1. Il ricorrente ha proposto ricorso per l’annullamento del provvedimento del Questore di Vibo Valentia n. -OMISSIS-, notificato in pari data, avente ad oggetto la sospensione per giorni sette della licenza di -OMISSIS- del locale di cui è titolare.
1.1. Rappresenta che è titolare dell’attività ad insegna “-OMISSIS-”, sita in -OMISSIS-, giusta licenza di -OMISSIS- nonché di licenza di -OMISSIS- (N.-OMISSIS-) e licenza di -OMISSIS- (attività esercitate, separatamente, nei medesimi locali del -OMISSIS-); che, a seguito della notifica, in data -OMISSIS-, della comunicazione di avvio di procedimento amministrativo, ai sensi degli artt. 7 e 8 della legge 7 agosto 1990, n. 241 , per la sospensione temporanea della licenza di -OMISSIS- a norma dell’art. 100 del R.D. 18 giugno 1931 n. 773, aveva instaurato il contraddittorio per dimostrare l’illegittimità e non giustificabilità dell’adozione di un provvedimento di sospensione temporanea della licenza; che, in data -OMISSIS-, gli è stato notificato il provvedimento impugnato e, contestualmente, è stata disposta la chiusura per giorni sette dell’intero locale, sospendendo anche le attività di -OMISSIS- e di -OMISSIS-.
2. Nel costituirsi le amministrazioni resistenti hanno chiesto il rigetto dell’avversa domanda.
3. Con il primo motivo del ricorso, rubricato “Violazione di legge: art. 10 L 241/1990, art. 24 Costituzione. Eccesso di potere e irragionevolezza del provvedimento”, il ricorrente ha denunciato che l’impugnato provvedimento sarebbe illegittimo per carenza di istruttoria essendo basato su solo due episodi di controlli all’interno del locale a distanza di quattordici mesi con pochi soggetti gravati da precedenti, in modo da difettare il requisito dell’abitualità.
3.1. Il motivo è infondato.
3.2. Occorre premettere che l’art. 100, comma 1, del R.D. 31 marzo 1931, n. 773 dispone che “Oltre i casi indicati dalla legge, il questore può sospendere la licenza di un esercizio, anche di vicinato, nel quale siano avvenuti tumulti o gravi disordini, o che sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose o che, comunque, costituisca un pericolo per l’ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini”.
3.2.1. La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che la norma attribuisce all’autorità di pubblica sicurezza il potere di sospendere e revocare la licenza commerciale relativa ad un esercizio pubblico “che sia abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose o che, comunque, costituisca un pericolo per l’ordine pubblico, per la moralità pubblica e il buon costume o per la sicurezza dei cittadini” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 29 novembre 2018, n. 6791; Consiglio di Stato, Sez. III, 2 maggio 2016, n. 1681), specificando che tale potere ha intrinseche finalità di prevenzione del pericolo per la sicurezza pubblica (Consiglio di Stato, Sez. III, 27 settembre 2018, n. 4529).
3.2.2. La ratio sottesa all’art. 100 del R.D. 31 marzo 1931, n. 773 è dunque quella di prevenire e tutelare in via anticipata la pubblica sicurezza, per cui è sufficiente la sussistenza del mero pericolo per la sicurezza pubblica per consentire al Questore l’adozione della misura cautelare, nell’esercizio di poteri discrezionali che sono censurabili solo per manifesta irragionevolezza (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 28 novembre 2022, n. 10417; Consiglio di Stato, Sez. III, 12 febbraio 2019, n. 1021; Consiglio di Stato, Sez. III, 29 luglio 2015, n. 3752).
3.3. Ciò premesso, il Collegio ritiene che la censura con la quale si afferma l’insussistenza nella specie del presupposto normativo dell’essere il locale “abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose” non è idonea a incidere sulla legittimità del provvedimento impugnato in ragione di quanto disposto dall’art. 100 del R.D. 31 marzo 1931, n. 773.
3.3.1. Il requisito dell’abitualità è posto in riferimento, infatti, all’esercizio pubblico e non anche alla natura della frequentazione dello stesso da parte della singola persona controindicata.
3.3.2. Conseguentemente l’esercizio può essere qualificato come “abituale ritrovo di persone pregiudicate o pericolose” quando sussista una reiterata e plurima presenza in esso di soggetti riconducibili alle richiamate categorie, senza peraltro che sia necessaria anche la presenza ripetuta ed abituale, nei suddetti termini, degli specifici individui che siano stati contemplati nelle informazioni di polizia e senza che assuma alcuna distinzione il fatto che detti soggetti siano trovati all’interno o in prossimità del locale atteso che l’esercizio commerciale rileva non tanto nella sua dimensione spaziale ma piuttosto finalistica quale luogo di ritrovo per soggetti gravati da precedenti.
3.4. Nell’impugnato provvedimento l’amministrazione ha dato conto del fatto che il presupposto dell’abitualità, quanto all’esercizio pubblico, è stato individuato in base alla presenza in più occasioni di soggetti gravati da pregiudizi: per associazione a delinquere di tipo mafioso ed estorsione (-OMISSIS-); per violazione delle norme sugli stupefacenti (-OMISSIS-); per reati contro la persona, la personalità dello Stato, l’attività giudiziaria, in materia di armi e in materia di stupefacenti (-OMISSIS-); per reati contro il patrimonio, la persona e in materia di stupefacenti (-OMISSIS-); per delitti contro l’amministrazione della giustizia (-OMISSIS-).
3.5. Non assume, di conseguenza, rilievo ai fini della asserita mancanza dei presupposti di applicabilità della norma, la circostanza, valorizzata dal ricorrente, che per la gran parte dei soggetti indicati la loro presenza non sia stata accertata all’interno del locale o che non fossero compiutamente identificabili causa apposizione di “omissis”, considerandosi che quello che è necessario per l’integrazione della condizione di applicabilità della disposizione è il dato oggettivo della presenza reiterata di soggetti che rientrano, comunque, nelle categorie cui la stessa opera riferimento.
3.5.1. Trattasi di presupposto che risulta pacificamente esistente nella vicenda per cui è controversia come riscontrato nella attività info-investigativa della Questura di Vibo Valentia.
3.6. L’impugnato provvedimento è esente dal vizio denunciato essendo stato adottato sulla scorta della prefata informativa che ha rilevato essere il locale “abituale ritrovo di persone pregiudicate e pericolose, parimenti costituisce un pericolo per l’Ordine Pubblico, per la moralità ed il buon costume o la sicurezza dei cittadini, rappresentando gravità ed allarme per la collettività e costituendo altresì un oggettivo pericolo per la pubblica sicurezza”.
4. Con il secondo motivo del ricorso, rubricato “Violazione dei principi di proporzionalità, ragionevolezza, imparzialità, buon andamento dell’agire amministrativo”, il ricorrente si è lamentato del fatto che sarebbe stato violato il principio di proporzionalità in quanto la misura adottata pur avendo ad oggetto unicamente alla -OMISSIS- avrebbe esteso i suoi effetti anche alla -OMISSIS- lavorati oltre che a quella di vendita quella di -OMISSIS- stante la disposta chiusura dell’esercizio commerciale.
4.1. Il motivo non merita adesione.
4.2. Nell’impugnato provvedimento l’amministrazione ha espressamente indicato che “la sospensione di cui all’art. 100 T.U.L.P.S. è riferita unicamente alla -OMISSIS- e non intacca la -OMISSIS- di cui lo stesso -OMISSIS- risulta titolare”, disponendo conclusivamente la sospensione della licenza per “l’attività di -OMISSIS- ad insegna “-OMISSIS-” ubicata a -OMISSIS-…”.
4.3. L’amministrazione nell’impugnato provvedimento ha correttamente specificato la portata limitativa degli effetti sospensivi solo ad una delle licenze di cui è titolare il ricorrente dimostrando di avere fatto ricorso al principio di proporzionalità.
4.4. L’eventuale intera chiusura dell’esercizio commerciale, non legittimata dal provvedimento impugnato, costituisce aspetto esecutivo che non incide sulla legittimità del provvedimento stesso.
5. Con il terzo motivo del ricorso, rubricato “Violazione di Legge: art. 3 legge 241/1990”, il ricorrente ha denunciato la violazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 per avere l’amministrazione omesso di formulare una adeguata motivazione.
5.1. La doglianza è infondata.
5.2. Nell’impugnato provvedimento l’amministrazione, seppure in forma sintetica, ha indicato gli elementi fattuali (episodi molteplici inerenti la presenza di soggetti gravati da precedenti) e le ragioni giuridiche (indicazione dell’art. 100 del R.D. 31 marzo 1931, n. 773 e sussunzione dei fatti contestati nell’ambito di applicazione di detta disposizione) che sono richiesti ai fini della corretta motivazione provvedimentale, nei termini indicati dall’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241.
6. L’assenza degli elementi per configurare i requisiti di cui all’art. 2043 c.c., a partire dall’ingiustizia del danno, determina, altresì, il rigetto della domanda risarcitoria.
7. Il ricorso, quindi, deve essere rigettato.
8. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
TAR CALABRIA – CATANZARO, I – sentenza 22.08.2025 n. 1425