con il primo motivo le Amministrazioni ricorrenti denunciano “Carenza assoluta di motivazione o motivazione apparente, motivazione perplessa, violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.”;
con il secondo motivo le Amministrazioni ricorrenti denunciano “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.”.
L’Avvocatura dello Stato, che ope legis difende le Amministrazioni ricorrenti, dopo aver “Premesso che è pacifico che lo Stato italiano possa essere chiamato a rispondere per la lesione delle libertà fondamentali riconosciute all’individuo cagionate da provvedimenti giurisdizionali”, perviene a richiedere a questa Suprema Corte di porre il seguente principio di diritto: “il presupposto per potersi configurare un obbligo risarcitorio è che siano stati previamente esperiti tutti i rimedi che l’ordinamento appresta avverso il provvedimento giurisdizionale che si assume foriero di danni”.
Si sostiene infatti – riproponendo difese già svolte nel giudizio di appello, che, a dire dei ricorrenti, non sarebbero state esaminate dalla corte territoriale – che “i danni causati dalla protrazione dell’indebito restringimento in un Centro di trattenimento non possono essere comunque ascrivibili alla responsabilità delle Amministrazioni convenute in giudizio, essendo connessi a violazioni procedimentali intrinsecamente attinenti al giudizio di convalida della richiesta di proroga e, a loro volta, unicamente imputabili all’attività giurisdizionale propriamente detta” e che, pertanto, “Essendosi (…) in presenza di attività giurisdizionale, l’illegittimità del provvedimento del Giudice, che si assume foriero di danni, avrebbe dovuto essere in primo luogo contestata nella competente sede giurisdizionale, con il rimedio del ricorso per cassazione a tal fine previsto; essendo tale sede – e solo tale sede – quella di verifica della legittimità dei provvedimenti stessi, nella parte in cui il Giudice di Pace ha ritenuto che ai relativi procedimenti non fosse applicabile la garanzia del contradditorio” (così p. 11 del ricorso).
Si afferma inoltre che “diversamente opinando, la parte soccombente in un qualsiasi giudizio ordinario di primo grado, in luogo di proporre appello (o, come nel caso di specie, ricorso per cassazione ex art. 111 Cost.), potrebbe adire un altro giudice chiedendogli di accertare l’illegittimità della sentenza a lui sfavorevole e condannare il suo contraddittore a suo tempo vittorioso (v. p. 13 del ricorso).
Si richiamano, infine, numerosi arresti di questa Suprema Corte (vengono evocati Cass., 9596/12, seguita dalle successive nr. 22788/12, nr. 2789/12, nr. 22790/12, nr. 22791/12 e nr. 22792/12), dai quali si evincerebbe che “la giurisprudenza di legittimità richiede, quale presupposto per potersi configurare un obbligo risarcitorio nei confronti dell’Amministrazione, che sia intervenuta una pronuncia giurisdizionale di annullamento del provvedimento di trattenimento (nel caso di specie della sua proroga). Provvedimento che nel caso di specie è mancato, perché non è stato neanche richiesto” (v. p. 14 del ricorso).
A fronte dei suindicati motivi e delle critiche che li compongono, l’odierno resistente chiede il rigetto del ricorso, per la contrapposta considerazione secondo cui occorre riconoscere “rilievo preminente alla tutela della libertà personale dello straniero ingiustamente trattenuto, pena l’elusione del contenuto della pronuncia dei giudici di Strasburgo” e “tanto prescinde dall’attribuzione della responsabilità per l’indebito trattenimento in capo alla pubblica amministrazione o all’autorità giudiziaria o a entrambe” (v. p. 5 memoria illustrativa).
Considerato altresì che:
la fattispecie in esame risulta disciplinata dal d.lgs. 286/98 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dal d. l. 4 aprile 2002, n. 51 (Disposizioni urgenti recanti misure di contrasto all’immigrazione clandestina e garanzie per soggetti colpiti da provvedimenti di accompagnamento alla frontiera), convertito, con modificazioni, nella legge 7 giugno 2002, n. 106;
ai sensi dell’art. 5 del citato decreto legislativo: “Nei confronti dello straniero che si è trattenuto nel territorio dello Stato quando il permesso di soggiorno è scaduto di validità da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo, l’espulsione contiene l’intimazione a lasciare il territorio dello Stato entro il termine di quindici giorni. Il questore dispone l’accompagnamento immediato alla frontiera dello straniero, qualora il prefetto rilevi il concreto pericolo che quest’ultimo si sottragga all’esecuzione del provvedimento”;
il successivo art. 13 dispone: “1. Per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, il Ministro dell’interno può disporre l’espulsione dello straniero anche non residente nel territorio dello Stato, dandone preventiva notizia al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro degli affari esteri. 2. L’espulsione è disposta dal prefetto quando lo straniero: a) è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera (…); b) si è trattenuto nel territorio dello Stato senza aver richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato, ovvero è scaduto da più’ di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo (…)”;
sempre l’art.13 inoltre prevede: “Avverso il decreto di espulsione può essere presentato unicamente il ricorso al giudice di pace del luogo in cui ha sede l’autorità che ha disposto l’espulsione. Il termine è di sessanta giorni dalla data del provvedimento di espulsione. Il ricorso di cui al presente comma può essere sottoscritto anche personalmente, ed è presentato anche per il tramite della Rappresentanza diplomatica o consolare italiana nel Paese di destinazione. (…) Il giudice provvede alla convalida, con decreto motivato, entro le quarantotto ore successive, (…) sentito l’interessato, se comparso. Lo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione non può rientrare nel territorio dello Stato senza una speciale autorizzazione del Ministro dell’interno. In caso di trasgressione lo straniero è punito con la reclusione da uno a quattro anni ed è nuovamente espulso con accompagnamento immediato alla frontiera”;
infine, l’art.14 stabilisce: “1. Quando non è possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera o il respingimento, a causa di situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l’effettuazione dell’allontanamento, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di identificazione ed espulsione più vicino (…) 3. Il questore del luogo in cui si trova il centro trasmette copia degli atti al giudice di pace territorialmente competente, per la convalida, senza ritardo e comunque entro le quarantotto ore dall’adozione del provvedimento. 4. L’udienza per la convalida si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria di un difensore tempestivamente avvertito. L’interessato è anch’esso tempestivamente informato e condotto nel luogo in cui il giudice tiene l’udienza. Il giudice provvede alla convalida, con decreto motivato, entro le quarantotto ore successive, sentito l’interessato se comparso. Il provvedimento cessa di avere ogni effetto qualora non sia osservato il termine per la decisione. 5. La convalida comporta la permanenza nel centro per un periodo di complessivi trenta giorni. Qualora l’accertamento dell’identità e della nazionalità ovvero l’acquisizione di documenti per il viaggio presenti gravi difficoltà, il giudice, su richiesta del questore, può prorogare il termine di ulteriori trenta giorni. 6. Contro i decreti di convalida e di proroga di cui al comma 5 è proponibile ricorso per cassazione. Il relativo ricorso non sospende l’esecuzione della misura”.
Nel diritto unionale, la tematica dei rimpatri è disciplinata dalla direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare;
la direttiva “stabilisce norme e procedure comuni da applicarsi negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, nel rispetto dei diritti fondamentali in quanto principi generali del diritto comunitario e del diritto internazionale, compresi gli obblighi in materia di protezione dei rifugiati e di diritti dell’uomo” (così l’art. 1 della direttiva medesima), agli artt. 12-14 prevede delle “Garanzie procedurali” ed al successivo art. 15 disciplina il “Trattenimento”, rispetto al quale, se disposto dalle autorità amministrativa, il comma secondo prevede il pronto riesame da parte dell’autorità giudiziaria nonché la facoltà di proporre ricorso.
Anche l’art. 5 comma 1 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, indica ai punti da a) a f) una esaustiva elencazione dei motivi per i quali una persona può essere privata della sua libertà; tale misura non è regolare se non riconducibile a uno di tali motivi. Il comma quarto prevede che “Ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione ha il diritto di presentare un ricorso a un tribunale, affinché decida entro breve termine sulla legittimità della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegittima”, mentre il comma quinto stabilisce che “Ogni persona vittima di arresto o di detenzione in violazione di una delle disposizioni del presente articolo ha diritto a una riparazione”;
in particolare, al comma f), la norma permette agli Stati di limitare la libertà degli stranieri nell’ambito del controllo dell’immigrazione; tuttavia espressamente stabilisce che la privazione della libertà mediante arresto o detenzione deve essere “regolare”, ed in materia di “regolarità” di una detenzione, la Convenzione rinvia in sostanza alla legislazione nazionale, sancendo l’obbligo di osservarne le norme di merito e di procedura, mediante una stretta interpretazione, al fine di assicurare lo scopo del citato art. 5, che è quello di assicurare che nessun individuo venga arbitrariamente privato della sua libertà (v. le sentenze della Corte Edu, 1° luglio 1997, Giulia Manzoni c. Italia, § 25; 24 settembre 1992, Herczegfalvy c. Austria, § 63 e 12 giugno 2014, L.M. c. Slovenia, § 121, richiamate dalla sentenza 6 ottobre 2016, Richmond Yaw e altri c. Italia, su cui si ritornerà nel proseguo della motivazione).
Rispetto alla scarna disciplina contenuta nel d.lgs. 286/1998, è intervenuta dapprima la Consulta, anzitutto affermando con la sentenza n. 105/2001 che: “Il trattenimento costituisce la modalità organizzativa prescelta dal legislatore per rendere possibile, nei casi tassativamente previsti dall’art. 14, comma 1, che lo straniero, destinatario di un provvedimento di espulsione, sia accompagnato alla frontiera ed allontanato dal territorio nazionale. Il decreto di espulsione con accompagnamento, che, giova ribadire, ai sensi dell’art. 13, comma 3, deve essere motivato, rappresenta quindi il presupposto indefettibile della misura restrittiva, e in quanto tale non può restare estraneo al controllo dell’autorità giudiziaria. Per eliminare ogni eventuale residuo dubbio basta considerare che l’accompagnamento inerisce alla materia regolata dall’art. 13 della Costituzione, in quanto presenta quel carattere di immediata coercizione che qualifica, per costante giurisprudenza costituzionale, le restrizioni della libertà personale e che vale a differenziarle dalle misure incidenti solo sulla libertà di circolazione”;
con la successiva sentenza n. 222/2004, la Corte Costituzionale, chiamata ad esprimersi sulla legittimità costituzionale dell’art. 13 co. 5-bis del d.lgs. 286/98, ha ritenuto la questione ammissibile e rilevante (nei seguenti espressi termini: «la consistenza (rilevanza) della questione è appunto questa: che sia imposto al giudice di procedere ad una convalida meramente ‘cartolare’, in base alla sola comunicazione ha inviata dal questore e in assenza dello straniero espulso»), ed è pervenuta a dichiarare l’incostituzionalità della norma nella parte in cui non prevede che il giudizio di convalida debba svolgersi in contraddittorio dello straniero prima dell’esecuzione del provvedimento di accompagnamento alla frontiera, con le garanzie della difesa; all’uopo proprio richiamando le argomentazioni della precedente sentenza Corte Cost., n. 105 del 2001, secondo cui, dato che l’accompagnamento alla frontiera dello straniero ha come presupposto logico il suo trattenimento, deve, al pari di questo, essere una misura assistita dalle garanzie previste dall’art. 13 Cost.
Per altro verso, poi, questa Suprema Corte è pervenuta a precisare:
-) che il cittadino straniero ha interesse ad ottenere l’annullamento del provvedimento di convalida della proroga del trattenimento disposta dal giudice di pace, seguìto a provvedimento di respingimento e contestuale trattenimento la cui convalida sia stata cassata dalla Corte di Cassazione, sia per il diritto al risarcimento derivante dall’illegittima privazione della libertà personale, sia al fine di eliminare ogni impedimento illegittimo al riconoscimento della sussistenza delle condizioni di rientro e soggiorno nel territorio italiano (Cass., n. 17407/2014; Cass., n. 18322/2020);
-) che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario a conoscere della domanda di risarcimento del danno da “detenzione illegale” del cittadino extracomunitario, che assuma essere stato trattenuto in condizioni di privazione di libertà personale all’esito di una richiesta di proroga del trattenimento accolta dal giudice competente, con decisione annullata irrevocabilmente in sede di gravame, in quanto in tal caso l’Amministrazione compie un’attività materiale di privazione della libertà della persona non espressiva di alcun momento autoritativo dell’agire nell’attuazione dei compiti istituzionali (v. Cass., Sez. Un., n. 22788/2012);
-) che il trattenimento dello straniero costituisce una misura di privazione della libertà personale legittimamente realizzabile soltanto in presenza delle condizioni giustificative previste dalla legge e secondo una modulazione dei tempi rigidamente predeterminata. Ne consegue che, in virtù del rango costituzionale e della natura inviolabile del diritto inciso, la cui conformazione e concreta limitazione è garantita dalla riserva assoluta di legge prevista dall’art. 13 Cost., l’autorità amministrativa è priva di qualsiasi potere discrezionale e negli stessi limiti opera anche il controllo giurisdizionale, non potendo essere autorizzate proroghe non rigidamente ancorate a limiti temporali e a condizioni legislativamente imposte, con l’ulteriore corollario che la motivazione del provvedimento giudiziale di convalida della proroga del trattenimento deve contenere l’accertamento della sussistenza dei motivi addotti a sostegno della richiesta, nonché la loro congruenza rispetto alla finalità di rendere possibile il rimpatrio (v. Cass., n. 18227/2022; Cass., n. 6064/2019; Cass., n. 18748/2015);
-) che il controllo giurisdizionale deve avvenire attraverso una motivazione che non sia di facciata, ma renda realmente percepibili le ragioni per cui la restrizione è stata applicata (Cass., n. 504/2023; Cass., n. 35649/2023), a pena di nullità del provvedimento di convalida (v. Cass., n. 18227/2022);
-) che al procedimento giurisdizionale di decisione sulla richiesta di proroga del trattenimento presso un Centro di Permanenza Temporanea dello straniero, già sottoposto a tale misura per il primo segmento temporale previsto dalla legge, devono essere applicate le stesse garanzie del contraddittorio, consistenti nella partecipazione necessaria del difensore e nell’audizione dell’interessato, che sono previste esplicitamente, ai sensi dell’art. 14, comma 4, del d. lgs. n. 286 del 1998, nel procedimento di convalida della prima frazione temporale del trattenimento, essendo tale applicazione estensiva imposta da un’interpretazione costituzionalmente orientata del successivo comma quinto, relativo all’istituto della proroga, tenuto conto che un’opposta lettura delle norme sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. (così Cass., n. 4544/2010, e successive conformi, tra cui v. Cass., n. 12709/2016).
Quanto alla giurisprudenza unionale, la Corte di giustizia, Grande Sezione, con la sentenza 8 novembre 2022, resa nelle cause C-704/20 e C-39/21, ha affermato, in sintesi, che il trattenimento – istituto di diritto amministrativo correlato alla commissione di un illecito da parte del migrante (ingresso o permanenza nel territorio dello Stato) e finalizzato al suo controllo fisico – per questa sua natura e secondo i considerando 15, 16 e 20 della direttiva 33/2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, costituisce una misura eccezionale, residuale e non generalizzabile, applicabile in una situazione individuale da cui emerga la necessità dell’adozione di un simile rimedio e la proporzionalità dello stesso rispetto ai fini perseguiti (sulla necessità che il trattenimento dello straniero non debba violare il principio di proporzionalità, v. già in precedenza la sentenza Chahal c. Regno Unito, del 25 ottobre 1996).
Sulla specifica questione delle garanzie che devono essere necessariamente assistere il trattenimento, quale forma di privazione della libertà personale, che, come detto, trova nel nostro ordinamento interno una invero scarna cornice normativa, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è anzitutto pronunciata con la sentenza 8 febbraio 2011, nella causa Seferovic c. Italia, che ha affermato che il trattenimento illegittimo (nel caso di specie per manifesta violazione dell’art. 19 d.lgs. n. 286 del 1998, che vieta l’espulsione della donna nei sei mesi successivi al parto) determina il diritto ad un’equa riparazione.
Più di recente, con la sentenza del 6 ottobre 2016 (Richmond Yaw e altri contro Italia, ricorsi 3342/11, 3391/11, 3408/11 e 3447/11), la Corte Edu ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno proprio nel caso della concessione della proroga del termine di trattenimento dello straniero presso il C.I.E. senza che gli fosse stata assicurata la garanzia del contraddittorio, dato che nel caso di specie nulla gli era stato comunicato, né era stata fissata udienza, né era stato sentito.
La Corte ha dunque condannato l’Italia per la violazione dell’art. 5 Cedu, sul duplice rilievo, da un lato, della necessità di fissazione di un’udienza camerale per la convalida della proroga del trattenimento dello straniero irregolare e, dall’altro, della insufficienza dei rimedi forniti dall’ordinamento italiano per la riparazione del danno subìto.
In motivazione, la Corte, richiamandosi al disposto ed alla ratio del citato art. 5, ha avuto modo di affermare:
-) che, nel caso di specie, il riconoscimento da parte della Corte di Cassazione della irregolarità della proroga della detenzione contestata non costituiva una riparazione sufficiente, in quanto non aveva permesso ai ricorrenti di ottenere un risarcimento appropriato; per cui i ricorrenti potevano ancora affermare di essere vittime di una violazione dell’art. 5, comma primo, lettera f), della Convenzione;
-) che spetta al Governo che eccepisce il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne dimostrare che un ricorso effettivo fosse disponibile, sia in teoria che in pratica, all’epoca dei fatti, ossia che fosse accessibile, che potesse offrire ai ricorrenti la riparazione per le violazioni lamentate e che presentasse prospettive ragionevoli di successo;
-) che, in ogni caso, “quando è in discussione la legalità della detenzione», un’azione di risarcimento intentata contro lo Stato non costituisce un ricorso da esercitare, dato che «il diritto di far esaminare da un tribunale la legalità della detenzione e quello di ottenere riparazione per una privazione della libertà contraria all’articolo 5 costituiscono due diritti distinti (Delijorgji c. Albania, n. 6858/11, § 61, 28 aprile 2015, Ulisei Grosu c. Romania, n. 60113/12, § 39, 22 marzo 2016, e Włoch c. Polonia, n. 27758/95, § 90, CEDU 2000-XI)”;
-) che, secondo la giurisprudenza della Corte Edu, espressa nelle sentenze Zeciri c. Italia del 4 agosto 2005 e Seferovic c. Italia dell’8 febbraio 2011, e la sentenza della Corte di Giustizia Ue, 31 giugno 2006, in causa C-173/03, Traghetti del Mediterraneo s.p.a. c. Italia, né il ricorso previsto dall’articolo 314 del cod. proc. pen., né l’azione di responsabilità civile dei magistrati costituivano dei rimedi effettivi.
Pertanto, la Corte Edu è pervenuta ad affermare: “La Corte rileva che la giurisprudenza interna era già chiara nel 2002 circa la necessità di rispettare il principio del contraddittorio, anche in caso di proroga di una misura di detenzione, e ritiene che l’omessa convocazione degli interessati e del loro avvocato e l’omessa fissazione di una udienza costituiscano una «irregolarità grave e manifesta», ai sensi della sua giurisprudenza (si veda, a contrario, Hokic e Hrustic c. Italia, n. 3449/05, §§ 23-24, 1° dicembre 2009), e che tale situazione abbia comportato la nullità di questa parte della detenzione. In queste circostanze, la Corte conclude che la proroga della detenzione dei ricorrenti dal 17 dicembre 2008 al 14 gennaio 2009 ai fini della loro espulsione non fosse conforme alle vie legali e che pertanto vi è stata violazione dell’articolo 5 § 1 f) della Convenzione”, e di conseguenza è addivenuta ad applicare al caso di specie l’art. 41 della Convenzione, che prevede che «Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa”.
Ritenuto che:
nel caso di specie, le Pubbliche Amministrazioni ricorrenti non mettono in discussione il principio per cui “è pacifico che lo Stato italiano possa essere chiamato a rispondere per la lesione delle libertà fondamentali riconosciute all’individuo cagionate da provvedimenti giurisdizionali”; ma, per altro verso, pongono in evidenza che l’odierno resistente, in allora attore, ha adito la giurisdizione per chiedere il risarcimento del danno non patrimoniale, solo dopo che erano integralmente spirati i termini delle due concesse proroghe del trattenimento e, dunque, senza aver prima impugnato i due provvedimenti emessi de plano, in assenza della previa audizione, nella presente sede di legittimità;
in relazione alla questione di diritto complessivamente ed espressamente posta dai motivi di ricorso – e cioè se “il presupposto per potersi configurare un obbligo risarcitorio è che siano stati previamente esperiti tutti i rimedi che l’ordinamento appresta avverso il provvedimento giurisdizionale che si assume foriero di danni” – non constano precedenti specifici nella giurisprudenza unionale (la citata sentenza Yaw, pur riferibile al caso di specie, tuttavia ha ad oggetto un’ipotesi in cui la tutela risarcitoria era stata chiesta dopo che il provvedimento di convalida della proroga del trattenimento era stato impugnato ed era stato annullato da questa Suprema Corte), né risultano specifici precedenti di legittimità, inoltre la stessa presenta un chiaro e rilevante valore nomofilattico ed è suscettibile di porsi in numerosi giudizi;
pertanto, appare che essa possa costituire questione di massima di particolare importanza.
Per tutte le ragioni sopra esposte, si ritiene opportuna la trasmissione del ricorso alla Prima Presidente, affinché valuti l’assegnazione del ricorso stesso alle Sezioni Unite.
Cass. civ., III, ord. interlocutoria, 05.09.2025, n. 24588