1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
1.1. Il primo motivo di ricorso è infondato e, attesane l’assorbenza, rende superfluo l’esame del secondo motivo e delle prospettazioni difensive in ordine alla prescrizione del reato contestato al C.S.C..
Nel caso di specie, il Tribunale ha reso articolata motivazione in ordine alle ragioni poste a sostegno della diversa qualificazione giuridica della condotta ascritta all’indagato e del conseguente annullamento e ha fatto corretta applicazione dei principi giurisprudenziali affermati in materia, richiamando quanto osservato dalle Sezioni unite di questa Corte che, seppur con riguardo alle differenti fattispecie di cui agli artt. 2 e 8 d.lgs. n. 74 del 2000, hanno ritenuto esistente un rapporto di specialità tra le norme incriminatrici tributarie e quella di truffa aggravata ai danni dello Stato, «in quanto qualsiasi condotta fraudolenta diretta alla evasione fiscale esaurisce il proprio disvalore penale all’interno del quadro delineato dalla normativa speciale, salvo che dalla condotta derivi un profitto ulteriore e diverso rispetto all’evasione fiscale, quale l’ottenimento di pubbliche erogazioni” (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248865-01).
Ed infatti, con motivazione che rileva anche in relazione al rapporto tra il delitto di truffa aggravata e la fattispecie di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 d.lgs. 74/2000, le Sezioni Unite hanno precisato che: ”La negazione del rapporto di specialità tra frode fiscale e truffa ai danni dell’Erario, si pone, inoltre, in contraddizione con la linea di politica criminale e con la ratio che ha ispirato il legislatore nella riforma di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000…… una scelta di radicale alternatività rispetto al pregresso modello di legislazione penale tributaria”.
L’affermazione della predetta pronuncia risulta pertanto di inequivocabile chiarezza nella misura in cui stabilisce che qualsiasi condotta di frode al fisco trova la sua risposta repressiva esclusivamente nella legislazione speciale tributaria, senza possibilità di “recupero” di fatti, peraltro nemmeno costituenti reato per omesso superamento delle soglie di punibilità, nell’alveo delle generali ipotesi di truffa aggravata in danno dello Stato.
Il principio affermato dalle Sezioni Unite con riferimento ai rapporti tra i reati di emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti e la fattispecie di truffa aggravata, va ribadito anche in caso di dichiarazione infedele ex art. 4 d.lgs. 74/2000, fatto meno grave rispetto alle indicate ipotesi di frode fiscale, poiché, anche in tal caso, l’ottenimento di rimborsi non dovuti a seguito della falsa rappresentazione di spese od altri oneri inesistenti, comporta esclusivamente un vantaggio fiscale per il contribuente, senza invece che sussistano ulteriori profitti diversi rispetto a tale operazione effettuata in danno dell’Agenzia delle Entrate.
Pertanto, anche nel rapporto tra dichiarazione infedele e truffa aggravata, sussiste l’identica ratio già individuata dalle Sezioni Unite che hanno sottolineato la “generale specialità delle previsioni penali tributarie in materia di frode fiscale, le quali, in quanto disciplinano condotte tipiche e si riferiscono ad un determinato settore di intervento della repressione penale, esauriscono la connessa pretesa punitiva dello Stato” (Sez. U, n. 1235/2011, cit.).
Nel rispetto di questa linea di demarcazione tra l’ambito applicativo delle fattispecie a connotazione truffaldina e le norme incriminatrici di carattere fiscale, deve osservarsi che, nel caso in esame, il profitto avuto di mira e conseguito dall’indagato coincide, infatti, con quello fiscale, costituito, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. d) d.lgs. n. 74 del 2000, anche dal fine di ottenere un indebito rimborso o il riconoscimento di un inesistente credito di imposta, il cui perseguimento è posto come scopo della condotta tipica.
Né vale, in questa sede, al fine di superare l’obiezione costituita dall’assenza di un autonomo disvalore dell’ipotizzata truffa, fare riferimento all’ottenimento di un profitto ulteriore quale “prezzo del servizio illecito” reso, in quanto, a prescindere dalla considerazione che si tratta di profilo di merito dotato di novità e non sottoposto alla cognizione del Tribunale per il riesame, tale “vantaggio” nulla aggiungerebbe all’indebito rimborso, trattandosi di una ripartizione pro-quota tra i concorrenti di quell’unico profitto ricavato dalla condotta decettiva eziologicamente riferibile al reato tributario del singolo contribuente.
1.2. Analoghe considerazioni possono essere formulate a proposito della riconducibilità alla struttura associativa degli illeciti profitti derivanti dai reati fiscali, in quanto detta fattispecie di reato non risulta giustificare la domanda cautelare, posto che la somma sequestrata è specificamente riferita al profitto illecito della contestata truffa di cui ai capi 132 e 133 della rubrica provvisoria. Infine, va osservato come le modalità della condotta truffaldina, per come indicate nell’imputazione provvisoria, nulla aggiungano a quella decettiva, in quanto si richiamano quelle strumentali all’indicazione nelle dichiarazioni annuali degli elementi passivi inesistenti in forza dei quali si mira ad ottenere l’indebito rimborso da parte dell’Erario.
2. La qualità di parte pubblica del ricorrente lo esonera dal pagamento delle spese processuali conseguenti al rigetto del ricorso.
Cass. pen. II, ud. dep. 19.08.2025, n. 29569