1. Il primo motivo di ricorso è fondato,
Va ribadito che il limite di aumento minimo per la continuazione, pari ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave, previsto dall’art. 81, comma quarto, cod. pen., si applica nei soli casi in cui l’imputato sia stato ritenuto recidivo reiterato con una sentenza definitiva emessa precedentemente al momento della commissione dei reati per i quali si procede (Corte cost., Ord. n, 171 del 2009; Sez. 1, n. 26250 del 08/05/2024, Rv. 286602; Sez. 4, n. 22545 del 13/09/2018, dep. 2019, Rv. 276268; Sez. 1, n. 17928 del 22/04/2010, Rv. 247048).
Invece, sia il Tribunale che la Corte di appello hanno applicato l’aumento per la continuazione nella misura di un terzo ex art. 81, ultimo comma, cod. pen. senza vagliare se l’imputato sia stato ritenuto recidivo reiterato con una sentenza definitiva emessa prima della commissione dei reati per i quali si procede.
Pertanto, sul punto la sentenza impugnata va annullata per la rideterminazione della pena alla luce del principio di diritto richiamato.
2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
L’ordinanza che rigetta la richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa pronunciata dal giudice su istanza dell’imputato è ricorribile per cassazione, unitamente alla sentenza conclusiva del giudizio, senza alcuna distinzione tra reati procedibili a querela suscettibile di remissione e reati procedibili d’ufficio (Sez. 6, n. 14338 del 29/01/2025, Rv. 287925).
Tuttavia la sua motivazione non è viziata se la sussistenza o insussistenza delle condizioni previste dalla legge risulta fondata su una motivazione non manifestamente illogica, né contraddittoria in merito alla verifica delle risultanze fattuali e concretamente sussistenti, relative sia all’utilità della risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede, sia all’assenza di un pericolo concreto per gli interessati e per l’accertamento dei fatti, mentre diverso e successivo è il giudizio sulla fattibilità del programma, la cui valutazione spetta eventualmente ai mediatori (Sez. 5, n. 131 del 26/11/2024, dep. 2025, Rv. 287434).
Nella sentenza impugnata la Corte ha osservato che l’accesso ai programmi di giustizia riparativa non potrebbe determinare la sospensione del giudizio, né dispiegare effetto sulla definizione del giudizio di appello, «risultando vieppiù anche assorbenti e prevalenti, in senso ostativo, le pregnanti esigenze cautelari».
In altri termini, ha noi irragionevolmente evidenziato che le esigenze cautelari a salvaguardia delle quali D.F. è attualmente sottoposto a custodia cautelare in carcere per questa causa non sono compatibili con lo svolgimento di un programma di giustizia riparativa.
3. Il delitto di maltrattamenti in famiglia si consuma con la cessazione dell’abitualità delle condotte vessatorie, sicché, qualora la condotta si sia protratta successivamente alla vigenza della legge 19 luglio 2019, n. 69, si applica la pena più sfavorevole prevista da quest’ultima normativa, a prescindere dal numero di episodi commessi durante la sua vigenza e senza la necessità che gli stessi integrino, di per sé soli, l’abitualità del reato (Sez. 6, n. 41444 del 10/09/2024, Rv. 287197; Sez. 6, n. 23204 del 12/03/2024, Rv. 286616).
Nel caso in esame i maltrattamenti sono iniziati nel maggio del 2019 e si sono conclusi nel marzo del 2020.
Pertanto, anche il terzo motivo di ricorso è infondato.
4. Il quarto motivo di ricorso è infondato.
La Corte di appello ha ritenuto provata l’aggravante perché la persona offesa – ritenuta attendibile – ha dichiarato che la figlia era stata sempre presente alle aggressioni verbali e fisiche, come pure (seppure con meno frequenza) il figlio.
Per altro verso, la Corte ha esplicitato che, pur riconoscendo l’aggravante ex art. 572, comma 2, cod. pen. non ha ritenuto di applicare l’aumento facoltativo ex art. 63, comma 4, cod. pen. considerando l’aumento di 2/3 già applicato per la recidiva reiterata e specifica.
Nella fattispecie il motivo di ricorso non è sorretto da un interesse concreto, perché il riconoscimento dell’aggravante non ha avuto comunque alcuna incidenza sulla determinazione della pena, neanche relativamente alla qualificazione del fatto in termini di maggiore gravità ex art. 133 cod. pen. (Sez. 1, n. 9019 del 23/11/2023, dep. 2024, Rv. 285921), poiché questa è stata comminata nel minimo edittale (Sez. 5, n. 13628 del 15/12/2023, dep. 2024, Rv. 286222; Sez. 4, n. 15937 del 14/03/2024, Rv. 286342).
5. Il quinto motivo di ricorso è infondato.
La Corte ha adeguatamente chiarito i criteri seguiti per l’esercizio del suo potere discrezionale nel disconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, valutando la gravità delle condotte, la particolare ferocia delle stesse commesse anche nei confronti dei figli minorenni e di terze persone, la violazione delle misure cautelari, i numerosi precedenti penali e (fra i quali un reato ex art. 387-bis cod. pen.) costanti nel tempo e per reati commessi anche dopo i fatti per i quali si procede.
2.6. Nella parte in cui deduce violazione di legge e vizio della motivazione nel rigettare la richiesta di non applicare la sospensione della responsabilità genitoriale, stante l’incertezza circa la sussistenza dell’aggravante ex art. 572, comma secondo, cod. pen. il sesto motivo è infondato.
In relazione all’applicazione della sanzione accessoria della sospensione della responsabilità genitoriale, prevista dall’art. 34 cod. pen., integra abuso di tale responsabilità, in caso di condanna per il delitto di maltrattamenti in famiglia, la condotta vessatoria, rivolta nei confronti dell’altro genitore, che coinvolga anche solo indirettamente i figli minorenni, costringendoli a delle vessazioni con ripercussioni sulla loro crescita e evoluzione psicologica (Sez. 5, n. 34504 del 12/10/2020, Rv. 280122).
Nel caso in esame II Tribunale ha applicato la sospensione dall’esercizio della potestà genitoriale valutando il grave abuso commesso facendo assistere figli minorenni alle violenze nei confronti della loro madre e la Corte di appello ha argomentato che la sussistenza dell’aggravante ex art. 572, comma secondo, cod. pen. giustifica il rigetto della richiesta di revoca della sospensione della responsabilità genitoriale.
Al riguardo deve incidentalmente rilevarsi che effettivamente, come indicato nel ricorso, la Corte di appello dopo avere ridotto la pena, non ha ridotto espressamente il periodo di sospensione della responsabilità genitoriale (specificamente quantificato nel dispositivo della sentenza di primo grado) ma ha ridotto la pena principale e ha confermato la sentenza di primo grado nel resto, sicché a questa, che può ritenersi una omessa precisazione, dovrebbe rimediarsi riducendo la durata della sospensione della responsabilità genitoriale a 13 anni e 4 mesi.
Tuttavia assume sul punto rilievo assorbente la soluzione della questione relativa all’automatica individuazione della durata (il doppio della pena inflitta) concernente il principio di proporzionalità della sanzione e la compatibilità con l’esigenza di tutelare gli interessi dei figli minorenni di chi è condannato alla pena accessoria adottata dalla sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 55 del 22 aprile 2025 – nel giudizio di legittimità costituzionale promosso dal Tribunale ordinario di Siena – che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, secondo comma, cod. pen., nella parte in cui prevede che la condanna per il delitto ex art. 572, secondo comma, cod. pen., commesso, in presenza o a danno di minori, con abuso della responsabilità genitoriale, comporta la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale, anziché la possibilità per il giudice di disporla.
Già con sentenza n. 102 del 2020, nella analoga fattispecie della sottrazione e trattenimento di minore all’estero di cui all’art. 574-bis, terzo comma, cod. pen., la Corte costituzionale aveva statuito che la pena accessoria della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale «non consegue automaticamente alla condanna, ma postula la valutazione del giudice, che deve tenere conto, ai fini sia della irrogazione che della durata, dell’evoluzione successiva delle relazioni tra il minore e il genitore autore del reato e dei provvedimenti eventualmente adottati in sede civile, in funzione dell’esigenza di ricerca della soluzione ottimale per il minore».
Nel richiamare la sua precedente decisione la Corte ha ribadito che l’art. 34, comma secondo, cod. pen. «comporta conseguenze che ricadono sui figli dei condannati non già semplicemente de facto – come può avvenire per qualsiasi provvedimento giudiziario – ma de jure», così violando gli artt. 2,3,29 e 30 Cost., oltre che l’art. 8 della Convenzione sui diritti del fanciullo: «complesso normativo», questo, dal quale emerge il preminente interesse dei minori quale principio che dovrebbe guidare ogni decisione che li riguarda, «di talché qualsiasi provvedimento che incide sulla responsabilità genitoriale potrebbe giustificarsi solo in quanto non contrasti con l’esigenza di tutela del minore».
In altri termini – ha osservato la Corte – «l’art. 34, secondo comma, cod. pen., nella parte in cui prevede che la condanna per il delitto ex art. 572, secondo comma, cod. pen., commesso, in presenza o a danno di minori, con abuso della responsabilità genitoriale, comporta l’automatica sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale, reca, dunque, una norma strutturalmente identica a quella già dichiarata costituzionalmente illegittima dalla sentenza n. 102 del 2020. Anche l’odierna norma censurata, infatti, pone l’irragionevole presunzione assoluta che, a fronte di una condanna del genitore per il reato di maltrattamenti in famiglia, l’interesse del minore sia sempre e soltanto tutelato sospendendo il genitore dall’esercizio della responsabilità genitoriale. Al contrario, le norme costituzionali evocate a parametro (artt. 2,3 e 30 Cost.) impongono che sia il giudice penale a valutare se la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale sia, in concreto e alla luce dell’evoluzione, successiva al reato, del rapporto tra figlio e genitore, la soluzione ottimale per il minore, in quanto rispondente alla tutela dei suoi preminenti interessi».
Ha, inoltre, ritenuto che «resta affidato alla prudente considerazione del legislatore se «il giudice penale sia l’autorità giurisdizionale più idonea a compiere la valutazione di effettiva rispondenza all’interesse del minore di un provvedimento che lo riguarda» (sentenza n. 102 del 2020), o se invece tale valutazione possa essere meglio compiuta dal tribunale dei minorenni, al quale lo stesso art. 34, quinto comma, cod. pen. prevede che, «quando sia concessa la sospensione condizionale della pena, gli atti del procedimento vengano] trasmessi».
Per altro verso, la Corte costituzionale ha ritenuto inammissibili, per come prospettate, le ulteriori questioni di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma secondo, cod. pen. concernenti la determinazione della durata della misura.
Sulla base di quanto precede la sentenza impugnata va annullata in relazione all’applicazione della pena accessoria della sospensione della responsabilità genitoriale per un nuovo giudizio sul punto che dovrà tenere conto, ai fini sia della irrogazione che della durata, dell’evoluzione successiva delle relazioni tra i figli minorenni e il genitore autore del reato e dei provvedimenti eventualmente adottati in sede civile, in funzione dell’esigenza di ricercare la soluzione ottimale per i minorenni (Sez. 6, n. 29672 del 14/09/2020, Rv. 279950).
Cass. pen., VI, ud. dep. 09.09.2025, n. 30455