Previdenza e assistenza – Privacy – Datore di lavoro e limite al controllo della posta elettronica personale del dipendente

Previdenza e assistenza – Privacy – Datore di lavoro e limite al controllo della posta elettronica personale del dipendente

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo del ricorso principale la società denuncia la violazione e falsa applicazione ex art. 360 co. 1 n. 3 cpc, degli artt. 615 ter e 616c.p., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 cod. civ., per avere l’impugnata sentenza erroneamente applicato i principi sulla cd. corrispondenza “aperta” anche in conseguenza del travisamento dei fatti accertati dalla consulenza tecnica di ufficio prodotta da essa H2H Srl e non contestata dai resistenti. Si deduce che la corrispondenza prodotta era stata tutta rinvenuta sui sistemi informatici aziendali di sua proprietà, quali personal computer e server e, quindi, consultabile senza alcuna chiave di accesso in quanto la società era titolare di menzionati sistemi informatici e aziendali; si precisa che la dipendente Gi.Co. aveva creato, sin dal marzo 2013, una alberatura di cartelle dedicata a Loyalteam Srl, poi cancellata, e tale fatto era stato ignorato dalla Corte territoriale; che la GIP del Tribunale di Milano, nell’archiviare il procedimento per violazione degli artt. 616 ter e 616 c.p. nei confronti dei vertici della società, aveva escluso sia una violazione della corrispondenza in senso proprio, sia un accesso abusivo ad una sistema informatico e che i lavoratori non avevano mai contestato la circostanza di avere consentito di ricevere la posta personale sul medesimo applicativo di posta elettronica utilizzato sul p.c. aziendale.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione ex art. 360 co. 1 n. 3 e n. 5 cpc, degli artt. 2730, 2731, 2732 e 2733 cod. civ. nonché degli artt. 115 e 116 cpc, per avere la impugnata sentenza erroneamente ignorato il valore confessorio delle dichiarazioni rese dai lavoratori in sede di interrogatorio formale e riguardanti il contenuto delle comunicazioni circa un loro coinvolgimento con la Loyalteam Srl

4. Con il terzo motivo si obietta la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 co. 1 n. 3 cpc, dell’art. 4 della legge n. 300/1970 per avere l’impugnata sentenza configurato la rilevanza del controllo dell’attività lavorativa in relazione alla utilizzabilità delle prove documentali presentate in giudizio nonché la carenza di motivazione e la manifesta erroneità della gravata pronuncia. Si sostiene che il controllo delle comunicazioni era avvenuto dopo la cessazione dei rapporti di lavoro e solo a fronte di fatti che ragionevolmente facevano ritenere il perpetrarsi di condotte illecite realizzate dagli ex dipendenti in costanza di rapporto di lavoro, di talché l’attività della società era da considerarsi lecita.

5. Con il quarto motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 co. 1 n. 3 cpc, degli artt. 11 e 24D.Lgs. n. 196/2003 (Codice Privacy), per aver l’impugnata sentenza ritenuto, in modo apodittico e senza offrire alcuna specifica motivazione, il configurarsi della condotta illecita in questione in relazione alla utilizzabilità delle prove documentali presentate in giudizio, quando, invece, dalla stessa perizia emergeva che nessun accesso abusivo era stato realizzato e nessuna violazione dei sistemi di autenticazione degli account personali degli ex dipendenti era stato violato dalla società.

6. Con il quinto motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione, ex art. 360 co. 1 n. 3 cpc, degli artt. 2104, 2105, 2598, 2600, 2043 e 2055 cod. civ. nonché degli artt. 2056, 1223, 1226 e 1227 cod. civ. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere l’impugnata sentenza erroneamente e contra ius escluso la violazione dei doveri dei lavoratori, quali ex dipendenti della H2H Srl e per avere escluso la sussistenza di un rapporto di derivazione causale tra le denunciate condotte ed il danno subito da essa società: in particolare, si specifica che la Corte territoriale non aveva valutato altre risultanze processuali rappresentate dalle seguenti circostanze: a) il Ca.Ni. aveva costituito Loyalteam Srl mentre era dipendente (oltre che socio e amministratore) di H2H Srl; b) la costituzione di Loyalteam Srl era avvenuta attraverso una intestazione fiduciaria; c) tale società svolgeva la medesima attività e le stesse operazioni di H2H Srl; d) nelle lettere di dimissioni erano state fornite dai dipendenti motivazioni a fondamento delle stesse gravemente inveritiere; e) l’operazione Bijuox Selectis era stata occultata ad H2H Srl, nel settembre 2013, per consentire a Loyalteam Srl di sviare l’operazione; f) altri elementi da cui desumere lo sviamento di altre operazioni, g) la sussistenza di danni che avevano azzerato tout court la redditizia attività svolta da H2H Srl nel settore dei Loyalty Programs.

7. Con il primo motivo del ricorso incidentale condizionato Ca.Ni. eccepisce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 co. 1 n. 5 cpc, non essendosi la Corte territoriale pronunciata in merito alla eccezione preliminare, già formulata in primo grado, di improcedibilità/inammissibilità delle domande svolte da H2H Srl per rinuncia dei relativi diritti da parte della società nella transazione del 2.12.2013.

8. Con il secondo motivo del ricorso incidentale condizionato si critica la impugnata sentenza per motivi attinenti alla giurisdizione, per violazione delle norme sulla competenza e per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 co. 1 n. 1, 2 e 3 cpc, per non avere rilevato la Corte distrettuale, tra il presente giudizio e gli ulteriori giudizi promossi da H2H Srl nei confronti di esso ricorrente avanti al Tribunale delle Imprese di Milano, la connessione ex art. 40 cpc relativa al cumulo soggettivo di cui all’art. 33 cpc nonché la continenza di cause ex art. 39 cpc e per non avere disposto la riunione dei procedimenti.

9. Il primo, il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale, da scrutinare congiuntamente per la loro connessione logico-giuridica, non sono fondati.

10. I dati di fatto da cui partire sono quelli evidenziati nella gravata sentenza (pag. 18, cpv. 1, 2 e 3), ove è stato specificato che la posta acquisita dal datore di lavoro proveniva da account personali, sebbene inseriti sul server aziendale, per accedere ai quali occorreva una p.w. e che le indagini compiute dalla società erano state espletate nel maggio 2014, quando tutti i dipendenti coinvolti avevano già rassegnato le proprie dimissioni (ricorso per cassazione, pag. 7 punto 2.4).

11. La Corte territoriale, pertanto, in tale contesto fattuale, ha correttamente applicato i principi di cui alla sentenza della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo (cfr. Grande Camera, sentenza 5 settembre 2017, ricorso n. 61496/08, Barbalescu) ove, partendo dai concetti di “vita privata” (punto 71. “La Corte ritiene che la nozione di “vita privata” possa comprendere le attività professionali (si vedano Fernández Martínez c. Spagna (GC), n. 56030/07, par. 110, CEDU 2014 (estratti), e Oleksandr Volkov c. Ucraina, n. 21722/11, parr. 165-66CEDU 2013), o le attività che hanno luogo in un contesto pubblico (si veda Von Hannover c. Germania (n. 2) (GC), nn. 40660/08 e 60641/08, par. 95, CEDU 2012). Le limitazioni alla vita professionale di una persona possono rientrare nell’articolo 8 se hanno ripercussioni sulle modalità con cui la stessa costruisce la sua identità sociale mediante lo sviluppo di rapporti con gli altri. A tale riguardo deve essere rilevato che per la maggior parte delle persone la vita lavorativa rappresenta una significativa, se non la più importante, possibilità di sviluppare rapporti con il mondo esterno (si veda Niemietz, sopra citata, par. 29)” e di “corrispondenza” (punto 72. “Inoltre, in ordine alla nozione di “corrispondenza”, deve essere osservato che nella formulazione dell’articolo 8 tale termine non è qualificato da un aggettivo, a differenza del termine “vita”. E in realtà la Corte ha già ritenuto che, nell’ambito della corrispondenza svolta mediante telefonate, non debba essere effettuata alcuna qualificazione di tale tipo. In diverse cause concernenti la corrispondenza con un avvocato non ha neanche previsto la possibilità dell’inapplicabilità dell’articolo 8 in ragione del carattere professionale della corrispondenza (si veda Niemietz, sopra citata, par. 32, con ulteriori riferimenti). Ha inoltre ritenuto che le conversazioni telefoniche siano comprese nella nozione di “vita privata” e di “corrispondenza” di cui all’articolo 8 (si veda Roman Zakharov c. Russia (GC), n. 47143/06, par. 173, CEDU 2015). In linea di massima, ciò vale anche per le telefonate effettuate o ricevute nei locali dell’impresa (si veda Halford, sopra citata, par. 44, e Amann c. Svizzera (GC), n. 27798/95, par. 44, CEDU 2000 II). Si applica lo stesso principio alle e-mail inviate dal luogo di lavoro, che godono di analoga tutela ai sensi dell’articolo 8, così come le informazioni tratte dal controllo dell’utilizzo di internet da parte di una persona (si veda Copland, sopra citata, par. 41 in fine)”, è stato affermato che le comunicazioni trasmesse dai locali dell’impresa nonché dal domicilio di una persona possono essere comprese nella nozione di “vita privata” e di “corrispondenza” di cui all’articolo 8 della Convenzione (si vedano Halford, sopra citata, par. 44; e Copland, sopra citata, par. 41).

12. In modo esatto i giudici di seconde cure hanno tenuto conto anche dei criteri fissati dalla pronuncia suddetta in tema di rispetto dei principi della finalità legittima (il controllo nelle sue varie forme deve essere giustificato da gravi motivi), della proporzionalità (il datore di lavoro deve scegliere, nei limiti del possibile, tra le varie forme e modalità di adeguato controllo – ad es. sul flusso di comunicazioni o sul loro contenuto; con predeterminazione dei tempi di durata; etc. -, quelle meno intrusive) e della preventiva dettagliata informazione ai dipendenti sulle possibilità, forme e modalità del controllo, in modo tale che, in ossequio alla necessità di contemperare le esigenze datoriali di controllo con quelle di tutela della privacy del dipendente, non è stata ritenuta consentita un’attività di controllo massivo, mentre sono state considerate indispensabili le opportune informative in merito alla possibile attività di controllo, con esclusione, in tale ottica, di controlli preventivi proprio perché si esulerebbe dal piano “difensivo”.

13. Su tali questioni, le valutazioni della Corte di appello, in tema di ritenuta illegittimità dei controlli, costituiscono accertamenti di fatto, conformi ai principi di diritto sopra evidenziati e adeguatamente motivati e, pertanto, insindacabili in sede di legittimità.

14. Avendo riguardo al tempo di commissione dei fatti (2013) e alla circostanza che i controlli sono stati effettuati allorquando i dipendenti non erano più in servizio presso la società, poi, le statuizioni della Corte territoriale, anche in relazione ad una eventuale asserita equiparazione degli account dei lavoratori a quelli aziendali, sono in linea con i precedenti di questa Corte che, in tema di tutela della riservatezza nello svolgimento del rapporto di lavoro, ha precisato che sono illegittime la conservazione e la categorizzazione dei dati personali dei dipendenti, relativi alla navigazione in Internet, all’utilizzo della posta elettronica ed alle utenze telefoniche da essi chiamate, acquisiti dal datore di lavoro – benché affidatario di compiti di rilievo pubblicistico – attraverso impianti e sistemi di controllo la cui installazione sia avvenuta senza il positivo esperimento delle procedure di cui all’art. 4, comma 2, della L. n. 300 del 1970 (nel testo anteriore alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 151 del 2015 vigente ratione temporis), applicabili anche ai controlli diretti ad accertare comportamenti illeciti dei lavoratori quando comportino la possibilità di verifica a distanza dell’attività di questi ultimi, ed in assenza dell’acquisizione del consenso individuale e del rilascio delle informative previste dal D.Lgs. n. 196 del 2003. Il trattamento di quei dati si traduce, infatti, nella violazione dell’art. 8 della menzionata legge, che vieta lo svolgimento di indagini sulle opinioni e sulla vita personale del lavoratore, anche se le informazioni raccolte non siano in concreto utilizzate (Cass. n. 18302/2016).

15. La Corte distrettuale ha, invero, specificato che, oltre ad avere i dipendenti precisato che non avevano impostato alcuna opzione per ricevere le mail personali sul medesimo applicativo di posta elettronica utilizzato sul pc aziendale e di non avere concesso alcuna autorizzazione, la società non aveva dimostrato di avere impartito specifiche disposizioni finalizzate a regolamentare le modalità di controllo e/o di duplicazione della corrispondenza dei lavoratori.

16. Quanto, infine, alla valutazione operata dal GIP del Tribunale di Milano, che ha disposto l’archiviazione, con provvedimento del 20.10.2020, sulla condotta di H2A, deve osservarsi che, a prescindere dalla irrilevanza delle interferenze svolte relativamente agli stessi fatti in ambito di processo civile e penale essendo venuta meno la cd. pregiudizialità penale, in sede di legittimità questa Corte ha, invece, precisato che, nel caso di accesso abusivo ad una casella di posta elettronica protetta da “password”, è configurabile il delitto di accesso abusivo ad un sistema informatico che concorre con quello di violazione di corrispondenza, in relazione all’acquisizione del contenuto delle “mail” custodite nell’archivio, e con il delitto di danneggiamento di dati informatici, nel caso in cui all’abusiva modificazione delle credenziali d’accesso consegua l’inutilizzabilità della casella di posta da parte del titolare (Cass. pen. n. 18284/2019).

17. Il secondo ed il quinto motivo, anche essi da esaminare congiuntamente perché connessi, presentano profili di inammissibilità e di infondatezza.

18. È un principio ormai consolidato, quindi, quello secondo cui il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. n. 19547/2017Cass. n. 29404/2017).

19. In tema di ricorso per cassazione, inoltre, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione: ipotesi, queste, non ravvisabili nel caso in esame (Cass. n. 20867/2020Cass. n. 29867/2020Cass. n. 27000/2016Cass. n. 13960/2014).

20. In diritto, deve invece rilevarsi che è infondata la asserita violazione dell’art 2697 cod. civ. che si ha, tecnicamente, solo nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, cpc (Cass. n. 17313/2020) non sussistente nel caso de quo.

21. Anche in relazione a tale profilo va ribadito che la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 16467/2017).

22. La Corte territoriale, nella decisione impugnata, ha argomentato, esaustivamente e congruamente, sul fatto che dalla istruttoria espletata (interrogatorio dei resistenti e la escussione di alcuni testi citati dai lavoratori) non erano emersi elementi univoci ed idonei a dimostrare con solo e non tanto i dedotti inadempimenti in violazione dei doveri di cui agli artt. 2104 e 2105 cod. civ., quanto il rapporto di derivazione causale tra le denunciate condotte dei dipendenti ed il pregiudizio che la società aveva dedotto di avere subito, non vertendosi in una ipotesi di danno in re ipsa.

23. Si verte in un accertamento di merito, riguardante in particolare il piano successivo della sussistenza delle asserite conseguenze dannose e non quello della commissione delle condotte, adeguatamente motivato, che non può essere, quindi, sindacato da questa Corte.

24. Da ultimo, va precisato che il travisamento del contenuto oggettivo della prova ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non quando si verta in una ipotesi, come nell’analisi effettuata dalla Corte territoriale nel caso di specie, di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio (Cass. Sez. Un. n. 5792/24).

25. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso principale deve essere rigettato, mentre la trattazione di quello incidentale, proposto in via condizionata all’accoglimento di quello ex adverso presentato, va dichiarata assorbita.

26. Al rigetto segue la condanna della ricorrente principale al pagamento, in favore di ciascun controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.

27. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo, limitatamente alla ricorrente principale.

Cass. civ., lav., sent., 29.08.2025, n. 24204

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