*Salute e medicina – Sito inquinato, e denegata responsabilità della società subentrata per effetto di fusione per incorporazione

*Salute e medicina – Sito inquinato, e denegata responsabilità della società subentrata per effetto di fusione per incorporazione

1. – In via preliminare, deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità del primo motivo di appello per asserita violazione dell’art. 104 c.p.a.

1.1. – Secondo il consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato, il divieto dei motivi nuovi in appello (art. 104, comma 1, c.p.a.) non può impedire all’appellante di confutare tutte le argomentazioni poste a base della sentenza impugnata, anche se non perfettamente coincidenti con i motivi di ricorso, perché le mere difese sono sempre esaminabili per la prima volta in grado di appello (Cons. Stato, sez. V, 26 giugno 2012, n. 3731; Cons. Stato, sez. V, 22 maggio 2013, n. 2781).

1.2. – Nel caso di specie, la parte appellante, con il primo motivo di appello ha sostanzialmente reiterato in chiave critica il medesimo primo motivo di ricorso di primo grado, limitandosi solamente a sviluppare ulteriormente le argomentazioni ivi contenute, anche alla luce della motivazione della sentenza impugnata.

1.3. – Per le stesse ragioni, deve ritenersi che non rientri nell’ambito applicativo del divieto nemmeno il cambio di strategia difensiva effettuato mediante il passaggio da una iniziale contestazione di un orientamento giurisprudenziale ad una successiva adesione allo stesso, come avvenuto nella specie, laddove la parte appellante ha dapprima ritenuto non condivisibile l’orientamento espresso dall’Adunanza plenaria n. 10 del 2019 in relazione alla “continuità normativa” tra illecito civile ex art. 2043 c.c. e le sopravvenute norme in materia di bonifica dei siti inquinati (“ci si permette di dissentire dalla conclusione raggiunta con riferimento al profilo determinante della dichiarata «continuità normativa»”: pag. 45 dell’appello) per poi affermare, al contrario, che la tesi prospettata con il primo motivo di appello “lungi dal confliggere con la posizione assunta dall’A.P. 10/2019 […], ne costituisce pedissequa applicazione” (pag. 3 della memoria di replica dell’8 aprile 2025).

2. – Sempre in via preliminare, deve essere precisato che l’oggetto del presente giudizio non è l’accertamento di merito relativo alla sussistenza di una responsabilità da inquinamento della società appellante, quanto piuttosto la legittimità del provvedimento adottato dalla Provincia, sotto i profili della violazione di legge ed eccesso di potere, con cui la medesima società è stata individuata come responsabile della contaminazione in questione.

3. – Ciò posto, l’appello è fondato nei limiti di seguito indicati.

La parte appellante ha impugnato il provvedimento della Provincia di Vicenza con cui quest’ultima ha individuato la Manifattura Lane Gaetano Marzotto e figli s.p.a. quale responsabile della potenziale contaminazione del sito “ex RIMAR S.p.a.”, con contestuale diffida a proseguire, qualora si interrompessero, le attività di bonifica già avviate dalla società Koris Italia s.r.l., attuale proprietaria del sito, dichiaratasi non responsabile dell’inquinamento (nota prot. n. GE2021/0050541 del 25 novembre 2021).

Con tale provvedimento, la Provincia, dopo aver ricondotto l’evento di inquinamento in via principale alla società Rimar s.p.a. (sulla base di una nota tecnica dell’ARPAV), ha ravvisato la suddetta responsabilità in capo alla società appellante Manifattura Lane Gaetano Marzotto e figli s.p.a. sulla base dell’esistenza di “una formale relazione societaria, sia pure indiretta, tra Manifattura Lane e Rimar Spa” (pag. 4 del provvedimento impugnato), in virtù della quale il soggetto materialmente responsabile dell’inquinamento (Rimar s.p.a.) sarebbe stato, da un lato, interamente (anche se indirettamente) partecipato dal “gruppo Marzotto” (l’intero pacchetto azionario di Rimar Spa era comunque detenuto da azionisti operanti all’interno del gruppo”: pag. 4 del provvedimento impugnato) e, dall’altro, avrebbe agito “nell’interesse e sotto la direzione del Gruppo Marzotto”, svolgendo un’attività “determinante” nel ciclo produttivo e nella strategia aziendale del gruppo (pag. 4 del provvedimento impugnato).

Con il presente giudizio, la società Manifattura Lane Gaetano Marzotto e figli s.p.a. ha contestato innanzitutto l’estensione della responsabilità della Rimar s.p.a. nei propri confronti, ritenendo insufficiente a tal fine una mera partecipazione azionaria, indiretta e non maggioritaria, in assenza di specifici atti di ingerenza gestionale (primo motivo di ricorso) non potendo nemmeno valere il richiamo alla nozione sostanzialistica di impresa utilizzata dal T.a.r. (primo motivo di appello).

In secondo luogo, ha contestato in via subordinata ulteriori profili, tra cui la stessa riconducibilità causale dell’evento di inquinamento alla società Rimar s.p.a., quanto meno con riguardo ad alcune delle sostanze inquinanti (tetracloroetilene e idrocarburi) riscontrate nel suolo (secondo motivo di ricorso e di appello).

4. – Il primo motivo di appello è fondato.

Invero, la sentenza impugnata è giunta a ravvisare una responsabilità per l’inquinamento in capo alla società appellante sulla base di una evidente ed inammissibile motivazione postuma del provvedimento, come peraltro eccepito anche dalla parte appellante.

4.1. – Con il provvedimento impugnato, infatti, la Provincia ha individuato la società Manifattura Lane Gaetano Marzotto e figli s.p.a. quale responsabile della potenziale contaminazione del sito ex Rimar sulla base di due assunti: a) la partecipazione totalitaria, sebbene indiretta, della Rimar s.p.a. da parte di “azionisti operanti all’interno del gruppo” nel periodo compreso tra il 1963 e il 1967 (pag. 4 del provvedimento impugnato), ossia, per una quota pari alla metà, dal conte Giannino Marzotto e, per la restante metà, dalla Finanziaria Tessile s.p.a. (dal 1963 al 1965), la cui quota sarebbe stata poi ceduta alla Attività Tessile s.p.a. (dal 1965 al 1966) e successivamente ridotta al 45% (dal 1966 al 1970), entrambe controllate dalla società Manifattura Marzotto s.p.a.; b) lo svolgimento da parte di Rimar s.p.a. di una attività di ricerca “nell’interesse e sotto la direzione del Gruppo Marzotto”, avendo un ruolo “determinante” nel ciclo produttivo e nella strategia aziendale del gruppo (pag. 4 del provvedimento impugnato).

4.1.1. – Dal punto di vista istruttorio, la decisione della Provincia di Vicenza si fonda, da un lato, su alcuni documenti risultanti dagli archivi storici della Camera di Commercio di Vicenza da cui emergerebbe la suddetta partecipazione totalitaria del “gruppo Marzotto” in Rimar s.p.a. e, dall’altro lato, su alcune fonti storiche (articoli di stampa riportanti due interviste al conte Giannino Marzotto del 2008 e del 2011 ed una dell’ing. Vittorio Sandri del 2009), oltre ad un ricorso gerarchico presentato dalla Rimar s.p.a. nel 1966, dai quali emergerebbe l’attività di direzione del “gruppo Marzotto” nei confronti della Rimar s.p.a., essendo quest’ultima una “parte integrante del Gruppo Marzotto” (pag. 3 del provvedimento impugnato).

4.2. – Nella sentenza impugnata, invece, si giunge ad affermare la responsabilità dell’appellante sulla base di una motivazione ben diversa da quella utilizzata nel provvedimento impugnato e alla luce di un’istruttoria processuale molto più articolata di quella svolta in sede procedimentale.

4.2.1. – In particolare, il primo giudice, dopo aver richiamato la nozione di impresa, come entità economica unitaria, sviluppata nel diritto della concorrenza e ritenuta applicabile anche alla materia ambientale (pag. 6-9 della sentenza), ha innanzitutto “perimetrato l’ambito temporale di riferimento” dal 23 agosto 1963 ai primi mesi del 1967 (pag. 9 e 10 della sentenza).

4.2.2. – Ciò posto, ha motivato la sussistenza della responsabilità in questione sulla base dei seguenti elementi e considerazioni (pag. 10 e 11 della sentenza impugnata): a) la costituzione della Rimar s.p.a. costituì un’iniziativa del conte Giannino Marzotto, quale amministratore delegato della Manifatture Lane, che nel 1963 decise di fondare tale società come “polo di ricerca interno alla Marzotto” ma da essa formalmente separato; b) in sede di costituzione, il capitale sociale fu sottoscritto in quote pari da Giannino Marzotto e da “La Finanziaria Tessile Spa”, società interamente partecipata dalla Marzotto s.p.a.; c) dallo statuto di Rimar s.p.a., emerge che a ciascuna azione era attribuito un voto e dunque entrambi i soci avevano un potere determinante sulle deliberazioni della società, non avendo nessuno dei due la maggioranza assoluta e dovendo, quindi, concordare sulle decisioni da assumere; d) l’attività di Rimar s.p.a. condusse allo sviluppo ed al brevetto di nuovi materiali che furono utilizzati nella produzione delle imprese del gruppo tessile; e) nel periodo in questione, il conte Giannino Marzotto cumulava il ruolo di amministratore di Manifattura Lane (di cui era vice presidente e consigliere delegato, ne divenne poi presidente nel 1968), di presidente di La Finanziaria Tessile (società interamente partecipata da Manifattura Lane, il cui amministratore unico era l’ing. Carlo Riedo, facente parte anche del consiglio di amministrazione di Rimar) e di presidente di Rimar s.p.a.; f) il consiglio di amministrazione di Rimar era, all’epoca, composto dai sig.ri Giorgio Piantini, Paolo Marzotto e Carlo Riedo, che erano contemporaneamente anche amministratori delegati di Manifattura Lane; g) nel 1965 la partecipazione del 50% del capitale sociale di La Finanziaria Tessile è stata trasferita ad altra società, Attività Tessile s.p.a., partecipata da Manifattura Lane, che l’ha successivamente ridotta al 45%, mediante cessione del 5% all’ing. Piantini, dirigente di Manifattura Lane; h) furono deliberati all’unanimità dei soci due aumenti di capitale di Rimar s.p.a. (assemblea straordinaria del 29 aprile 1969) “al fine di mettere a disposizione della società i mezzi necessari per attuare i programmi industriali in atto per la medesima”; i) la vicenda relativa al trasferimento dell’attività di Rimar s.p.a. presso lo stabilimento di proprietà di Manifattura Lane sito in località Colombara, per le modalità e i tempi in cui è avvenuto, sarebbe una testimonianza dell’unità di intenti perseguita dalla “casamadre” e dalla Rimar s.p.a.

Alla luce di tali elementi, il primo giudice ha quindi affermato che “In conclusione, la costituzione di Ri.Mar. per lo svolgimento di attività strumentali alla produzione principale del gruppo, nell’ambito di una precisa strategia industriale, l’intreccio di partecipazioni azionarie e cariche societarie tra la società “madre” e Ri.Mar. (sia pure per il tramite di società controllate da Manifattura Lane), attraverso le quali le scelte operative della società partecipata erano quantomeno coordinate con quelle della società madre e sicuramente conosciute e condivise dai vertici della capogruppo […], l’intervento della casa madre in soccorso all’attività della partecipata per consentirne la prosecuzione e lo sviluppo dell’attività, testimoniano dell’integrazione delle attività svolte dalla “società figlia” nell’ambito della strategia industriale della ricorrente, attuata mediante i comuni organi amministrativi (e, in particolare, il conte Giannino Marzotto), in un’ottica esulante la mera partecipazione finanziaria nella società” (pag. 11 e12 della sentenza).

4.2.3. – Tuttavia, se nel provvedimento impugnato si dà atto delle vicende relative alla costituzione della Rimar s.p.a. e della relativa partecipazione azionaria, nessun riferimento invece risulta esservi con riguardo a: i) composizione del consiglio di amministrazione di Rimar s.p.a. (sig.ri Giorgio Piantini, Paolo Marzotto e Carlo Riedo, con contestuale ruolo di amministratori delegati di Manifattura Lane); ii) “cumulo di cariche” in capo al conte Giannino Marzotto (amministratore della Manifattura Lane, Presidente de La Finanziaria Tessile e della Rimar); iii) due deliberazioni di aumento del capitale di Rimar s.p.a.; iv) trasferimento dell’attività di Rimar s.p.a. presso lo stabilimento di proprietà di Manifattura Lane sito in località Colombara, con indicazione delle relative tempistiche e modalità.

4.2.4. – A ben vedere, si tratta proprio di quegli elementi, non considerati dalla Provincia di Vicenza, che sono stati invece utilizzati dal primo giudice per integrare la motivazione del provvedimento impugnato, valorizzando proprio “l’intreccio di partecipazioni azionarie e cariche societarie” e la sussistenza di “comuni organi amministrativi” (con particolare riferimento al conte Marzotto) da cui poter desumere che le scelte operative dalla Rimar s.p.a. erano “quantomeno coordinate” con quelle della Manifattura Lane Marzotto s.p.a. e “sicuramente conosciute e condivise” dai vertici di quest’ultima (pag. 12 della sentenza impugnata).

5. – Ciò posto, avendo riguardo alla sola motivazione del provvedimento impugnato, la censura di insufficiente motivazione, già articolata in primo grado, deve ritenersi fondata.

Invero, l’individuazione della società appellante come soggetto responsabile dell’inquinamento si fonda, nel provvedimento impugnato, sulla mera partecipazione azionaria, indiretta e non maggioritaria, della parte appellante all’epoca dell’evento di contaminazione, nonché sull’attività di direzione del “gruppo Marzotto” nei confronti della Rimar s.p.a. negli anni tra il 1963 e il 1967, avente un ruolo determinante nella strategia aziendale.

5.1. – Tuttavia, anche a prescindere dall’applicabilità o meno della nozione sostanzialistica di impresa elaborata nel diritto della concorrenza (peraltro, non risultante dal provvedimento impugnato), i suddetti elementi devono ritenersi non sufficienti a fondare un giudizio di responsabilità secondo il criterio causale del “più probabile che non”, non essendovi alcuna motivazione sul punto nel provvedimento impugnato.

5.2. – In secondo luogo, occorre considerare, sotto il profilo oggettivo, che la vicenda in esame rientra pacificamente nella fattispecie delle c.d. contaminazioni storiche e, sotto il profilo soggettivo, che se il soggetto direttamente responsabile dell’inquinamento è individuato nella società Rimar s.p.a., le relative vicende societarie vanno logicamente esaminate non tanto con riferimento al tempo dell’evento di inquinamento, quanto piuttosto avendo riguardo al momento dell’adozione del provvedimento contenente la diffida ad eseguire le attività di bonifica.

5.2.1. – Sotto il primo profilo, infatti, l’inquinamento dell’area in questione risale pacificamente agli anni di attività della Rimar s.p.a. in quel medesimo sito e precisamente al periodo intercorrente tra la data della sua costituzione (23 agosto 1963) e la data del trasferimento dello stabilimento (primi mesi del 1967), come peraltro ritenuto anche dal primo giudice.

Inoltre, è altrettanto pacifico tra le parti che gli effetti della contaminazione sono ancora in atto, come peraltro dimostrato dalle attività di bonifica in corso attivate dalla società attualmente proprietaria del sito (Koris Italia s.r.l.).

Pertanto, in presenza di una contaminazione storica, ai fini degli obblighi di bonifica, diventa irrilevante l’epoca della verificazione della contaminazione, assumendo invece rilevanza l’attualità del pericolo di “aggravamento della situazione” (art. 242, comma 1, secondo periodo, cod. ambiente).

Sul punto, infatti, deve essere ribadito l’orientamento di questo Consiglio di Stato secondo cui l’obbligo di bonifica in capo al responsabile dell’inquinamento vale anche per le contaminazioni storiche, risalenti ad epoche anteriori all’entrata in vigore del codice dell’ambiente (d.lgs. 152/2006) o del decreto Ronchi (d.lgs. 22/1997), che per primo introdusse gli obblighi de quibus, poiché le norme in materia di bonifica non sanzionano, ora per allora, la (risalente) condotta di inquinamento, ma pongono attuale rimedio alla (perdurante) condizione di contaminazione dei luoghi, per cui l’epoca di verificazione della contaminazione è, ai fini in discorso, del tutto indifferente (Cons. Stato, Sez. IV, 8 ottobre 2018, n. 5761; Cons. Stato, sez. IV, 1° aprile 2020, n. 2195).

Inoltre, è stato precisato che, ai sensi dell’art. 303, lett. f) e g), cod. ambiente, la risalenza dell’evento generatore dell’inquinamento funge da fattore di esclusione dell’applicazione della normativa in materia di tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente (Parte VI), ma non anche con riferimento agli obblighi di bonifica dei siti inquinati (Parte IV), anche considerando che l’art. 242, commi 1 e 11, cod. ambiente, menziona espressamente i casi di contaminazioni c.d. “storiche” con riferimento alle procedure di bonifica (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 8 ottobre 2018, n. 5761; Cons. Stato, sez. IV, 1° aprile 2020, n. 2195).

5.2.2. – Sotto il secondo profilo (di tipo soggettivo), occorre considerare che se il soggetto direttamente responsabile della suddetta contaminazione storica è pacificamente individuato nella società Rimar s.p.a. (almeno con riguardo all’inquinamento da tricloroetilene), allora occorre innanzitutto verificare, in via logicamente preliminare, se i relativi obblighi di bonifica siano ancora in capo a tale società oppure se, nel frattempo, siano stati trasmessi ad altri soggetti in virtù di fenomeni di successione nel debito.

Sul punto, infatti, deve essere ribadito l’orientamento di questo Consiglio di Stato secondo cui la bonifica del sito inquinato può essere ordinata anche a carico di una società non responsabile dell’inquinamento, ma che sia ad essa subentrata per effetto di fusione per incorporazione e per condotte antecedenti a quando l’istituto della bonifica è stato introdotto nell’ordinamento giuridico, ove gli effetti dannosi dell’inquinamento permangano al momento dell’adozione del provvedimento (Cons. Stato, Ad. Plen., 22 ottobre 2019, n. 10; Cons. Stato, sez. IV, 8 febbraio 2023, n. 1397).

Stesso discorso vale anche con riguardo al subentro negli obblighi di bonifica da parte di eventuali eredi di persone fisiche, a titolo di successione mortis causa (Cons. Stato, sez. IV, 2 dicembre 2021, n. 8032).

Nel caso di specie, il provvedimento impugnato non dà conto di quelle che sono state le vicende successorie della società Rimar s.p.a., quale soggetto responsabile dell’inquinamento, fino al momento dell’adozione del provvedimento impugnato, avendo limitato l’indagine ai soli anni della contaminazione.

Si rinviene solamente un riferimento alla società “La Finanziaria Tessile s.p.a.” che, in data 7 maggio 1973, sarebbe stata “fusa per incorporazione nella Manifattura Lane Gaetano Marzotto e Figli spa” (pag. 3 del provvedimento impugnato), ma nulla emerge con riferimento alla Rimar s.p.a.

6. – In conclusione, quindi, deve essere accolto il primo motivo di appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il primo motivo di ricorso di primo grado, con conseguente assorbimento del secondo motivo, posto espressamente in subordine (cfr. Cons. Stato, Ad. plen. n. 5 del 2015).

Ne consegue, inoltre, anche l’assorbimento delle ulteriori questioni, espressamente poste in via gradata, quali il rinvio pregiudiziale e la questione di legittimità costituzionale, da ritenersi anche irrilevanti alla luce di quanto argomentato.

Pertanto, deve essere annullato il provvedimento impugnato per difetto di motivazione, fermo restando il riesercizio del potere da parte della competente amministrazione.

7. – Le spese di lite per il doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo nei confronti della Provincia di Vicenza, quale amministrazione che ha adottato l’atto impugnato, mentre vanno compensate nei confronti delle restanti parti costituite, non essendo stata proposta alcuna domanda nei loro confronti.

CONSIGLIO DI STATO, IV – sentenza 04.09.2025 n. 7203

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