Urbanistica e edilizia – Identificazione di un’opera abusiva ed irrilevanza in caso di accertamento di un centro sostanziale di interesse

Urbanistica e edilizia – Identificazione di un’opera abusiva ed irrilevanza in caso di accertamento di un centro sostanziale di interesse

4. – Preliminarmente, i ricorsi devono essere riuniti a norma dell’art. 70 c.p.a., sussistendo evidenti profili di connessione oggettiva e soggettiva.

La vicenda oggetto di contenzioso è, infatti, relativa ad un immobile sito in Ercolano in via Cupa Viola, n. 20 di comproprietà degli eredi di Francesco Sacco, su cui sono presenti vari manufatti oggetto di plurime istanze di condono tutte rigettate dal Comune di Ercolano, impugnate dai comproprietari con i distinti ricorsi, fondati tutti su analoghe (se non identiche) argomentazioni difensive che, pertanto, possono essere trattate congiuntamente.

4.1. – Il primo diniego (oggetto del ricorso R.G. 2230/2022) è riferito all’istanza di sanatoria presentata, ai sensi della legge n. 47/1985, fascicolo n. 965, da Francesco Sacco, avente ad oggetto la realizzazione di un edificio destinato ad attività commerciale (supermercato Sacco).

Il Comune, all’esito del procedimento, ha respinto l’istanza in ragione dei successivi interventi realizzati in assenza di titoli idoneativi. Ha considerato gli immobili presenti sull’area, all’epoca di presentazione delle istanze di condono di proprietà di Francesco Sacco, come parte di un unico complesso immobiliare. L’opera edificata, oggetto di istanza di condono ai sensi della l. 47/85, a detta del Comune risulterebbe totalmente snaturata, avendo perso, a seguito dei successivi interventi, sia planimetricamente che volumetricamente, la sua originaria configurazione.

4.2. – Con il ricorso R.G. 2231/2022 è stato avversato il diniego di condono (pratica 130 bis) avente ad oggetto la “realizzazione di un ampliamento del preesistente capannone costruito da strutture portanti in ferro” a destinazione “commerciale di mq. 406,74 di superficie netta”.

Il Comune, all’esito del procedimento, ha respinto l’istanza per l’eccedenza volumetrica del manufatto rispetto al massimo consentito dall’art. 39 della L. 724/94, considerata anche l’assenza di presentazione di una proposta progettuale di ripristino in conformità a quanto previsto dall’art. 38 del (vigente) RUEC invocato dai ricorrenti. Inoltre, ha considerato gli immobili presenti sull’area, all’epoca di presentazione delle istanze di condono di proprietà di Francesco Sacco, come parte di un unico complesso immobiliare ai fini della verifica della volumetria da sanare ai sensi della l. 724/94, art. 39, comma 1, indipendentemente dal soggetto richiedente. Ha ancora ritenuto ostativi gli ulteriori abusi realizzati sui manufatti oggetto di condono, escludendo qualsiasi rilevanza della qualificazione degli interventi in termini di manutenzione straordinaria o ristrutturazione edilizia.

4.3. – Nell’ambito dei restanti ricorsi (R.G. 2232/2022 e 2233/2022), le istanze di condono avversate (rispettivamente pratiche 131 bis e 133 bis) hanno ad oggetto la “realizzazione di un capannone costruito da strutture portanti in ferro destinato ad uso commerciale di mq. 715,18 di superficie” e la “realizzazione di un capannone ad uso deposito ed annesso ad attività commerciale con strutture portanti in profilati metallici, avente superficie netta di mq. 423,16”.

Il Comune, all’esito del procedimento, ha respinto le istanze per l’eccedenza volumetrica del manufatto rispetto al massimo consentito dall’art. 39 della L. 724/94. Inoltre, ha considerato gli immobili presenti sull’area all’epoca di presentazione delle istanze di condono, e di proprietà di Francesco Sacco, come parte di un unico complesso immobiliare ai fini della verifica della volumetria da condonare ex lege 724/94, art. 39, comma 1, indipendentemente dal soggetto richiedente. Ha ancora ritenuto ostativi gli ulteriori interventi realizzati sui manufatti oggetto di condono, compreso il frazionamento del complesso immobiliare in distinte unità immobiliari.

5. – In tutti gli atti dei giudizi riuniti, con identico ed unico motivo di ricorso, i ricorrenti hanno dedotto l’eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione, contraddittorietà, violazione dei principi del giusto procedimento e degli artt. 38 e 39 R.U.E.C. anche in relazione all’art 31 della legge n. 47/1985 e dell’art. 39 della legge n. 724/1994.

Ritengono che gli interventi successivi non abbiano stravolto l’originario stato dei luoghi, e che essi siano enucleabili rispetto alle preesistenze, nonché eliminabili senza la necessità di interventi strutturali. Sostengono l’autonomia degli immobili oggetto delle successive istanze di condono presentate, ai sensi della l. 724/94, da Adele Sacco. Lamentano l’omesso avvio di un procedimento da parte del Comune per la concessione di un termine per la presentazione di un’apposita istanza volta alla riduzione della volumetria in eccedenza. Negano che gli interventi non fossero completati sull’edificio adibito ad ex supermercato alla data di presentazione dell’istanza condono. Escludono, inoltre, nonostante le risultanze del catasto fabbricati del Comune di Ercolano nel 2005, di aver realizzato interventi di frazionamento, i quali, comunque, sarebbero riconducibili ad opere di manutenzione straordinaria e non di ristrutturazione edilizia.

I ricorrenti hanno depositato in tutti i fascicoli processuali una memoria in data 17 aprile 2025 per sostenere ulteriormente la tesi secondo cui sarebbe possibile procedere, ai sensi dell’art. 39 della legge n. 724 del 23.12.1994, alla demolizione della parte eccedente il volume massimo condonabile. Hanno per questo contestato all’amministrazione di aver omesso ogni valutazione circa la percorribilità di tale ipotesi. Hanno ribadito l’asserita indipendenza tra i manufatti oggetto dell’istanza di condono, presentata ai sensi della legge n. 724/94, e quelli dell’ex Supermercato Sacco, oggetto della prima istanza di sanatoria ex l. n. 47/1985, anche in considerazione delle diverse attività in essi svolte. Hanno escluso di aver eseguito lavori volti al frazionamento in quattro unità immobiliari del complesso dei manufatti presenti sull’area, pur risultando tale operazione dal catasto fabbricati.

6. – Così ricostruite la vicenda e le censure dedotte, il Collegio ritiene che i ricorsi siano infondati.

I ricorrenti, in sintesi, si dolgono della mancata considerazione, come autonomi, dei singoli interventi oggetto delle istanze di condono, nonché dell’omesso avvio del procedimento volto alla demolizione della parte eccedente il volume massimo condonabile.

Il fondamento assertivo sul quale poggia la prospettazione delle parti è rappresentato dalla contestata unitarietà del manufatto oggetto di abuso (in presenza della parcellizzazione di esso in plurime unità immobiliari): di tal guisa, non sarebbe consentita una valutazione complessiva dell’incremento volumetrico realizzato (sia in valore assoluto, sia con carattere percentualistico rispetto alla preesistente dimensione del fabbricato). Con riferimento agli abusi successivi (oggetto delle istanze di condono presentate ai sensi della L. 724/1994) sostengono poi la possibilità di eleminare l’eccedenza volumetrica non condonabile.

Deve ritenersi che i principi ampiamente consolidati per effetto della giurisprudenza che, nel tempo, si è consolidata in materia di condono edilizio, come disciplinato dalle leggi succedutesi in materia, non avallino la tesi dedotta in giudizio dai ricorrenti.

A riguardo giova richiamare la giurisprudenza, da cui non vi è motivo di discostarsi, secondo cui “l’opera edilizia abusiva deve essere identificata con riferimento all’unitarietà dell’immobile o del complesso immobiliare, qualora sia realizzato in esecuzione di un disegno unitario, essendo irrilevante la suddivisione in più unità abitative e la presentazione di istanze separate, tutte imputabili ad un unico centro sostanziale di interesse” (in termini cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 8 febbraio 2022, n. 882; Consiglio di Stato, sez. II, 16 ottobre 2020, n. 6272; Consiglio di Stato, sez. VI, 12 giugno 2014, n. 2985; Corte Costituzionale, sentenza 23 luglio 1996, n. 302).

Nel caso in esame, è stata presentata una prima istanza di condono, ai sensi della l. 47/1985, avente ad oggetto il manufatto identificato come ex supermercato.

6.1. – In proposito va osservato, innanzitutto, che secondo l’orientamento largamente prevalente e condiviso la presentazione della domanda di condono non autorizza l’interessato a completare, né tantomeno a trasformare o ampliare i manufatti oggetto della richiesta, i quali, fino al momento dell’eventuale concessione della sanatoria, restano comunque abusivi al pari degli ulteriori interventi realizzati sugli stessi (cfr. ex multis, Cons. di Stato, sent. n. 2645 del 2022).

Il motivo della immutabilità delle opere risiede, da un lato, nella esigenza di evitare che le opere abusive vengano portate a ulteriore compimento, e ciò per la ragione che il condono costituisce espressione di una eccezionale rinuncia dello Stato a perseguire gli illeciti edilizi, a determinate condizioni, per cui gli immobili su cui pende il condono non possono costituire la base per successivi ampliamenti o ristrutturazioni, e dall’altro che l’amministrazione deve poter valutare l’effettiva natura e portata dell’intervento da condonare. L’art. 35 comma 14 della legge n. 47 del 1985, che consente, dopo la presentazione della domanda di condono, il “completamento” delle opere alla condizione che l’interessato ne dia avviso all’amministrazione e produca una perizia giurata sullo stato dell’immobile, deve, quindi, considerarsi norma di stretta interpretazione.

Per costante e condivisa giurisprudenza, pertanto, in attesa della definizione del condono edilizio possono essere effettuati soltanto interventi finalizzati a garantire la conservazione del manufatto, purché gli stessi non modifichino le caratteristiche essenziali e la destinazione d’uso dell’immobile e ciò nel rispetto del procedimento ex art. 35, comma 14, della legge n.47 del 1985 (cfr. Cons. di Stato sent. n. 470 del 2020, n. 4397 del 2019, n. 5248 del 2018, n. 2738 del 2018).

Come già evidenziato, nella vicenda in esame, sono stati realizzati successivi interventi, per i quali sono state presentate distinte istanze di condono ai sensi della L. 724/1994, rigettate dal Comune, che i ricorrenti assumono essere riferite ad autonomi manufatti.

La tesi dei ricorrenti, secondo i principi sopra ricordati, si rivela destituita di fondamento.

Dalla relazione di parte depositata in tutti i giudizi si evince la descrizione dell’unico manufatto (nel titolo peraltro si indica “descrizione del manufatto” con uso del singolare anche nei capoversi successivi) di cui si rileva la realizzazione in epoche diverse: una prima parte, il cui anno di realizzazione (1976) il perito evince dalla domanda di condono presentata ai sensi della L. 47/1985, della superficie di mq 558,78; una seconda di cui, anche in questo caso, il perito si limita ad indicare l’anno di realizzazione (1984) desunto dall’istanza di condono, presentata ai sensi della l. 724/1994, di circa mq. 467,03.

Inoltre, nella relazione del tecnico si afferma espressamente che il corpo di fabbrica oggetto di istanza di condono ai sensi della l. n. 74/85 è stato “oggetto di aggiunzioni”, anche se (a detta del tecnico) lo stesso non sarebbe stato totalmente trasformato, per effetto della in ragione del “connotato modulare tipico dei manufatti industriali, nonché, del (doppio reticolo strutturale)”.

La relazione prosegue con l’esclusione del frazionamento dell’immobile relativo alle planimetrie catastali al fg. 1, p.lla 912, sub 15, sub 16 e sub 17 “come da informazioni dei proprietari”. Nessun elemento oggettivo, tuttavia, viene fornito a supporto delle asserzioni riportate.

Analogamente, privi di rilievo sono i riferimenti alle presunte distinte società che avrebbero avuto un coinvolgimento nella vicenda e nella gestione di parti del manufatto, in assenza di elementi a supporto, e si rivelano, in ogni caso, inidonee a scalfire la posizione dei soggetti contitolari, odierni ricorrenti.

A riguardo il Collegio, richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale, per cui grava sul privato l’onere di provare la data di realizzazione e la consistenza originaria dell’immobile abusivo, in quanto solo l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che possano radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto (cfr., per tutte, Cons. Stato, sez. IV, 1 aprile 2019, n. 2115; Sez. VI, 3 giugno 2019, n. 3696; id., 5 marzo 2018, n. 1391).

Ne consegue che l’onere di provare la data di realizzazione e l’originaria consistenza di un immobile di cui l’amministrazione contesti l’abusività spetta a colui che ha commesso il contestato illecito edilizio, cosicché solo la deduzione, da parte di quest’ultimo, di concreti elementi di riscontro trasferisce il suddetto onere di prova contraria in capo all’Amministrazione (cfr. C.G.A.R., 13 marzo 2023, n. 219; Cons. Stato, VI, 13 dicembre 2022, n. 10904).

In disparte la mancanza di elementi certi da cui desumere quanto asserito dai ricorrenti e la genericità del contenuto della perizia di parte sopra menzionata, in ogni caso, nel caso di specie ricorrono gli elementi valorizzati dalla giurisprudenza per considerare l’unitarietà dell’immobile.

In particolare, è possibile anzitutto identificare un unico centro di interesse nella situazione di comproprietà dei ricorrenti; altresì, sotto il profilo costruttivo, sia la edificazione in aderenza degli immobili, sia il fatto che detti manufatti siano stati realizzati all’interno della stessa area, depongono in senso univoco per la considerazione unitaria del complesso immobiliare, con conseguente correttezza delle conclusioni che il Comune ne ha tratto per quel che riguarda il rilascio della sanatoria.

6.2. – Quanto sopra comporta, peraltro, l’irrilevanza dell’avvenuta proposizione di plurime istanze di sanatoria, in quanto aventi ad oggetto unità facenti parte di un unico manufatto, dovendosi calcolare il limite massimo di volumetria in modo complessivo.

6.3. – Per completezza, va affermata anche l’infondatezza della censura riferita alla mancata concessione del termine per la presentazione dell’istanza di riduzione in pristino della volumetria in eccedenza.

Ferme le considerazioni prioritarie ed assorbenti sulla unitarietà del complesso immobiliare già da sole idonee a rendere infondata la pretesa, va rilevato peraltro che in atti risultano plurime richieste al Comune di concessione di un termine e di relativa proroga per la redazione di un progetto di riqualificazione dell’immobile, senza tuttavia che mai il progetto più volte invocato sia stato effettivamente presentato; e tanto neanche avvenuto in occasione della proposizione dei ricorsi, in cui le parti si limitano a ribadire la volontà (generica ed astratta) di procedere nel detto senso.

Tanto basta per rendere la doglianza del tutto destituita di fondamento.

7. – Per quanto sopra esposto e ricostruito i ricorsi riuniti debbono essere respinti.

8. – Le spese seguono le regole della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

TAR CAMPANIA – NAPOLI, III – sentenza 02.09.2025 n. 6037

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