Procedimento – Atto amministrativo – Concessione dei benefici a seguito di dichiarazione falsa, incidenza ai fini della decadenza ex art. 75 D.P.R. n. 445 del 2000

Procedimento – Atto amministrativo – Concessione dei benefici a seguito di dichiarazione falsa, incidenza ai fini della decadenza ex art. 75 D.P.R. n. 445 del 2000

Come risulta dalla superiore esposizione, l’esclusione del ricorrente dal concorso è stata decretata per l’omessa dichiarazione, da parte sua (sia in sede di domanda di partecipazione che in occasione della successiva verifica del possesso dei requisiti, a prove concluse), della pendenza di un procedimento penale a suo carico.

Il provvedimento impugnato, pertanto, è stato motivato, non dalla pendenza penale in sé, ma in applicazione dell’art. 75 del D.P.R. n. 445 del 2000 (attestazione non veritiera sul possesso di un requisito di partecipazione).

Il ricorso deve ritenersi fondato per le ragioni che seguono.

Ritiene infatti il Collegio che, benché siano condivisibili nella specie le deduzioni con cui parte resistente afferma l’irrilevanza, ai fini dell’applicazione del regime decadenziale di cui all’art. 75 D.P.R. n. 445 del 2000 – il quale al comma 1 prevede che “1. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 76, qualora dal controllo di cui all’articolo 71 emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera” – dell’elemento soggettivo del reato di falso (cfr. Cons. Stato, VI, 31 dicembre 2019, n. 8920; V, 25 maggio 2023, n. 5136; III, 28 dicembre 2022, n. 11413; 19 dicembre 2022, n. 11063), difetta tuttavia nella specie l’integrazione di tutti i necessari presupposti per l’applicazione della disposizione al caso in esame.

Come chiarito dalla giurisprudenza, infatti, “il D.P.R. n. 445 del 2000, art. 75 nel prevedere, quanto alle dichiarazioni sostitutive, che la ‘non veridicità del contenuto’ comporta la decadenza del dichiarante ‘dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera’, opera ogniqualvolta, in assenza della falsa dichiarazione, l’impiego non sarebbe stato ottenuto, ossia nei casi in cui l’inclusione nella graduatoria concorsuale o selettiva sia diretta conseguenza del mendacio” (Cass., Lav., 19 ottobre 2020, n. 22673), di guisa che “la non veridicità della dichiarazione sostitutiva presentata alla P.A. comporta la decadenza dai benefici eventualmente conseguiti, ai sensi del D.P.R. n. 445 del 2000, art. 75” in caso di “assenza, successivamente accertata, dei requisiti richiesti”, “per tali evidentemente intendendosi i requisiti sostanziali che le dichiarazioni sono chiamate ad attestare” (Cass., Lav., 11 luglio 2019, n. 18699, che richiama al riguardo anche Id., 23 settembre 2016, n. 18719).

Similmente, la giurisprudenza del Consiglio di Stato, “…nel soffermarsi sul tema affine del legittimo superamento dei limiti temporali previsti per l’annullamento in autotutela del provvedimento in presenza di falsità dichiarative o documentali, ha posto in evidenza la necessità al riguardo della “valenza obiettivamente determinante di siffatta falsa rappresentazione (onde è ‘sulla base’ di essa con formula analoga a quanto previsto dall’art. 75 D.P.R. n. 445 del 2000 che il provvedimento ampliativo dovrà essere stato adottato)” (Cons. Stato, V, 27 giugno 2018, n. 3940; 16 marzo 2020, n. 1872).

Alla luce di ciò, non ogni falsità contenuta nella dichiarazione pur preliminare alla concessione di benefici vale a determinarne la decadenza ex art. 75 D.P.R. n. 445 del 2000, ma solo quella che sia risultata tale da incidere causalmente, in modo diretto ed effettivo, sull’adozione del provvedimento attributivo del beneficio (cfr. peraltro, in materia di contratti pubblici, Cons. Stato, Ad. plen., 28 agosto 2020, n. 16, che pone in risalto la necessità che le falsità e omissioni comunicative siano apprezzate, a fini escludenti, in una al fatto sostanziale non dichiarato, e dunque che le stesse assumano una rilevanza propriamente sostanziale) (v. Cons. Stato, Sez. V, 2 aprile 2024, n. 3001).

Proprio sotto il profilo sostanziale questo Collegio ritiene che l’avvenuta “abolitio criminis” del reato ascritto (fatto pacifico in quanto accertato dalla sopracitata sentenza della Corte di Appello di -OMISSIS-, divenuta ormai irrevocabile) priva il reato stesso del disvalore penale posseduto, alla luce dell’art. 2, comma 2, cod. pen. secondo cui “Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali”.

Ciò significa che la mancata dichiarazione del procedimento penale, omissione che pure vi è stata, ha riguardato un fatto-reato che non poteva più configurare, in sé, una causa d’esclusione dal concorso per effetto della legge penale sopravvenuta che ha abrogato l’abuso d’ufficio punito dall’art. 323 cod. pen..

Si può cioè ritenere che la dichiarazione dell’assenza di procedimenti penali pendenti, seppur non rispondente al vero (e solo tardivamente corretta), al momento dell’adozione del provvedimento espulsivo (datato 19.9.2024) era ormai priva del suo substrato giuridico-materiale giacché il reato ascritto non costituiva più reato e ne erano cessati gli effetti penali e, pertanto, era ormai venuto meno il disvalore penale che avrebbe potuto giustificare la sanzione decadenziale di cui all’art. 75 d.P.R. n. 445/2000.

Ciò in conformità al principio secondo cui “non ogni falsità contenuta nella dichiarazione pur preliminare alla concessione di benefici vale a determinarne la decadenza ex art. 75 D.P.R. n. 445 del 2000, ma solo quella che sia risultata tale da incidere causalmente, in modo diretto ed effettivo, sull’adozione del provvedimento attributivo del beneficio….”. (vedi la già citata sent.Cons. Stato Sez. V, 2 aprile 2024, n. 3001).

Giova rilevare che ai fini che qui interessano il dato che conta è costituito (ben prima della sentenza di assoluzione di secondo grado che si è limitata a prenderne atto) dall’avvenuta abrogazione del reato di cui all’art. 323 cod. pen. a decorrere dal 25 agosto 2024, per effetto della già menzionata Legge 9 agosto 2024, n. 114 (pubblicata in G.U. – Serie Generale n. 187 del 10/08/2024).

L’effetto di “abolitio criminis” risale cioè ad epoca anteriore al provvedimento impugnato che è del 19 settembre 2024.

Il Collegio ritiene altresì di valorizzare la circostanza che, in ogni caso, ben prima dell’adozione del provvedimento di esclusione, con la dichiarazione di rettifica il candidato vincitore aveva comunque reso edotta l’Amministrazione dell’avvenuta abrogazione dell’unica figura di reato a lui ascritta, nell’unico procedimento penale al quale egli era stato sottoposto (per fatti risalenti peraltro al lontano 2014): si tratta di un profilo giuridicamente importante che avrebbe dovuto costituire oggetto di approfondimento istruttorio e valutativo da parte dell’Amministrazione, in applicazione dell’orientamento “sostanzialista” nell’interpretazione dell’art. 75 d.P.R. n. 445/2000, su cui si sono attestate in questi anni sia la giurisprudenza della Suprema Corte che quella del Consiglio di Stato (v. “supra”).

Per quanto già sopra esposto, infatti, l’intervento abrogativo ha privato in via retroattiva il fatto commesso del suo disvalore penale e, pertanto, seppure fosse stato tempestivamente dichiarato non sembra che il fatto stesso poteva ancora costituire, dopo la sua abrogazione, causa impeditiva dell’acquisizione del “vantaggio”, da individuare nella assunzione in servizio.

Di qui l’illegittimità, ai presenti fini, del provvedimento impugnato che ha ravvisato una causa decadenziale ex art. 75 D.P.R. n. 445 del 2000 in assenza di un presupposto sostanziale (persistente antigiuridicità del fatto non dichiarato) e, in ogni caso, non ha tenuto conto nella valutazione della fattispecie di una rilevante circostanza, sopravvenuta rispetto alla graduatoria ma anteriore al provvedimento espulsivo ex art. 75 d.P.R. n. 445/2000.

Per tali ragioni il ricorso merita accoglimento ai fini dell’annullamento del provvedimento di esclusione dal concorso in epigrafe impugnato e degli atti conseguenti.

La peculiarità della fattispecie e la particolarità delle questioni trattate giustificano la compensazione delle spese del presente grado di giudizio fra le parti.

TAR LAZIO – ROMA, I – sentenza 03.09.2025 n. 16015

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