Previdenza e assistenza – Indennità – Somme destinate al vitto e al trasporto dei trasfertisti, tra funzione indennitaria e natura di rimborso

Previdenza e assistenza – Indennità – Somme destinate al vitto e al trasporto dei trasfertisti, tra funzione indennitaria e natura di rimborso

La sentenza è censurata sulla base di tre motivi, così rubricati.

I) Violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. per omesso esame di un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, non avendo la Corte d’Appello di Bologna preso in considerazione ai fini della decisione che le spese relative ai costi della trasferta dei lavoratori sono state sostenute direttamente da (OMISSIS) s.r.l.

II) Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art.360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., in particolare degli artt. 51 e 49 TUIR, non avendo considerato escluse dell’imponibile contributivo le spese di trasferta sostenute dall’azienda in quanto non costituenti indennità o maggiorazioni retributive.

III) Violazione dell’art. 360, comma primo, n. 5 cod. proc. civ. per contraddittorietà e/o apparenza di motivazione o motivazione perplessa, non avendo la Corte adeguatamente motivato le ragioni per le quali ha ritenuto di assoggettare a contribuzione le spese di trasferta sostenute dal datore di lavoro.

Il quadro normativo è il seguente.

-L’art. 51 Tuir al comma 5 afferma che: “Le indennità percepite per le trasferte o le missioni fuori del territorio comunale concorrono a formare il reddito per la parte eccedente lire 90.000 al giorno, elevate a lire 150.000 per le trasferte all’estero, al netto delle spese di viaggio e di trasporto; in caso di rimborso delle spese di alloggio, ovvero di quelle di vitto, o di alloggio o vitto fornito gratuitamente il limite è ridotto di un terzo. Il limite è ridotto di due terzi in caso di rimborso sia delle spese di alloggio che di quelle di vitto. In caso di rimborso analitico delle spese per trasferte o missioni fuori del territorio comunale non concorrono a formare il reddito i rimborsi di spese documentate relative al vitto, all’alloggio, al viaggio e al trasporto, nonché i rimborsi di altre spese, anche non documentabili, eventualmente sostenute dal dipendente, sempre in occasione di dette trasferte o missioni, fino all’importo massimo giornaliero di lire 30.000, elevate a lire 50.000 per le trasferte all’estero. Le indennità o i rimborsi di spese per le trasferte nell’ambito del territorio comunale, tranne i rimborsi di spese di trasporto comprovate da documenti provenienti dal vettore, concorrono a formare il reddito”.

-Il successivo comma 6 stabilisce che “Le indennità e le maggiorazioni di retribuzione spettanti ai lavoratori tenuti per contratto all’espletamento delle attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi, anche se corrisposte con carattere di continuità, le indennità di navigazione e di volo previste dalla legge o dal contratto collettivo, …concorrono a formare il reddito nella misura del 50 per cento del loro ammontare”.

-L’art. 7 quinquies del d.l. n. 193/2016, conv. nella legge n. 225/2016, ha stabilito che il comma 6 suddetto “si interpreta nel senso che i lavoratori rientranti nella disciplina ivi stabilita sono quelli per i quali sussistono contestualmente le seguenti condizioni:

a) la mancata indicazione, nel contratto o nella lettera di assunzione, della sede di lavoro;

b) lo svolgimento di un’attività lavorativa che richiede la continua mobilità del dipendente;

c) la corresponsione al dipendente, in relazione allo svolgimento dell’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, di un’indennità o maggiorazione di retribuzione in misura fissa, attribuite senza distinguere se il dipendente si è effettivamente recato in trasferta e dove la stessa si è svolta.

2. Ai lavoratori ai quali, a seguito della mancata contestuale esistenza delle condizioni di cui al comma 1, non è applicabile la disposizione di cui al comma 6 dell’articolo 51 del testo unico di cui al citato decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 è riconosciuto il trattamento previsto per le indennità di trasferta di cui al comma 5 del medesimo articolo 51”.

A tal proposito, Cass. Sez. Un. n. 27093/2017 ha affermato che «si tratta di una norma con la quale sono stati dettati criteri univoci per distinguere, ai fini contributivi (e fiscali), la situazione dei “trasferisti abituali” da quella dei “trasferisti occasionali”, superando il precedente criterio distintivo legato alla – variabile – ricostruzione della singola fattispecie di volta in volta esaminata».

Tanto premesso, la motivazione della sentenza impugnata è la seguente.

–Non è contestato ed emerge in atti, anche sulla base della prova testimoniale assunta, che i lavoratori alle dipendenze della società sono stabilmente occupati in attività di montaggio di macchinari per conto terzi presso luoghi ubicati all’esterno del comune ove è fissata la sede della società e spesso anche all’estero.

–E’ pacifico che dal 1 gennaio 2017 ricorrono i tre requisiti di cui all’art. 7 quinquies e il datore di lavoro ha, infatti, corrisposto ai lavoratori una voce “indennità trasfertista” di importo mensile fisso (non più variabile in ragione del luogo e della durata della trasferta) e diversificato per lavoratore, inserendola nel LUL.

–Conseguentemente, il datore ha applicato a detta indennità il regime fiscale e contributivo di cui all’art. 51, comma 6. L’applicazione del regime fiscale e contributivo in questione è alternativa all’applicazione del regime fiscale e contributivo previsto dal comma 5 del medesimo articolo, relativo al diverso caso dei lavoratori in trasferta (non trasfertisti): “rispetto a questa peculiare disciplina che riconosce comunque la assoggettabilità al calcolo retributivo solo il 50% di quanto percepito per indennità di trasferta, non sono viceversa state previste ulteriori esclusioni dal calcolo del montante retributivo quali quelle previste per le trasferte disciplinate dall’art. 51, comma 5, che prevede che le indennità percepite per le trasferte o le missioni fuori dal territorio comunale concorrano a formare il reddito solo per la parte eccedente gli importi previsti. Ne consegue che le spese riferite alla trasferta ed ai rimborsi chilometrici che in via consuetudinaria costituiscono una delle due componenti della indennità di trasferta e concorrono a formare il reddito secondo quanto emergente anche dall’art. 51, comma 5, Tuir che ne opera solo a certe condizioni la non computabilità, vanno interamente comprese nella base di calcolo per i contributi da versarsi posto che per esse la peculiare disciplina inerente i trasfertisti non prevede che ne siano escluse neppure in parte”.

Tanto premesso, il ricorso è da rigettarsi.

Il primo ed il terzo motivo, da analizzarsi congiuntamente per l’intima connessione che li unisce, sono inammissibili.

Essi affrontano il medesimo profilo – concernente il fatto che le spese di trasferta non venivano rimborsate ai lavoratori poiché erano sostenute direttamente dalla società – che viene stigmatizzato prima come omesso esame e poi come vizio motivazionale.

La ricorrente afferma che la Corte non avrebbe considerato che le spese relative al vitto, alloggio e trasporto dei lavoratori erano state sostenute attraverso l’uso di carte di credito aziendali e che la riferibilità ai singoli lavoratori di tali spese era finalizzata alla rendicontazione al committente, di tal ché erano da considerarsi costi aziendali.

Con ciò si duole dell’omesso esame non di un fatto decisivo bensì di una tesi difensiva.

A prescindere dal fatto che, al contrario di quanto affermato, la Corte territoriale aveva ben nota la circostanza (sent. pag. 2, 3), comunque sul punto, giurisprudenza di legittimità uniforme afferma che – come ex multis Cass. n. 21672/2018 – «nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie» e l’omesso esame di una tesi difensiva non è riconducibile al vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c., in quanto una memoria difensiva non costituisce “fatto” decisivo per il giudizio, rientrando in tale nozione gli elementi fattuali e non gli atti difensivi (Cass. n. 5795/2017n. 22457/2017 ex multis).

Il terzo motivo predica una contraddittorietà/apparenza di motivazione sul medesimo punto, poiché sostiene che la Corte, “senza adeguata motivazione”, avrebbe considerato le spese di trasferta “componenti della relativa indennità, trascurando il fatto che le spese di vito alloggio e trasporto sono continuativamente sostenute direttamente dall’azienda”: con esso la ricorrente lamenta in definitiva una insufficienza motivazionale non più predicabile. In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83/2012, conv., con modif., dalla l. n. 134/2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. n. 7090/2022 ex multis).

Il secondo motivo va rigettato, essendo corretta la ricostruzione dei rapporti tra art. 51, comma 5, ed art. 51, comma 6, operata dalla Corte.

Come osservato da Cass. n. 21410/2019, «quanto regolato dal complesso della predetta normativa individua … una fattispecie generale, sottoposta al regime di cui all’art. 51, co. 5, con contribuzione dovuta nei limiti e secondo i parametri ivi stabiliti ed una fattispecie speciale, che sorge al ricorrere dei presupposti meglio indicati nel citato art. 7-quinquies, che delinea in sostanza una forma tipizzata, quanto alla sede di lavoro ed alla remunerazione, di lavoro subordinato».

I due commi disciplinano due situazioni lavorative diverse quanto a caratteristiche, presupposti e tipologia di indennità (nelle trasferte, la indennità è corrisposta solo in occasione delle stesse, è variabile in funzione del luogo e della durata, si computa solo oltre un certo limite giornaliero che viene ridotto nel caso in cui siano garantite anche le spese di vitto e/o alloggio; nel trasfertismo, l’indennità è fissa e pagata anche se il lavoratore non si è materialmente recato in trasferta) il che giustifica il diverso regime fiscale e contributivo.

Di recente si è pronunciata sul tema Cass. n. 9650/2025, che ha espresso principi applicabili anche al caso di specie, condivisi dal Collegio: «l’esenzione o riduzione contributiva è diversamente modulata in ragione sia delle modalità e tempi di svolgimento delle prestazioni lavorative al di fuori della sede lavorativa, sia dell’importo del trattamento indennitario riconosciuto al lavoratore; i commi quinto e sesto dell’art. 51 del D.P.R. 917/87 distinguono le modalità delle trasferte discendendone diverse conseguenze ai fini della determinazione del reddito da lavoro dipendente, di guisa che le indennità percepite per le trasferte fuori dal territorio comunale concorrono a formare il reddito per la parte eccedente Lire 90.000 al giorno (pari ad Euro 46,48), al netto delle spese di viaggio e trasporto, mentre le indennità spettanti per contratto in ordine all’espletamento dell’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, anche se corrisposte con carattere di continuità, concorrono a formare il reddito nella misura pari al 50 per cento del loro ammontare. Le due disposizioni normative, contenute nel testo unico delle imposte sui redditi, consentono di distinguere due modalità di prestazione lavorativa e due entità esentative di tassazione: al quinto comma le trasferte cd. tradizionali, caratterizzate dalla occasionalità della prestazione svolta fuori dal territorio comunale della sede dell’attività lavorativa, al sesto comma le attività espletate in luoghi sempre variabili; le prime esentate, le seconde tassate al 50 per cento. Da esse derivano differenti conseguenze sul piano contributivo datoriale.

5.1 – È stata poi introdotta, attraverso l’art. 7-quinquies del D.L. n. 193/2016, la norma di interpretazione autentica dell’art. 51 co. 6 TUIR con la quale è stato ritenuto che i lavoratori rientranti nella disciplina prevista dal comma 6 sono quelli per i quali sussistono contestualmente le condizioni di mancata indicazione, nel contratto o nella lettera di assunzione, della sede di lavoro, di svolgimento di un’attività lavorativa che richiede continua mobilità, di corresponsione al dipendente, in relazione allo svolgimento dell’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, di un’indennità o maggiorazione di retribuzione “in misura fissa”, attribuite senza distinguere se il dipendente si sia effettivamente recato in trasferta e dove la stessa sia svolta; al secondo comma è stato precisato che, in caso di mancata contestuale esistenza delle suindicate condizioni, è riconosciuto il trattamento previsto per le indennità di trasferta di cui al comma 5 del medesimo art. 51».

Il ricorso va, pertanto, rigettato, con condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimità secondo soccombenza, come liquidate in dispositivo.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Cass. civ., lav., ord., 28.08.2025, n. 24148

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