*Famiglia – Filiazione – Rapporto carnale coniugale con sopraffazione del marito sulla moglie e configurazione del reato di violenza sessuale

*Famiglia – Filiazione – Rapporto carnale coniugale con sopraffazione del marito sulla moglie e configurazione del reato di violenza sessuale

Il ricorso è inammissibile.

1. Premette il Collegio che non è consentito il motivo con cui si deduca la violazione dell’art. 192 c.p.p., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), stesso codice, per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’alt. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (Sez. U, Sentenza n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027).

Difatti la deduzione del vizio di violazione di legge, in relazione all’asserito malgoverno delle regole di valutazione della prova contenute nell’alt. 192 c.p.p. ovvero della regola di giudizio di cui all’art. 533 dello stesso codice, non è permessa non essendo l’inosservanza delle suddette disposizioni prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, come richiesto dall’art. 606 lett. c) c.p.p. ai fini della deducibilità della violazione di legge processuale (ex multis Sez. 3, n. 44901 del 17 ottobre 2012, F., Rv. 253567; Sez. 3, n. 24574 del 12/03/2015, Zonfrilli e altri, Rv. 264174; Sez. 1, n. 42207/17 del 20 ottobre 2016, Pecorelli e altro, Rv. 271294; Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191; Sez. U, Sentenza n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027).

Né vale in senso contrario la qualificazione del vizio dedotto operata dal ricorrente come error in iudicando in iure ai sensi della lett. b) dell’art. 606 c.p.p., posto che tale disposizione, per consolidato insegnamento di questa Corte, riguarda solo l’errata applicazione della legge sostanziale, pena, altrimenti, l’aggiramento del limite (posto dalla citata lett. c) dello stesso articolo) della denunciabilità della violazione di norme processuali solo nel caso in cui ciò determini una invalidità (ex multis Sez. 3, n. 8962 del 3 luglio 1997, Ruggeri, Rv. 208446; Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016, P.M. in proc. Altoè e altri, Rv. 268404).

2. Sempre in via preliminare osserva poi il Collegio che, come da orientamento costante di questa Corte, il Giudice di merito può trarre il proprio convincimento circa la responsabilità penale anche dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa, sempre che sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità, senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all’art. 192, commi 3 e 4, cod.proc.pen., che richiedono la presenza di riscontri esterni (cfr. Sez. U. n. 41461 del 19/07/2012, Rv 253214; Sez 2. N. n. 43278 del 24/09/2015 Ud. (dep. 27/10/2015) Rv. 265104 – 01., Sez. 1 n. 29372 del 27/07/2010, Rv 24801).

Si è anche precisato come tale controllo, considerato l’interesse di cui la persona offesa è naturalmente portatrice ed al fine di escludere che ciò possa comportare una qualsiasi interferenza sulla genuinità della deposizione testimoniale, debba essere condotto con la necessaria cautela, attraverso un esame particolarmente rigoroso e penetrante, che tenga conto anche degli altri elementi eventualmente emergenti dagli atti (Sez. 3, 26 settembre 2006, Gentile).

Anche più di recente si è ribadito che le dichiarazioni della persona offesa, costituita parte civile, possono essere poste, anche da sole, a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella richiesta per la valutazione delle dichiarazioni di altri testimoni, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto e, qualora risulti opportuna l’acquisizione di riscontri estrinseci, questi possono consistere in qualsiasi elemento idoneo a escludere l’intento calunniatorio del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, né assistere ogni segmento della narrazione, posto che la loro funzione è sostanzialmente quella di asseverare esclusivamente ed in via generale la sua credibilità soggettiva (cfr. Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, Rv 275312 -01).

Ed è acquisizione pacifica che la valutazione circa l’attendibilità della persona offesa involge un’indagine positiva sulla credibilità soggettiva del dichiarante e sulla attendibilità intrinseca del racconto, che si connota quale giudizio di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene al modo di essere della persona escussa; tale giudizio può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria (cfr. Sez. 2, n. 7667 del 297701/2015, Rv 262575; Sez 3, n. 8382 del 22/01/2008, Rv 239342; Sez 3, n. 41282 del 05/10/2006, Rv 235578), , salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni, (cfr. ex plurimis Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, Rv. 278609 – 01; Sez. 6, n. 27322 del 2008, De Ritis, cit.; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, Finazzo, Rv. 239342; Sez. 6, n. 443 del 04/11/2004, dep. 2005, Zannberlan, Rv. 230899; Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, dep. 2004, Pacca, Rv. 227493; Sez. 3, n. 22848 del 27/03/2003, Assenza, Rv. 225232 Cass SSUU n. 41461 del 2012 Rv. 253214).

3. Ciò premesso nel caso di specie il percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale non presenta contraddizioni manifeste, al contrario, il controllo dell’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa è stato effettuato dalla Corte con argomentazioni in fatto coerenti e prive di vizi logico-giuridici.

Sotto quest’ultimo aspetto si evidenzia che la sentenza segue quella del Tribunale (cd. doppia conforme) che afferma con motivazione ragionevole e completa l’attendibilità della vittima. La decisione di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima, sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (cfr., di recente, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218).

4. Il ricorrente, non confrontandosi criticamente con le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata in ordine ai motivi di appello -replicati quali motivi di ricorso per cassazione- avverso la pronuncia di condanna per il delitto di violenza sessuale (e perciò già candidandosi alla inammissibilità, cfr. Sez.6, n.20377 del 11/03/2009, Rv.243838; Sez.6, n.22445 del 08/05/2009, Rv.244181), si dilunga in considerazioni in fatto, dirette a sollecitare un inammissibile riesame delle risultanze istruttorie, così in relazione al primo, come al secondo ed al terzo motivo.

4.1. Quanto alla ritenuta attendibilità della persona offesa, si osserva che, dalla Corte territoriale ritenuta in forza di precisione e coerenza intrinseche del narrato, il ricorso vorrebbe nuovamente metterla in discussione mercè la riproposizione delle medesime censure basate su asserite contraddittorietà, sulla mancata valutazione adeguata dello stato di tossico-filia -almeno- del L.S., e dello stato di prostrazione psicologica della donna, dalla Corte di appello negate, le prime, in quanto frutto di una valutazione parcellizzata delle emergenze probatorie, e, comunque, superate dalle dichiarazioni esplicative e chiarificatrici rese in dibattimento; ritenute non integranti esimenti o cause giustificative delle vessazioni imposte, né motivi di attenuazione della gravità dei fatti, la seconda; non tale da inficiare la tenuta della rievocazione e verbalizzazione dell’accaduto, la terza, peraltro essa stessa evento consequenziale ai comportamenti aggressivi dell’imputato.

Le considerazioni svolte, in generale, al superiore § 4, rendono ragione della inammissibilità delle censure di che trattasi.

4.2. Analoga la sorte del motivo di doglianza relativo al preteso intento calunniatorio della parte civile, mossa alla denuncia da spirito vendicativo. L’argomentazione svolta al proposito dalla Corte territoriale, circa la limitazione della denuncia al solo episodio dedotto («connessa al fatto di avere subito una violenza oltre misura, attraverso pratiche sessuali per lei inaccettabili»), ben distinguendo la donna tra lo stesso e gli altri in cui, pur nolente, li aveva «tollerati per evitare ritorsioni», è aderente alla piattaforma probatoria ed immune da cedimenti logici, oltre che sorretta da corretta interpretazione del dato normativo nella sua consolidata interpretazione di questa Corte.

4.3. Né può concordarsi con la difesa che adduce una violazione della regola di giudizio (ex art. 192 cod.proc.pen.), col precipitato della violazione anche dell’altra che postula la condanna solo in caso di responsabilità acclarata oltre ogni ragionevole dubbio, partendo dal presupposto, errato, che quella disponibile, ossia la testimonianza della parte civile, sia una ‘prova indiziaria’, in quanto tale da sottoporre ad uno statuto valutativo ancor più incisivo di quello, con puntualità e rigore, rispettato dai giudici di merito che, comunque, pur in assenza di un dovere di individuarne riscontri estrinseci, si son fatto carico di saggiarne la tenuta al cospetto di solo apparenti aporie rispetto a fonti denunciate come distoniche, ma, in concreto, prive di tale qualità (le testimonianze dei figli e dei medici).

4.4. Alla genericità estrinseca dei motivi per le ragioni fin qui svolte si aggiunge, per il terzo motivo di ricorso, anche quella di genericità intrinseca, posto che con difetto di aderenza alla stessa contestazione (condotta del 1 gennaio 2020), la difesa oppone una pretesa necessità di valutare la condotta nell’ambito di un contesto di abitualità dei rapporti sessuali tra le parti e della convinzione in capo al soggetto agente della mancata opposizione della parte offese alle pratiche impostele.

4.4.1. Vale, innanzi tutto, sottolineare come la lettura delle emergenze probatorie proposta dalla difesa alluda ad una possibile, anzi solo ipotetica, loro interpretazione in senso speculare a quella fatta propria dai giudici di merito, laddove nella sentenza, alla pagina 6, espressamente si legge del manifesto dissenso al rapporto sessuale manifestato dalla parte offesa mediante le urla e il pianto.

4.4.2. Intende, comunque, il Collegio rammentare che in tema di violenza sessuale, il mancato dissenso ai rapporti sessuali con il proprio coniuge, in costanza di convivenza, non ha valore scriminante quando sia provato che la parte offesa abbia subito tali rapporti per le violenze e le minacce ripetutamente poste in essere nei suoi confronti (il processo è ricco di emergenze in tal senso mai messe in dubbio dalla difesa), con conseguente compressione della sua capacità di reazione per timore di conseguenze ancor più pregiudizievoli, dovendo, in tal caso, essere ritenuta sussistente la piena consapevolezza dell’autore delle violenze del rifiuto, seppur implicito, ai congiungimenti carnali (Sez. 3 -, Sentenza n. 17676 del 14/12/2018 Ud. (dep. 29/04/2019) Rv. 275947 – 01).

La natura vessatoria delle condotte poste in essere dall’imputato nei confronti della moglie non viene scalfita dalle censure difensive, che, come anticipato, si sviluppano sul ben diverso, e perciò inammissibile, profilo dell’apprezzamento delle prove facendo ricorso ad argomentazioni che, seppur logiche, esulano integralmente dalla motivazione della sentenza impugnata.

Con riferimento alla mancanza di dissenso da parte della vittima occorre rilevare che, come più volte ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte, integra il reato di cui all’art. 609-bis cod. pen. nella forma cd. “per costrizione” disciplinata dal primo comma qualsiasi forma di costringimento psico-fisico idoneo ad incidere sull’altrui libertà di autodeterminazione, ivi compresa l’intimidazione psicologica che sia in grado di provocare la coazione della vittima a subire gli atti sessuali, a nulla rilevando l’esistenza di un rapporto coniugale o paraconiugale, atteso che non esiste all’interno di detto rapporto un diritto all’amplesso, né conseguentemente il potere di imporre od esigere una prestazione sessuale senza il consenso del partner (Sez. 3, n. 14789 del 04/02/2004 – dep. 26/03/2004, Riggio, Rv. 228448). Il concetto di intimidazione psicologica rimanda necessariamente al peculiare contesto spazio temporale nel quale si svolge l’azione, assumendo rilievo le contingenze specifiche che oltre a comprimere la capacità di reazione del soggetto passivo, ne limitino in concreto l’espressione di volontà: non vale ai fini del perfezionamento del delitto neppure l’espressione manifesta del consenso della vittima allorquando la sua volontà venga coartata dal timore delle conseguenze ben più pregiudizievoli che ai suoi occhi scaturirebbero dal rifiuto esplicito all’atto sessuale impostole, quale forma di violenza indiretta, dall’agente.

A fronte del quadro delineato, con stringente e lineare motivazione, dalla sentenza impugnata in ordine al contesto in cui si è consumato il reato, in un clima caratterizzato da costante sopraffazione da parte del marito sulla moglie, del tutto inconsistenti risultano le doglianze della difesa dirette a rimarcare l’implicito consenso al rapporto sessuale desumibile dalla accondiscendenza finale della donna. Al riguardo è sufficiente ribadire, in conformità a quanto già affermato da questa Corte, che ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale, non ha, invero, valore scriminante il fatto che la donna non si opponga palesemente ai rapporti sessuali e li subisca “quando è provato che l’autore, per le violenze e minacce precedenti poste ripetutamente in essere nei confronti della vittima, aveva la consapevolezza del rifiuto implicito della stessa agli atti sessuali (cfr. Cass. sez. 3 n. 16292 del 7.3.2006; Sez. 3, n. 29725 del 23/05/2013 – dep. 11/07/2013, M, Rv. 256823; Sez. 3, n. 39865 del 17/02/2015 – dep. 05/10/2015, S., Rv. 264788).

5. Anche il quinto motivo di ricorso, relativo al mancato riconoscimento del fatto di minore gravità previsto dall’articolo 609-bis, ultimo comma, cod. pen., è inammissibile.

5.1. La Corte, in proposito, ritiene con giurisprudenza costante (v. Sez. 3, n. 23913 del 14/05/2014, Rv. 259196 – 01) che ai fini della configurabilità della circostanza per i casi di minore gravità, prevista dall’art. 609-bis, comma terzo, cod. pen., deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, le sue caratteristiche psicologiche in relazione all’età, così da potere ritenere che la libertà sessuale della persona offesa sia stata compressa in maniera non grave, e che il danno arrecato alla stessa anche in termini psichici sia stato significativamente contenuto.

Nel ribadire l’anzidetto principio, la successiva Sez. 3, n. 50336 del 10/10/2019, ha ritenuto non ravvisabile l’attenuante in un caso in cui la violenza sessuale era stata posta in essere ai danni di un minore dormiente, non accortosi della condotta, attesi la reiterazione degli atti, il potenziale danno psichico e l’elevato pericolo per il suo sviluppo psico-fisico derivante anche dalla semplice conoscenza di essere stato oggetto di abusi sessuali, nonché la irrilevanza del fatto che “ex post” non fossero stati provati danni psichici.

Ancora, Sez. 3, n. 24598 del 26/05/2015, non massimata, ha precisato che «ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del fatto di minore gravità nel reato di violenza sessuale, rilevano i soli elementi indicati dal comma primo dell’art. 133 cod. pen., e non anche quelli di cui al comma secondo, utilizzabili solo per la commisurazione complessiva della pena (v., tra le tante: Sez. 3, n. 45692 del 26/10/2011 – dep. 07/12/2011, B., Rv. 251611)».

Ciò, in altri termini, comporta che il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta: 1) dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione; 2) dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato; 3) dalla intensità del dolo o dal grado della colpa.

5.2. Nel caso in esame, i giudici di appello hanno tenuto conto della complessiva valutazione del fatto e, traendo argomento dalle modalità complessive di sua consumazione denotanti gravità (manifestazione del dissenso manifestato dalla parte offesa mediante le urla e il pianto) e dall’azione di immobilizzazione da parte del ricorrente (che «l’aveva mantenuta ferma dai polsi e poi l’aveva penetrata adoperando anche un deodorante spray»), aveva escluso sulla scorta delle spregevoli modalità della condotta, particolarmente violente e riprovevoli, la applicabilità dell’invocata attenuante, ciò, correttamente, in considerazione, da un lato, della violenza agita, già di per sé espressione di una compressione non lieve della libertà sessuale della vittima, non compatibile con il giudizio di minore gravità del fatto (Cass. Sez. III, n. 4960 dell’11.10.2018, rv. 275693; Cass. Sez. III n. 215458 del 29.1.2015, rv. 263749) e, dall’altro, del grado di compromissione del bene tutelato.

5.3. Lo scrutinio di tale motivazione, corretta in diritto e aderente alle risultanze di fatto, peraltro a fronte di sole generiche contestazioni difensive, si sottrae al perimetro di valutazione di questa Corte.

6. Sulla base del medesimo percorso motivazionale, in modo logico e coerente, la Corte di appello ha valutato la congruità della pena comminata.

6.1. La graduazione del trattamento sanzionatorio, in generale, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, che lo esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen..

Per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che il giudice dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: «pena congrua», «pena equa» o «congruo aumento», come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. U, n. 12778 del 27/02/2020, S., Rv. 278869-01, in motivazione; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243 – 01).

Nel giudizio di cassazione è dunque inammissibile la censura che miri ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 2, n. 39716 del 12/07/2018, Cicciù, Rv. 273819, in motivazione; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrano, Rv. 259142; Sez. 1, n. 24213 del 13/03/2013, Pacchiarotti, Rv. 255825; da ultimo v. Sez. 2, n. 1929 del 16/12/2020, dep. 2021, Cipollini, non mass.).

6.2. Le considerazioni sopra svolte a proposito della gravità intrinseca dell’addebito giustificano, logicamente ed ampiamente, la valutazione di congruità della pena base stabilita in concreto con significativo discostamento da quella minima edittale.

In assenza di mero arbitrio o ragionamento illogico la censura svolta risulta, ancora una volta, inammissibile.

7. Ne consegue la inammissibilità del ricorso con onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.

Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.

Deve, altresì, essere condannato a rifondere le spese sopportate, per il giudizio, dalla parte civile, che, essendo stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato, dovranno essere liquidate dalla competente Corte di appello.

Cass. pen., III, ud. dep. 25.08.2025, n. 29655

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