarebbero state ultimate entro i termini stabiliti dall’art. 23, della l.r. n. 37/1985, come sarebbe dimostrato dalla prima delle aerofoto prodotte dall’Amministrazione risalente al 1983 e come riportato anche in una ulteriore dichiarazione prodotta agli atti del procedimento, in cui il proprietario dell’epoca confermava tale stato di fatto.
Il motivo è infondato.
In disparte il fatto che la produzione di plurimi atti riportanti dichiarazioni false sullo stato dei fatti non è circostanza che giova alla parte ricorrente, tenuto conto che la ripetizione di una dichiarazione mendace da parte del dante causa non comporta alcun rafforzamento della sua capacità di dimostrare l’esistenza di un fatto, invero, smentito proprio dalla prima aerofoto del 1983 invocata col gravame.
Peraltro, va rilevato come le dichiarazioni in commento avevano ad oggetto la paventata ultimazione delle strutture essenziali dell’immobile entro il mese di maggio 1976 e non entro il 1985, tenuto conto che a, a venire in rilievo, è un immobile situato in area con vincolo di inedificabilità assoluto, aspetto superabile in sanatoria solo previa dimostrazione che l’edificio, nelle sue strutture essenziali, fosse stato completato prima dell’entrata in vigore del vincolo stesso.
Dall’esame dell’aerofoto succitata, al 1983 non è possibile apprezzare alcun completamento delle strutture essenziali dell’immobile condonato, posto che l’unica cosa che è possibile scorgere è la presenza di un manufatto dalle dimensioni quadrate di ridottissima superficie, senza considerare che la struttura completa dell’immobile oggetto di sanatoria, come risultante dalle planimetrie allegate alla domanda, non è rinvenibile, nella sua interezza, neppure nella successiva aerofoto del 1985, dove mancano ancora dei locali rispetto alla configurazione finale (v. lato sud del manufatto).
Se nel 1983 (così come nel 1985) l’immobile non aveva la consistenza di quello poi condonato, si deve inferire come le sue strutture essenziali non possano essere state ultimate nel maggio 1976, come invece dichiarato dall’allora proprietario, venendo in rilievo una falsa rappresentazione dei fatti posta in essere con plurime dichiarazioni rese alla p.a. dal privato.
La prova documentale offerta dalla p.a., in ordine alla sussistenza di un mendacio determinante ai fini dell’esito del procedimento di condono, non può se non determinare l’inversione dell’onus probandi in capo al privato sull’effettiva data di ultima delle opere che, in ogni caso, né in sede amministrativa, né in quella giudiziale, ha dato compiuta dimostrazione della veridicità delle dichiarazioni rese all’atto della presentazione della domanda di condono, fornendo la prova dell’effettiva sussistenza delle strutture essenziali dell’immobile in parola alla data del 1976 e smentendo le aerofoto successive.
Al riguardo, la g.a. ha già avuto modo di chiarire come sul richiedente un condono edilizio gravi l’onere “pieno” della prova di dimostrare l’ultimazione delle opere, trattandosi di elemento essenziale per l’ammissibilità dell’istanza di condono. A parer del Collegio tale incombenza va riscontrata a fortiori nel caso in esame, dal momento che la zona dove è stato edificato l’immobile risulta gravata da un vincolo di inedificabilità assoluto (cfr. in termini, Cons. Stato, sent. n. 3841/2022).
In altri e più chiari termini, una volta sconfessata la versione del privato sulla data di ultimazione delle strutture essenziali dell’immobile, poggiante solo sulle sue dichiarazioni rivelatesi difformi dalla realtà, come dimostrato dalle evidenze rappresentate dalle aerofoto del 1983 e 1985, in assenza di altri elementi probatori offerti dalla medesima parte, non può dirsi assolto l’onere della prova gravante sul proprietario dell’immobile di dare dimostrazione piena sull’effettiva consistenza del manufatto alla data del 1976, con conseguente legittimità dell’operato dell’Ente locale.
9. Con la settima doglianza parte ricorrente ritiene che l’annullamento d’ufficio gravato non sia da attribuirsi alla falsa rappresentazione dei fatti contestata all’originario proprietario, quanto piuttosto alla lacunosa istruttoria compiuta dalla p.a. resistente ai fini del rilascio del condono edilizio nel 2013.
Il motivo non è meritevole di favorevole delibazione.
Anzitutto, va ancora una volta richiamato il succitato orientamento giurisprudenziale, fondato sul dato normativo, che ritiene come dal rilascio di dichiarazioni false o, comunque, dalla falsa rappresentazione della realtà dei fatti, il privato non possa invocare alcun legittimo affidamento.
Tale approdo ermeneutico trova oggi conferma anche nel rivisitato art. 1, della legge n. 241/90 che, al comma 2-bis, segnatamente, prevede come “I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede”.
Orbene, nel caso a mani la p.a., in forza dei prefati principi, oggi contenuti nella legge generale sul procedimento amministrativo ma, di fatto, già in precedenza ritenuti sussistenti nel nostro ordinamento dall’interpretazione giurisprudenziale nell’ambito del rapporto giuridico amministrativo dinamico che si instaura tra Pubbliche Amministrazioni e cittadini nella sede procedimentale, il Comune resistente ha rilasciato un provvedimento di condono al privato facendo affidamento sulla bontà delle dichiarazioni rese in sede di presentazione della domanda di sanatoria, non ravvisandosi alcun difetto di istruttoria imputabile all’Ente locale.
Aderendo alla tesi di parte ricorrente, del resto, la possibilità per le Amministrazioni di agire in autotutela in caso di dichiarazioni mendaci sarebbe del tutto svuotata, dal momento che ogni falsità riportata in dichiarazioni dei privati potrebbe essere sempre riconosciuta dall’Amministrazione procedente a seguito dell’effettuazione di controlli capillari e certosini.
All’invocata completezza dell’istruttoria, tuttavia, fanno da contraltare la necessità che l’Amministrazione si determini entro i termini all’uopo previsti per ciascun procedimento amministrativo, così come l’esauribilità e la limitatezza delle risorse pubbliche disponibili, da cui discende il principio generale di non aggravamento del procedimento e senza considerare che, al privato, è comunque riconosciuto potere di impulso e di partecipazione nel procedimento amministrativo, potendo fornire alla p.a. ogni elemento di informazione ritenuto utile ai fini del completamento del quadro istruttorio.
In un contesto di tal fatta, va rilevato come dall’apporto del privato, come confermato dalla giurisprudenza in precedenza citata, ove si risolva in un contributo infedele, atto a sviare il corretto esercizio del pubblico potere per ottenere una indebita utilità, non possa derivare alcun vantaggio per la medesima parte, con conseguente infondatezza della censura così come formulata.
10. Con l’ottavo e ultimo motivo di ricorso parte ricorrente ritiene che il provvedimento sarebbe comunque illegittimo, almeno in parte e avuto riguardo alla porzione di fabbricato già esistente nel 1983, come dimostrato dalla relativa aerofoto.
Anche questa censura si palesa infondata.
Sul punto, va rammentato come l’unico elemento dimostrante l’esistenza delle strutture essenziali dell’opera condonata al 1976 è rappresentato dalle dichiarazioni della parte privata istante smentite proprio dalle aerofoto del 1983 e 1985.
In tal senso, la logica della parziale condonabilità dell’opera che parte ricorrente pretende di applicare al caso in esame, a ben vedere, non ha ragion d’essere, dal momento che non sussiste alcuna prova che la struttura (di dimensioni ridotte) che si apprezza nell’aerofoto del 1983 fosse già presente nel maggio 1976, ossia nell’anno in cui è divenuto efficace il vincolo di inedificabilità assoluta sull’area in argomento, non essendo stata fornita alcuna dimostrazione al riguardo.
11. Per le suesposte ragioni il ricorso deve essere respinto in quanto infondato.
12. Le spese di lite possono essere eccezionalmente compensate tra le parti alla luce della peculiarità delle questioni trattate e delle situazioni giuridiche coinvolte.
TAR SICILIA – CATANIA, III – sentenza 23.09.2025 n. 2724