Rilevato che la signora Parte_1 introduceva il presente giudizio per il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale derivante dall’intervento di “rinosettoplastica e lipoaspirazione” effettuato presso l’Ospedale di Ome (BS) in data 1° luglio 2014, intervento che secondo la ricorrente non aveva raggiunto gli esiti prospettati;
rilevato che a tal fine la ricorrente si sottoponeva a visita medico legale, svolta dai dott.ri […] Per_1 e Persona_2 , che accertava “una accentuazione della curva nasale con riduzione degli spazi ossei, come da eccessiva asportazione di matrice ossea. Accentuazione dell’inginocchiamento della cartilagine alare destra condizionante riduzione del volume della radice destra nel terzo superiore. Transito aereo, alla inspirazione ed espirazione forzata diminuito nella narice destra, …. un’eccessiva asportazione di matrice ossea a livello del dorso nasale, che condiziona una maggiore proiezione della columella nasale” individuando in particolare un errore medico nell’esecuzione dell’intervento di rinoplastica, che avrebbe causato “un danno biologico “iatrogeno”, che pare quantificabile, nell’ordine del 4-5%, considerando la possibilità di poter eseguire la chirurgia secondaria e sperando in un risultato ottimale” (doc. 2 di parte attrice);
rilevato che la ricorrente, alla luce di dette risultanze, provvedeva a chiedere all […] Controparte_1 il risarcimento del danno derivante dall’intervento sopra indicato, richiesta che tuttavia rimaneva senza alcun riscontro (doc. 3 di parte attrice) e, successivamente, instaurava il procedimento ex art. 696 bis cpc avanti al Tribunale di Brescia (proc. n. 107/2019 RG) nei confronti della società Controparte_2 e del dr. CP_3 […] , procedimento in cui veniva depositato l’elaborato peritale da parte del CTU nominato, dott.ssa Persona_3 , in cui si legge che “il naso della signora Pt_1 presenta scomparsa quasi totale della depressione fronto nasale, con un angolo fronto nasale a livello tarsale (nasion) quasi completamente assente, con lieve depressione del terzo medio del dorso nasale (rinion o Keystone point) marcatamente apprezzabile alla visione nei profili laterali; inoltre è presente uno scalino tra il margine anteriore delle ossa nasali proprie e il margine posteriore delle cartilagini triangolari” e che “tale situazione postoperatoria é il risultato di una eccessiva rimozione osteocartilaginea durante la gibbotomia e di una eccessiva rimozione della porzione caudale delle cartilagini triangolari, con inadeguata osteotomia mediana delle ossa nasali proprie, che rende innaturale la morfologia del naso della signora Pt_1 , condizione causalmente riconducibile agli esiti delle procedure di chirurgia estetica….la sintomatologia funzionale lamentata, riferibile a gocciolamento cronico sieroso ed iposmia, invece, risulta invece correlata alla persistenza della rinosinusite cronica per la quale la paziente si era già sottoposta ad un intervento nel 2001 e non dipende dalla rinoplastica effettuata…. si evidenzia, quindi, una inesatta conduzione tecnica dell’intervento, che, ha portato al fallimento del progetto di miglioramento estetico, che aveva indotto la signora Pt_1 a richiedere le prestazioni del dottor CP_3 e che ha comportato un detrimento dell’estetica complessiva del volto… devono quindi essere computate come conseguenze della inadeguatezza delle procedure chirurgiche poste in essere dall’odierno resistente il 1 luglio 2014” concludendo che “ad oggi i postumi, stabilizzati e non ulteriormente suscettibili di spontanea evoluzione, configurano un danno biologico permanente di carattere fisiognomico quantificabile in misura del 4% (quattro per cento), a mente delle indicazioni fornite dai comuni bareme di riferimento del danno, dove si qualifica la categoria del pregiudizio estetico lievissimo”, non riconoscendo un pregiudizio temporaneo né un danno alla capacità lavorativa (cfr. relazione CTU dott.ssa Persona_3 nel procedimento di ATP n. 107/2019 – doc. 7 di parte attrice);
rilevato che il procedimento ex art. 696 bis cpc si concludeva senza alcuna conciliazione e, pertanto, veniva instaurato il presente giudizio ai sensi dell’art.702bis cpc;
rilevato che, costituendosi in giudizio, gli CP_2 Controparte_2 deducevano in primo luogo che il dott. Controparte_3 , autore dell’intervento chirurgico de quo, aveva operato in regime privatistico ai sensi dell’art. 7 co. 3 della legge n. 24/2017 e che quindi si sarebbe dovuta escludere una responsabilità diretta della struttura sanitaria, la quale riteneva inoltre di non essere tenuta alla restituzione delle somme pagate dalla ricorrente per l’intervento poiché versate direttamente al dott. Controparte_3 e pertanto concludevano chiedendo il rigetto delle domande attoree come formulate nell’atto di ricorso, la liquidazione dei soli danni che si sarebbero ritenuti conseguenza immediata e diretta della malpratice provata in giudizio e proponendo infine domanda di manleva o di rifusione nei confronti del medico chirurgo che aveva operato;
rilevato che si costituiva in giudizio anche il dott. Controparte_3 , il quale contestava sia l’an che il quantum debeatur; eccepiva preliminarmente la nullità del ricorso per difetto di procura e, nel merito, sottolineava che le pretese avversarie avrebbero dovuto essere valutate solo in relazione all’intervento di rinoplastica e non anche a quello di liposuzione che era andato a buon fine; contestava quanto affermato dalla CTU in sede di accertamento tecnico preventivo posto che l’operazione de quo si era svolta secondo i protocolli, in assenza di errori e/o omissioni e che aveva raggiunto l’obiettivo prefissato consistente nella riduzione della grandezza del naso; evidenziava la natura prettamente soggettiva del giudizio sul risultato estetico, deducendo come la CTU avrebbe fatto propria, ingiustificatamente, la percezione soggettiva della ricorrente e che, in realtà, il miglioramento estetico del volto poteva ben vedersi dalle fotografie allegate agli atti (docc. 4-8 di parte convenuta) e concludeva chiedendo in via preliminare di essere autorizzato a chiamare in causa la società Controparte_4 con la quale era assicurato, nel merito per il rigetto della domanda attorea e in subordine la condanna della terza chiamata a tenerlo manlevato per quanto avrebbe dovuto pagare alla ricorrente;
rilevato che, a seguito della chiamata in causa da parte del dott. Controparte_3 , si costituiva in giudizio la società Controparte_5 (cessionaria dei rapporti giuridici, economici e contrattuali della società Controparte_4 ) che eccepiva l’inopponibilità nei propri confronti del procedimento di ATP già svolto cui essa non aveva partecipato, rilevava la responsabilità della struttura sanitaria ai sensi dell’art. 7 della legge Parte_2 che faceva rinvio agli artt. 1218 e 1228 cc, con conseguente esclusione della responsabilità personale del dott. Controparte_3 per mancanza, nel caso di specie, del dolo o della colpa grave, della prova dell’imprudenza, negligenza o imperizia nonché del nesso causale tra la condotta del chirurgo qui convenuto e il danno asserito dall’attrice; concludeva chiedendo in via principale il rigetto delle domande svolte contro il dott. Controparte_3 e, in via subordinata, la limitazione del risarcimento ai soli danni da accertarsi in causa e direttamente imputabili all’assicurato, nei limiti della polizza assicurativa;
rilevato che, disposta l’acquisizione agli atti del fascicolo relativo al procedimento di ATP n. 107/2019 RG, già sopra richiamato, all’esito della discussione, il giudice esperiva il tentativo di conciliazione che però, nonostante le chiare risultanze della CTU ed il modesto importo del risarcimento, aveva esito negativo per cui si riservava la decisione ai sensi dell’art.702ter cpc commi 5, 6 e 7;
ciò premesso, rilevato quanto all’eccezione preliminare di parte resistente sulla nullità del ricorso per difetto di procura, che essa deve intendersi superata con la produzione all’udienza del 29.9.2022 della procura già conferita dalla ricorrente al legale per attivare il procedimento di accertamento tecnico preventivo e valida anche per gli “ulteriori gradi e/o fasi di merito…”;
ritenuto per il resto che la causa può ben essere decisa sulle base delle risultanze della sopra citata CTU effettuata in sede di ATP, senza procedere ad ulteriore istruzione, considerato che essa appare congrua e ben motivata e pertanto viene fatta propria da questo giudice;
rilevato quanto alla compagnia assicuratrice che non aveva partecipato al procedimento di ATP, che essa non ha svolto specifiche contestazioni alla predetta CTU che pertanto può essere utilizzata come elemento di prova in questo giudizio anche nei confronti della suddetta assicurazione, giusto il principio secondo cui “la relazione conclusiva di un accertamento tecnico preventivo, se ritualmente acquisita al giudizio di cognizione, entra a far parte del materiale probatorio regolarmente prodotto e sottoposto al contraddittorio anche se una delle parti del giudizio di merito non ha partecipato al procedimento di istruzione preventiva e, perciò, è liberamente apprezzabile e utilizzabile, quale elemento di prova idoneo a fondare il convincimento del giudice nel raffronto con le altre risultanze istruttorie acquisite, nei confronti di tutte le parti del processo “ (cfr. Cass.n.8496/2023);
rilevato quanto al riferimento alla legge Parte_3 (legge n.24/2017 in vigore dal 1° aprile 2017) che l’intervento si è svolto nel 2014 quando non era in vigore la suddetta legge, ancora da approvare e in virtù del principio di irretroattività essa non può essere applicata al caso di specie, dovendosi quindi fare riferimento alla giurisprudenza formatasi anteriormente alla suddetta legge;
rilevato che detta giurisprudenza, in applicazione dell’art.3 comma 2 della Costituzione, con l’intento di favorire il paziente, quale soggetto debole danneggiato nei confronti della struttura sanitaria e del relativo personale, affermava pacificamente che “l’ospedale risponde a titolo contrattuale dei danni patiti dal paziente, per fatto proprio ex art. 1218 cod. civ. ove tali danni siano dipesi dall’inadeguatezza della struttura, ovvero per fatto altrui ex art. 1228 cod. civ., ove siano dipesi dalla colpa dei sanitari di cui l’ospedale si avvale” (Cass. civ. sent. n. 1620 del 03/02/2012), orientamento confermato anche in tempi più recenti dalla Cassazione, laddove essa ribadisce che “in tema di responsabilità medica, nel regime anteriore alla legge n. 24 del 2017, la responsabilità della struttura sanitaria, integra, ai sensi dell’art.1228 c.c., una fattispecie di responsabilità diretta per fatto proprio, fondata sull’elemento soggettivo dell’ausiliario, la quale trova fondamento nell’assunzione del rischio per i danni che al creditore possono derivare dall’utilizzazione di terzi nell’adempimento della propria obbligazione contrattuale, e che deve essere distinta dalla responsabilità indiretta per fatto altrui, di natura oggettiva, in base alla quale l’imprenditore risponde, per i fatti dei propri dipendenti, a norma dell’art.2049 c.c.; pertanto, nel rapporto interno tra la struttura e il medico, la responsabilità per i danni cagionati da colpa esclusiva di quest’ultimo deve essere ripartita in misura paritaria secondo il criterio presuntivo degli artt. 1298, comma 2, e 2055, comma 3, c.c.” (Cass. civ. sent. n. 29001 del 20/10/2021);
ritenuto pertanto relativamente alla contestazione dei resistenti Controparte_2 in ordine alla loro responsabilità, argomentata in base al fatto che la ricorrente avrebbe stipulato un contratto autonomo con il medico chirurgo che ha effettivamente eseguito l’intervento, che essa non è fondata atteso che la ricorrente ha dimostrato tramite la documentazione medica allegata in atti che l’intervento è avvenuto all’interno della struttura convenuta e che all’interno di tale struttura operava appunto il dott. Controparte_3 in qualità di responsabile dell’unità operativa “chirurgia plastica” (doc. 1 di parte attrice”), per cui sussiste la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria derivante dal c.d. contratto di spedalità, con cui la stessa si era obbligata a fornire una serie di prestazioni alla paziente tra cui rientrano, all’evidenza, la messa a disposizione del personale medico e delle attrezzature tecniche necessarie;
rilevato quanto alla domanda di manleva formulata dagli Istituti Ospedalieri contro il dr. Controparte_3 che, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte “in tema di responsabilità medica, nel regime anteriore alla legge n. 24 del 2017, la responsabilità della struttura sanitaria, integra, ai sensi dell’art.1228 c.c., una fattispecie di responsabilità diretta per fatto proprio, fondata sull’elemento soggettivo dell’ausiliario, la quale trova fondamento nell’assunzione del rischio per i danni che al creditore possono derivare dall’utilizzazione di terzi nell’adempimento della propria obbligazione contrattuale, e che deve essere distinta dalla responsabilità indiretta per fatto altrui, di natura oggettiva, in base alla quale l’imprenditore risponde, per i fatti dei propri dipendenti, a norma dell’art.2049 c.c.; pertanto, nel rapporto interno tra la struttura e il medico, la responsabilità per i danni cagionati da colpa esclusiva di quest’ultimo deve essere ripartita in misura paritaria secondo il criterio presuntivo degli artt. 1298, comma 2, e 2055, comma 3, c.c., atteso che, diversamente opinando, la concessione di un diritto di regresso integrale ridurrebbe il rischio di impresa, assunto dalla struttura, al solo rischio di insolvibilità del medico convenuto con l’azione di rivalsa, e salvo che, nel relativo giudizio, la struttura dimostri, oltre alla colpa esclusiva del medico rispetto allo specifico evento di danno sofferto dal paziente, da un lato, la derivazione causale di quell’evento da una condotta del sanitario del tutto dissonante rispetto al piano dell’ordinaria prestazione dei servizi di spedalità e, dall’altro, l’evidenza di un difetto di correlate trascuratezze, da parte sua, nell’adempimento del relativo contratto, comprensive di omissioni di controlli atti ad evitare rischi dei propri incaricati” (cfr. Cass. n. 28987/2019, Cass.n.29001/2021, Cass.n.28642/2024);
rilevato a questo riguardo che non vi è alcuna prova in relazione al comportamento del medico che, sulla base del principio sopra indicato, possa giustificare la domanda di manleva dell’istituto ospedaliero, che pertanto va rigettata;
rilevato, in merito alla legittimazione passiva del dott. Controparte_3 , che la ricorrente ha provato l’esistenza di un rapporto contrattuale, o comunque di un contatto sociale qualificato, con il medico, risultante dalla documentazione sanitaria prodotta in atti (doc. 1 di parte attrice), invero la ricorrente lo ha scelto personalmente ai fini dell’intervento chirurgico, e perciò egli dovrà rispondere a titolo di inadempimento, in virtù del combinato disposto di cui agli artt. 1173 e 1218 cc;
rilevato che si tratta di chirurgia estetica e quindi la prestazione medica rasenta le caratteristiche dell’obbligazione di risultato, diversificandosi dalla pura obbligazione di mezzi generalmente tipica dell’attività professionale, invero, il primario interesse del cliente sta nel raggiungimento di un miglioramento estetico o nell’eliminazione di un difetto, in assenza di uno scopo o una necessità curativa, dunque, nel caso di specie il risultato ha assunto una importanza fondamentale tale per cui non rileva solamente l’aver adottato la diligenza richiesta per il tipo di operazione, ma anche il mancato conseguimento o la lontananza dal risultato sperato e concordato tra il cliente ed il chirurgo;
rilevato, sul punto, che nella sopra citata CTU il consulente ha precisato che “il naso della signora Pt_1 presenta scomparsa quasi totale della depressione fronto nasale, con un angolo fronto nasale a livello tarsale (nasion) quasi completamente assente, con lieve depressione del terzo medio del dorso nasale (rinion o Keystone point) marcatamente apprezzabile alla visione nei profili laterali; inoltre è presente uno scalino tra il margine anteriore delle ossa nasali proprie e il margine posteriore delle cartilagini triangolari”, associando espressamente tale condizione ad un errore tecnico nella conduzione della rinoplastica, consistito nella “eccessiva rimozione della porzione caudale delle cartilagini triangolari, con inadeguata osteotomia mediana delle ossa nasali proprie, che rende innaturale la morfologia del naso della signora Pt_1 , condizione causalmente riconducibile agli esiti delle procedure di chirurgia estetica”;
rilevato che, alla luce di dette risultanze, considerato anche l’orientamento giurisprudenziale in materia (cfr. Cass.n.24073/2017, Cass.n.18392/2017, Cass.n.975/2009, etc.), sono emerse “qualificate inadempienze, astrattamente idonee a provocare (quale causa o concausa efficiente) il danno lamentato”, nonché il nesso di causalità “tra l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova malattia) e l’azione o l’omissione dei sanitari”;
ritenuto pertanto che sulla base delle risultanze della CTU come sopra indicate e presi come riferimento i parametri indicati nelle tabelle in uso presso il Tribunale di Milano, il risarcimento del danno non patrimoniale può essere quantificato ad oggi nella somma complessiva di euro 6.700,00;
ritenuto quanto alla richiesta di rimborso delle spese mediche già sostenute, che nella documentazione prodotta dalla ricorrente (cfr. docc. prodotti sub 9) si fa espresso riferimento sia all’intervento di rinoplastica per cui è causa, sia all’intervento di liposuzione che invece ha avuto un esito positivo secondo quanto pacificamente riconosciuto dalle parti, così ad esempio la ricevuta n.61 dr. CP_3 e la ricevuta n.81 dr. Per_4 oppure la documentazione è generica come la ricevuta n.50 e la stessa fattura n. 33933 del 1° luglio 2014, per cui la relativa domanda non può essere accolta atteso che era onere della ricorrente provare specificamente la riconducibilità di dette spese all’intervento di rinoplastica e non anche a quello di liposuzione, né è giustificabile dividere semplicemente a metà le spese come dedotto dalla ricorrente;
ritenuto viceversa che alla ricorrente va senz’altro rimborsata la spesa relativa al compenso per il consulente tecnico d’ufficio nel procedimento di ATP, come documentato (cfr. doc. prodotto sub 9), somma che rivalutata ad oggi con gli interessi ammonta complessivamente ad euro 2.900,00, mentre non possono essere riconosciute le spese legali stragiudiziali e le spese per il CTP per cui la ricorrente si è limitata a produrre in giudizio fattura proforma o prefattura senza dare quindi prova dell’effettivo pagamento;
ritenuto pertanto che la società Controparte_2 e il dott. Controparte_3 vanno condannati a pagare alla ricorrente Parte_4 , ciascuno nella misura del 50%, la somma di euro 6.700,00 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale e quindi euro 3.350,00 ciascuno nonché la somma di euro 2.900,00 a titolo di rimborso delle spese di CTU e quindi la somma di euro 1.450,00 ciascuno, con gli interessi legali sulle somme così determinate da oggi, data della liquidazione, sino al saldo effettivo;
ritenuto quanto alla domanda di manleva che essa può essere accolta alla luce della polizza in atti, per cui la società Controparte_5 va dichiarata tenuta e condannata a manlevare l’assicurato dr. Controparte_3 per quanto quest’ultimo dovrà pagare alla ricorrente Parte_4 polizza;
in forza di quanto sopra disposto, nei limiti della franchigia e del massimale di ritenuto infine quanto alle spese del procedimento di ATP e del presente giudizio che esse seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, con riferimento ai valori minimi dei relativi parametri tenuto conto del fatto che la ricorrente ha rifiutato la proposta transattiva formulata dal giudice e accettata dalle altre parti per un importo addirittura superiore a quanto poi liquidato in questa sede (cfr. note conclusive delle parti), il tutto con distrazione a favore del procuratore antistatario;
Trib. Brescia, I civile, ord., 25.06.2025