1. Con ricorso proposto innanzi al T.a.r. per la Sicilia, sezione staccata di Catania, notificato il 30 agosto 2020 e depositato il 1° settembre 2020, il sig. Francesco Privitera esponeva:
– di essere proprietario di terreni situati nel Comune di Barcellona Pozzo di Gotto, catastalmente identificati al foglio 19, particelle 715-710;
– che il p.r.g. comunale, approvato nell’anno 2007, aveva attribuito ai predetti terreni la destinazione a verde pubblico attrezzato;
– che le predette particelle erano state gravate da vincolo espropriativo, oramai decaduto per decorso del termine quinquennale di cui all’art. 9 del d.P.R. n. 327/2001;
– di aver presentato al Comune, in data 28 maggio 2020, un’istanza rivolta ad ottenere l’attribuzione di una nuova destinazione urbanistica;
– che il Comune di Barcellona Pozzo di Gotto, con nota prot. n. 21602 del 4 giugno 2020, aveva ritenuto che le particelle de quibus fossero soggette a vincolo conformativo e non espropriativo.
2. Il ricorrente quindi:
a) impugnava la nota comunale prot. n. 21602 del 4 giugno 2020, di dichiarazione della natura conformativa e non espropriativa del vincolo gravante sulle particelle 715-710 del foglio 19 del catasto comunale;
b) chiedeva l’accertamento dell’obbligo del Comune di Barcellona Pozzo di Gotto di provvedere sull’istanza del 28 maggio 2020 per l’attribuzione di una nuova destinazione urbanistica ai predetti terreni.
3. Il ricorso di primo grado era articolato in un unico motivo, con il quale era dedotta la violazione dell’art. 9 del d.P.R. n. 327/2001, degli articoli 85 e 92 delle n.t.a. del p.r.g. comunale, avendo il Comune erroneamente ritenuto che le particelle di proprietà del ricorrente – destinate a verde pubblico attrezzato – fossero soggetto a vincolo conformativo e non espropriativo, solo sul presupposto che la predetta destinazione sarebbe attuabile anche a mezzo dell’iniziativa privata ai sensi dell’art. 85 delle n.t.a. del p.r.g.; inoltre il Comune avrebbe omesso di rilevare che, ai sensi del predetto art. 85 delle n.t.a., l’intervento diretto del privato è ammesso solo previa stipula di specifica convenzione con il Comune, al fine di garantire la fruibilità pubblica dei terreni, ed oltretutto ˂l’iniziativa privata non è suscettibile di operare in regime di libero mercato, ma può operare previa convenzione con il Comune al fine di assicurare la fruibilità pubblica dell’opera˃ (pag. 4 del ricorso).
4. Nel giudizio di primo grado si costituiva il Comune di Barcellona Pozzo di Gotto, chiedendo il rigetto del ricorso.
5. Il T.a.r. per la Sicilia, sezione staccata di Catania, con la gravata sentenza n. 988 del 2023, ha accolto il ricorso, compensando le spese di lite, in quanto ˂anche a prescindere da ogni rilievo in ordine alla particolare pregnanza della cosiddetta “zonizzazione” [,,,], nella fattispecie il residuo di intervento del privato non può essere attuato in un regime di libero mercato, avendo l’Amministrazione imposto l’utilizzo dello strumento concessorio o il ricorso ad apposita convenzione pubblicistica a garanza del pubblico interesse preminente˃.
6. Con ricorso in appello notificato il 13 giugno 2023 e depositato il 6 luglio 2023, il Comune di Barcellona Pozzo di Gotto ha impugnato la menzionata sentenza del T.a.r. per la Sicilia, sezione staccata di Catania, n. 988 del 2023, criticandone l’impianto motivazionale e articolando i seguenti due motivi di gravame:
i) travisamento dei fatti, difetto ed illogicità della motivazione, illogicità ed ingiustizia manifesta, eccesso di potere, violazione dell’art. 9 del d.P.R. n. 237/2001, degli articoli 85 e 91 del p.r.g. del Comune di Barcellona Pozzo di Gotto, avendo il T.a.r. erroneamente ritenuto che il vincolo imposto sui terreni del sig. Privitera avesse natura espropriativa, tenuto conto che, nel caso di specie, sarebbe ben possibile l’intervento del privato in regime di economia di mercato, in quanto il predetto articolo 85 delle n.t.a. ˂consente lo sfruttamento delle zone soggette al vincolo di cui in parola attraverso l’iniziativa privata o promiscua pubblico-privato […]˃ (pag. 6 dell’appello), oltre alla ˂possibilità di esercitare la più tipica delle facoltà dominicali ovvero quello edificatoria per la realizzazione di “costruzioni” afferenti, a titolo esemplificativo, gli impianti sportivi ed ogni altra opera connessa […]˃ (pag. 11 dell’appello);
ii) violazione dell’art. 91 c.p.c., avendo erroneamente il T.a.r. compensato le spese di lite.
7. Nel presente giudizio si è costituito il sig. Francesco Privitera, con atto di costituzione del 18 ottobre 2023, chiedendo il rigetto dell’appello.
7.1. L’appellato ha poi illustrato le proprie difese con memoria del 10 aprile 2025, insistendo per il rigetto del gravame.
8. Il Comune ha replicato con memoria del 22 aprile 2025, insistendo per l’accoglimento delle doglianze.
9. All’udienza pubblica del 14 maggio 2025 la causa è stata trattenuta in decisione.
10. L’appello è infondato.
10.1. Infatti il Collegio intende infatti dare continuità, condividendoli, ai principi affermati da questo C.g.a.r.s., da ultimo nella sentenza n. 613 del 2024, che a sua volta ha richiamato la sentenza di questo Consiglio n. 344 del 2015, che ha seguito, ampiamente e convincentemente richiamandolo, l’orientamento già espresso nei precedenti di questo stesso Consiglio di cui alle sentenze n. 212 del 2012 e n. 95 del 2011, nonché n. 964 del 2010 e n. 1113 del 2008, secondo cui sussiste un vincolo preordinato all’espropriazione tutte le volte in cui la destinazione dell’area permetta la realizzazione di opere destinate esclusivamente alla fruizione soggettivamente pubblica (come appunto avviene nel caso di specie, con la destinazione a verde pubblico attrezzato).
10.2. La detta sentenza di questo C.g.a.r.s. n. 344 del 2015, così come i menzionati precedenti, ha assunto un’interpretazione evolutiva, coerente con quanto più volte affermato dalla CEDU, delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1999, in ordine alla distinzione tra previsioni urbanistiche conformative e previsioni espropriative.
10.2.1. In particolare, la sentenza in commento ha operato una ricognizione dei principi basilari della materia nei termini che possono essere così riassunti:
a) la sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1999 ha precisato che sono fuori dello schema ablatorio i vincoli che, imponendo destinazioni di contenuto specifico realizzabili anche a iniziativa privata o promiscua (pubblico-privato), non comportano necessariamente espropriazioni o interventi a esclusiva iniziativa pubblica;
b) la realizzabilità dell’opera o del servizio solo dalla mano pubblica o anche dal privato deve essere valutata non tanto con riferimento al suo oggetto specifico, bensì, piuttosto, tenendo conto della destinazione dell’opera, e, quindi, della sua idoneità a soddisfare, oltre che l’interesse pubblico, anche il diritto soggettivo di proprietà;
c) ciò in quanto la sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1999 ha affermato espressamente che non si è alla presenza di uno schema ablatorio laddove le destinazioni pubbliche siano “suscettibili di operare in libero regime di economia di mercato” ovvero siano “realizzabili anche attraverso l’iniziativa privata in regime di economia di mercato” (capi 5 e 10): deve quindi trattarsi di opere che non solo possono essere realizzate dal privato, ma che devono poter essere poste sul mercato, o determinarlo secondo il consueto meccanismo di incontro tra domanda e offerta in scarsità di risorse, trovando soggetti interessati alla loro gestione;
d) la tesi non è contraddetta dal fatto che la ridetta sentenza n. 179 del 1999 (capo 5) menzioni i parcheggi, dovendosi la citazione intendersi riferita ai parcheggi privati a pagamento, che determinano un interesse commerciale al loro sfruttamento, come le altre opere pure menzionate in uno a questi, chiaramente destinate allo sfruttamento da parte di privati (impianti sportivi; mercati e complessi per la distribuzione commerciale; edifici per iniziative di cura e sanitarie o per altre utilizzazioni quali zone artigianali o industriali o residenziali, opere tutte ritenute, appunto, “suscettibili di operare in libero regime di economia di mercato”), laddove diversa è la situazione per i parcheggi pubblici, in cui l’erogazione del servizio pubblico è riservata all’ente territoriale, il quale la esercita mediante la concessione dei propri poteri, sia pure assicurando l’introito della tariffa;
e) una siffatta interpretazione è l’unica coerente con le norme e i principi del vigente ordinamento nazionale ed europeo (Costituzione; CEDU), e, in generale “occidentale”, secondo cui la proprietà privata costituisce un diritto fondamentale dell’uomo, i cui ampi contenuti, e quindi le relative facoltà, si sostanziano nella utilizzazione a fini economici del bene, “segnatamente del bene immobile e, nella specie, di area non ancora edificata. L’utilizzazione naturale di tali aree, quindi, è l’edificabilità, cioè la realizzazione di un opus suscettibile di valutazione economica, sia per la fruizione personale del proprietario, sia per la disposizione onerosa a favore di terzi”;
f) in un siffatto sistema, “la norma conformatrice dello jus aedificandi non costituisce annullamento del diritto di proprietà e dunque non è riguardata con sfavore (nei limiti della ragionevolezza e del rispetto della natura stessa dei luoghi), mentre la norma ablatoria è considerata eccezione di stretto diritto al principio fondamentale della inviolabilità della proprietà. Tale eccezione è legata alla sussistenza di motivi di interesse pubblico tali da necessitare una deviazione dalla funzione propria della proprietà e quindi una finalizzazione di essa a scopi non economicamente conformi con tale diritto”;
g) una volta assunta una siffatta ottica, “la distinzione tra norme conformative e norme ablatorie non può più seguire i criteri tradizionali elaborati dalla giurisprudenza amministrativa sino ad oggi. Si deve, infatti, avere riguardo al tasso di deviazione dalla finalità ordinaria dell’area in questione rispetto alla sua vocazione naturale, che è sicuramente quella di dare luogo ad un opus economicamente e commercialmente idoneo a procurare il massimo profitto al proprietario”;
h) sicché la norma conformativa va rinvenuta laddove si impongano standard di distanze, cubatura, altezza, tipologia e simili, che si inseriscono in un mercato immobiliare omogeneo, ovvero si stabiliscano restrizioni uguali per gli appartenenti a una determinata classe (proprietari della zona omogenea), determinando i parametri di mercato (valore dell’immobile realizzabile e quindi dell’area edificabile) in relazione a restrizioni omogenee. Si tratta, in questo caso, di “vincoli economici esterni, accettabili e compatibili con l’economia di mercato e con i principi di uguaglianza, nella misura in cui operino, sostanzialmente, come limiti esterni allo jus aedificandi”, che non costituiscono, giuridicamente, una restrizione del diritto di proprietà, neanche in relazione alla diminuzione di valore dell’area che può derivarne, se il vincolo ha tenuto conto di limitazioni insite e ontologicamente connaturali all’area stessa, ovvero consegua all’obbligo conformativo che operi quale limite generale, quasi naturale, alle facoltà della classe di aree insistenti in zona omogenea. Invero, in tali casi, l’interesse pubblico opera ab extrinseco, “non incidendo sul diritto di proprietà, ma sulla sua valorizzazione di mercato, a fronte di un potere conformativo, eccezionale ma accettabile, riconosciuto per il bene della collettività”;
i) viceversa, ove ci si trovi innanzi a una potestà conformativa che imponga realizzazioni difformi dalla naturale destinazione dell’area, ne consegue, di fatto, l’ablazione di una precisa facoltà inerente al diritto di proprietà. “In tal caso non giova la considerazione che l’opus necessario … possa anche essere realizzato dal medesimo privato, poiché è fin troppo evidente che la diminuzione di valore dell’opera realizzabile non risponde ad una conformazione omogenea del mercato della zona, ma ad un intervento autoritario del pubblico che si propone quale terzo indefettibile del successivo rapporto. In altri termini, se l’opera realizzabile, sia pure con le limitazioni dovute alla conformazione, può comunque essere posta sul mercato scontando il meccanismo usuale della domanda ed offerta per la determinazione del prezzo, la destinazione indefettibile ad opera o servizio pubblico individua, necessariamente e senza possibilità di eccezione, il soggetto (pubblico) cui l’opera stessa non potrà che essere destinata. In tal guisa che l’opera non è finalizzata ad essere posta sul mercato, ma necessariamente ad esser posta a disposizione di un solo soggetto. Ciò anche nella ipotesi in cui l’opera sia realizzata dallo stesso privato, magari in convenzione con il soggetto pubblico, poiché ciò che rileva non è chi materialmente la realizzi (il privato o il pubblico dopo l’espropriazione), ma chi concretamente può essere il solo destinatario della sua utilizzazione”. E “Non vi è mercato, come è noto, quando uno dei contraenti si pone in posizione di monopolio (nel caso monopolista per l’acquisto)”, ovvero di monopsonio, forma di mercato caratterizzata dalla presenza di un solo acquirente a fronte di una pluralità di venditori;
l) corollario di questa impostazione è che se un’area serve effettivamente allo scopo di realizzare standard urbanistici, non potrà, alla fine, che essere espropriata, proprio in virtù del fatto che su di essa non può che essere realizzata altro che un’opera asservita a un interesse pubblico e riferita a un ente pubblico;
m) in definitiva, “sussiste un vincolo preordinato alla espropriazione le volte in cui la destinazione della area permetta la realizzazione di opere destinate esclusivamente alla fruizione soggettivamente pubblica, nel senso di riferita esclusivamente all’ente esponenziale della collettività territoriale”, ovvero l’utilizzatore finale dell’opera altri non può essere che l’ente pubblico, in quanto la stessa “in nessun caso, può essere posta sul mercato per soddisfare una domanda differenziata che, semplicemente, non esiste”;
n) è pertanto “rimesso all’interprete il delicato compito di distinguere, volta per volta, tra i vincoli conformativi e i vincoli espropriativi”, attività che va svolta “assumendo a costante parametro di riferimento il contenuto minimo essenziale del diritto dominicale”, da parametrarsi non più “a concezioni diffuse a metà del secolo scorso” bensì tenendo “nel debito conto le … sollecitazioni anche di matrice sovranazionale; che – senza il ricorso a una legittima espropriazione, con conseguente indennizzo ormai a valori di mercato (Corte cost. 24 ottobre 2007, nn. 348 e 349) – non ne consentono la compressione fino a far destinare un fondo privato ad un uso soggettivamente pubblico (nella specie, generale)”.
10.3. Merita ulteriormente ribadirsi (conformemente a C.g.a.r.s. 27 febbraio 2012, n. 212) che, “Essendo … rimesso all’interprete il delicato compito di distinguere, volta per volta, tra i vincoli conformativi e i vincoli espropriativi, tale attività va certamente svolta assumendo a costante parametro di riferimento il contenuto minimo essenziale del diritto dominicale”.
“D’altra parte, tale contenuto minimo non può più parametrarsi a concezioni diffuse a metà del secolo scorso, essendo invece necessario tenere nel debito conto le ricordate sollecitazioni anche di matrice sovranazionale; che – senza il ricorso a una legittima espropriazione, con conseguente indennizzo ormai a valori di mercato (Corte cost. 24 ottobre 2007, nn. 348 e 349) – non ne consentono la compressione fino a far destinare un fondo privato ad un uso soggettivamente pubblico (nella specie, generale)”.
“Ne deriva, dunque, che se l’ente pubblico vuol destinare un’area a uso pubblico (generale) deve procurarne l’espropriazione, non potendo altrimenti costringere il proprietario a comprimere il suo godimento al di là del contenuto minimo essenziale della proprietà” (contenuto minimo essenziale che può non comprendere – quantomeno e inter alia – la permanenza, in capo al proprietario che non venga espropriato, dello ius excludendi alios).
“Ciò implica natura ineluttabilmente espropriativa, essendo esso preordinato all’esproprio, del vincolo consistente nella destinazione di un’area privata a “verde pubblico” (nella specie “attrezzato”, ciò che ovviamente avverrà a cura e spese del soggetto pubblico espropriante, o di soggetti concessionari)” (C.g.a.r.s., n. 212/2012, cit.).
10.4. Alla luce delle predette coordinate ermeneutiche deve riconoscersi, nel caso di specie, la natura espropriativa del vincolo imposto sui terreni di proprietà dell’odierno appellato, stante la fruizione pubblica e soggettivamente indifferenziata connessa alla destinazione urbanistica di verde pubblico attrezzato.
10.5. Correttamente quindi il T.a.r. ha accolto il ricorso di primo grado, non essendovi motivi per modificare la regolazione delle spese di lite disposta dal primo giudice, stante il rigetto dell’appello.
11. In definitiva l’appello deve essere respinto.
12. Sussistono giuste ragioni per compensare per la metà, stante le oscillazioni giurisprudenziali in subiecta materia, le spese di lite del presente giudizio, ponendo a carico del Comune soccombente la residua frazione, nella misura liquidata in dispositivo.
CGA, GIURISDIZIONALE – sentenza 25.08.2025 n. 675