1.I fatti di causa sono i seguenti.
La ricorrente, già Giudice di pace presso la sede di Imola per il periodo dal 2002 a 2016, ha agito dinanzi al Tar dell’Emilia-Romagna al fine di aver accertato il proprio diritto alla costituzione di un rapporto di pubblico impiego a tempo pieno o part-time con il Ministero della Giustizia o, in subordine, al conseguimento dello status di pubblico dipendente a tempo pieno o part-time, con conseguente condanna del Ministero al pagamento delle differenze retributive medio tempore maturate, oltre oneri previdenziali e assistenziali. In via subordinata, ha chiesto al Tar di condannare della Presidenza del Consiglio dei Ministri al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a causa dell’assenza di tutela assistenziale e previdenziale in favore dei Giudici di Pace, nonché a causa della abusiva reiterazione di rapporti a termine ex articolo 36, comma 5 TU Pubblico Impiego. Si sono costituiti nel detto giudizio il Ministero della Giustizia, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il CSM, sollevando eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale adìto per essere competente funzionalmente il TAR del Lazio ex articolo 135 comma 1° del codice di rito. Le amministrazioni hanno poi contestato nel merito la domanda proposta, evidenziando la sussistenza di differenze essenziali che impediscono la equiparazione piena dei giudici di pace ai giudici togati. Il TAR dell’Emilia, con ordinanze n. 363 e 650 del 2020 ha sollevato dinanzi alla CGUE ex articolo 267 TFUE talune questioni pregiudiziali.
A seguito del rinvio pregiudiziale, sono intervenuti ad adiuvandum gli ulteriori soggetti nominati in atti, anche in rappresentanza delle associazioni rappresentative dei giudici pace. Con sentenze non definitive nn. 434/2020 e 644/2020, il TAR emiliano ha dichiarato l’ammissibilità di tutti gli atti di intervento e ha affermato la propria competenza territoriale. Con atto del 29 dicembre 2020 notificato alle controparti, l’Avvocatura Distrettuale di Bologna ha dichiarato di proporre riserva facoltativa di appello avverso le sentenze non definitive.
Nel frattempo è intervenuta la sentenza del 7 aprile 2022 delle CGUE, conclusiva della causa C-236/20, con cui la Corte europea ha deciso la questione pregiudiziale. Con sentenza 304/2023, pubblicata il 17 maggio 2023, il TAR dell’Emilia-Romagna ha accolto parzialmente il ricorso affermando che la natura subordinata del rapporto di lavoro del Giudice di Pace comporta l’accertamento dell’avvenuta instaurazione di un rapporto di pubblico impiego di fatto ex articolo 2126 c.c. non ostandovi la carenza del concorso pubblico quale modalità di accesso, accertando così tutti diritti conseguenziali spettanti al lavoratore e condannando l’amministrazione al versamento del dovuto, anche a titolo di risarcimento del danno.
Le amministrazioni intimate hanno proposto appello dinanzi al Consiglio di Stato, che ha emesso la sentenza n.9552/2024, pubblicata il 27 novembre 2024, con cui ha accolto il primo motivo di appello volto a censurare l’illegittima declaratoria di inammissibilità della questione afferente alla competenza territoriale funzionale inderogabile del TAR del Lazio, sede di Roma, in una all’affermazione della competenza a decidere la controversia del TAR emiliano.
Riassunto il giudizio dinanzi all’intestato Tar con atto del 30 dicembre 2024, l’odierna ricorrente ha reiterato tutte le richieste formulate nel giudizio precedente innanzi al giudice incompetente. Instauratasi il contraddittorio anche nel presente giudizio, la causa è stata chiamata e trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 2 aprile 2025.
2. Tanto sinteticamente premesso in fatto, il Collegio rileva l’infondatezza delle domande proposte nel merito, con assorbimento di ogni altra eccezione e/o questione.
Si deve dare continuità a quanto già opinato dalla Sezione in plurimi precedenti, laddove è stata già negata la assimilazione totale del giudice onorario al giudice professionale. Invero il giudice di pace, pur potendo essere qualificato come lavoratore a tempo determinato, quanto alle condizioni di impiego, ha solo diritto di beneficiare del trattamento spettante al magistrato professionale nel caso in cui si palesino situazioni comparabili ed esclusivamente quoad effectum con riferimento a specifici e singoli aspetti del rapporto, restando ferma l’ineliminabile ontologica differenza tra le due figure. La condizione di impiego del magistrato onorario è del tutto differente e ha un regime necessariamente diverso rispetto al magistrato di carriera.
Ostano alla equiparabile delle due categorie di magistrati: – il fatto che i giudici onorari non sono state selezionati mediante l’ineliminabile momento di concorso pubblico; – la natura non esclusiva e continuativa dell’incarico; – le modalità di svolgimento della prestazione, compatibili con la titolarità di altre attività professionali; – la limitata natura degli affari che possono essere attribuiti ai giudici onorari, di minore importanza e di minor grado di complessità; – il carattere meno rigoroso sistema di valutazione della professionalità che si risolve in un mero giudizio di idoneità.
Né il rapporto può trasformarsi in virtù del solo fatto che anche sui giudici onorari gravano doveri e responsabilità, inerenti alla delicata funzione giudiziale che essi svolgono. Tutta la giurisprudenza, europea e interna, si è orientata nei sensi sopra delineati. A livello europeo vanno ricordate le pronunce del 16 luglio 2020 nella causa C-658/18 della CGUE e la sentenza 7 aprile 2022, le quali hanno precisato come un trattamento analogo ai magistrati togati possa essere ritenuto per gli onorari solo in relazione a determinati aspetti peculiari, dovendosi escludere, in linea generale, la possibilità di una assimilazione dei due stati giuridici. Anche la giurisprudenza interna è univoca nel ritenere non comparabili le due categorie magistratuali, in ragione degli indici differenziali sopra indicati.
Possono citarsi le sentenze nn.267/2020 e 41/2021 della Corte Costituzionale, opportunamente citate dalla difesa erariale, dalle quale si evince come il giudice di pace non sia equiparabile a un pubblico dipendente né a un lavoratore parasubordinato, in quanto la categoria dei funzionari onorari presuppone un rapporto di servizio volontario con attribuzione di funzioni pubbliche ma senza la presenza di elementi caratterizzanti l’impiego pubblico (quali l’accesso alla carica mediante concorso, l’inserimento stabile nell’apparato amministrativo della pubblica amministrazione, lo svolgimento del rapporto secondo lo statuto tipico del pubblico impiego, il carattere retributivo del compenso e la durata potenzialmente indeterminata del rapporto).
La stessa Cassazione si è espressa in questo senso (v. sentenza n.1397/2022 e 10080/2023). Alla luce di un articolato iter logico il giudice di legittimità ha escluso che il rapporto di servizio dei vice procuratori onorari possa inquadrarsi nell’ambito del lavoro subordinato, ha negato la possibilità di costituire per via giudiziale un rapporto di pubblico impiego a tempo indeterminato, altresì apprezzando la nozione di “lavoratore” come delineata dalla corte europea e giungendo a negare una equiparazione totale delle due figure (solo semmai ammettendosi il godimento, da parte dei giudici onorari, di talune puntuali e limitate prerogative dei magistrati professionali).
La stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato si è espressa nei sensi sopra detti, affermando che la posizione giuridico-economica dei magistrati professionali non si presta ad un’estensione automatica nei confronti di magistrati onorari tramite evocazione del principio di eguaglianza, in quanto, tra le altre cose, gli uni esercitano le funzioni giurisdizionali in via esclusiva e gli altri solo in via concorrente. Il giudice di appello ha ribadito gli indizi e gli elementi normativi distintivi dello status delle due figure, individuati: – nella differenza nell’assunzione, nel carattere non esclusivo e non continuato dell’attività svolta dai giudici onorari, nel peculiare regime delle incompatibilità, nella durata temporanea del rapporto, nelle limitazioni alle quali è sottoposta l’attività svolta dai giudici onorari, nel regime della remunerazione dell’attività mediante indennità. In sostanza, alla luce di un ragionamento giuridico del tutto corretto, il Consiglio di Stato ha statuito che il giudice di pace, potendosi qualificare per singoli aspetti come lavoratore a tempo determinato, non acquista la qualifica di pubblico dipendente automaticamente e non è comparabile con il magistrato professionale, posto che il primo ha in essere solo un rapporto di servizio con l’amministrazione.
La domanda, proposta in via principale in ricorso, è dunque destituita di fondamento e deve essere respinta.
3. Altrettanto deve dirsi della domanda di risarcimento del danno proposta, che la parte istante vorrebbe fondare su di una divisata abusiva reiterazione di rapporti a termine.
Deve ribadirsi l’infondatezza degli assunti volti ad accertare l’esistenza di un rapporto di lavoro alle dipendenze del Ministero e di un trattamento uguale a quello spettante ai magistrati professionali. Il che già neutralizza in radice la presenza di un danno ingiusto. Si aggiunga che il lamentato danno potrebbe derivare solo dalla prestazione di attività in violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte della PA ovvero come perdita di chances di occupazione alternativa migliore. Evenienze che nel caso di specie non è dato rinvenire.
Le varie proroghe degli incarichi dei magistrati onorari, in quanto incondizionate, hanno salvaguardato la possibilità per gli stessi di continuare a svolgere contemporaneamente altre attività professionali.
Lo stesso Consiglio di Stato ha indicato inoltre nella necessità di assicurare continuità all’amministrazione della giustizia nelle more dell’adozione di una riforma organica della magistratura onoraria, le possibili ragioni oggettive idonee a giustificare le reiterate proroghe dell’incarico, in un contesto nel quale peraltro il rapporto del giudice onorario non può qualificarsi rapporto di impiego ma solo rapporto di servizio. Le proroghe hanno addirittura prodotto effetti favorevoli nei confronti dei destinatari, che hanno giovato della continuazione della propria attività.
Si aggiunga, per altro, che la stessa giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che, in caso di abusiva reiterazione di contratti a termine, la sanzione specifica è solo la stabilizzazione, cosa che è avvenuta per mezzo della recente riforma organica della magistratura onoraria, senza che vi sia spazio per una tutela per equivalente, la quale si atteggia solo quale surrogato legale della tutela in forma specifica.
4. Alla luce di quanto sopra esposto, tutte le domande svolte nel ricorso introduttivo del giudizio vanno respinte perché infondate nel merito, con assorbimento di ogni altra eccezione e/o questione. Sussistono, tuttavia, i presupposti di legge per compensare interamente le spese di lite tra le parti in causa.
TAR LAZIO – ROMA, I – sentenza 26.08.2025 n. 15797