*Famiglia – Filiazione – Divorzio – Crisi familiare, sulla strada della liberalizzazione dei patti pre-matrimoniali

*Famiglia – Filiazione – Divorzio – Crisi familiare, sulla strada della liberalizzazione dei patti pre-matrimoniali

1. Il ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, ex art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 143,160,1343, c.c., anche in relazione agli artt. 158 e 1813 c.c.5, commi 6-8, L. div., 473 bis.51 c.p.c., 6 D.L. n. 132/2014, conv. L. n. 162/2014, per aver il giudice erroneamente qualificato l’accordo raggiunto tra le parti e non aver dichiarato il medesimo nullo, poiché contrario alle norme imperative disciplinatrici il rapporto matrimoniale; b) con il secondo motivo, ex art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., anche in relazione agli artt. 143,160 e 1813 c.c. per aver il giudice di merito violato i canoni interpretativi contrattuali discostandosi dal chiaro contenuto letterale degli accordi conclusi tra le parti.

2. La prima censura è infondata.

Si discute della validità dei patti tra coniugi, in previsione della crisi familiare, volti a stabilire in che modo debbano essere regolati i loro rapporti personali e patrimoniali nel momento in cui dovese sopravvenire una crisi matrimoniale.

È stata via via valorizzata l’autonomia negoziale privata dei coniugi, anche nella fase patologica della crisi, essendosi riconosciuta ai coniugi la possibilità di concordare le condizioni per la regolamentazione della crisi stessa (art. 4 L. n. 898/1970 e D.L. n. 132/2014, conv. in L. n. 162/2014).

In Cass. n. 8109/2000, pur ribadendosi l’orientamento secondo cui gli accordi con i quali i coniugi fissano in sede di separazione il regime giuridico del futuro ed eventuale divorzio, sono nulli per illiceità della causa, anche nella parte in cui concernono l’assegno divorzile, che per la sua natura assistenziale è indisponibile, in quanto diretti, implicitamente o esplicitamente, a circoscrivere la libertà di difendersi nel giudizio di divorzio, si è precisato che è valido l’accordo oggetto di causa (con il quale i coniugi avevano convenuto che, in caso di divorzio, l’uno avrebbe corrisposto all’altra una somma di danaro mensile), che aveva “la funzione di porre fine ad alcune controversie di natura patrimoniale insorte tra i coniugi, senza alcun riferimento, esplicito o implicito, al futuro assetto dei rapporti economici tra i coniugi conseguenti all’eventuale pronuncia di divorzio”.

Questa Corte ha, invero, riconosciuto piena validità all’accordo tra i coniugi che vogliano regolamentare i loro rapporti patrimoniali in caso di fallimento del matrimonio, “in quanto contratto atipico con condizione sospensiva lecita, espressione dell’autonomia negoziale dei coniugi diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela, ai sensi dell’art. 1322, secondo comma, cod. civ., essendo, infatti, il fallimento del matrimonio non causa genetica dell’accordo, ma mero evento condizionale” (Cass. civ. sent. n. 23713/2012).

Il caso concreto riguardava un accordo assunto dai coniugi successivamente alla separazione e in vista del futuro divorzio. Sempre secondo questa Corte, “è valido il mutuo tra coniugi nel quale l’obbligo di restituzione sia sottoposto alla condizione sospensiva dell’evento, futuro ed incerto, della separazione personale, non essendovi alcuna norma imperativa che renda tale condizione illecita agli effetti dell’art. 1354 c.c., primo comma, cod. civ. ” (Cass. civ. sent. n. 19304/2013).

E ancora si è affermato che “in caso di separazione consensuale o divorzio congiunto (o su conclusioni conformi), la sentenza incide sul vincolo matrimoniale ma, sull’accordo tra i coniugi, realizza – in funzione di tutela dei diritti indisponibili del soggetto più debole e dei figli – un controllo solo esterno attesa la natura negoziale dello stesso, da affermarsi in ragione dell’ormai avvenuto superamento della concezione che ritiene la preminenza di un interesse, superiore e trascendente, della famiglia rispetto alla somma di quelli, coordinati e collegati, dei singoli componenti.

Ne consegue che i coniugi possono concordare, con il limite del rispetto dei diritti indisponibili, non solo gli aspetti patrimoniali, ma anche quelli personali della vita familiare, quali, in particolare, l’affidamento dei figli e le modalità di visita dei genitori” (Cass. civ. sent. n. 18066/2014).

Si tratta di un orientamento giurisprudenziale consolidato (Cass. 5065/2021Cass. 11012/2021, in cui si è ritenuto valido un accordo tra i coniugi in forza del quale l’uno si obbliga, in caso di divorzio, a corrispondere all’altra, nell’ambito di una divisione mobiliare e immobiliare, una somma di danaro vita natural durante, integrando un valido contratto di rendita vitalizia sottoposto alla condizione sospensiva del divorzio), anche di recente ribadito dalla ordinanza n. 13366/2024, con la quale questa Corte ha cassato la sentenza di merito per aver erroneamente escluso la vincolatività dell’accordo raggiunto tra i coniugi, anteriormente alla separazione, finalizzato alla suddivisione pro-quota diseguale delle spese familiari e aver dichiarato non ripetibile il pagamento integrale delle stesse da parte del marito.

Sul punto, si è precisato che “in tema di contribuzione per i bisogni della famiglia durante il matrimonio, ciascun coniuge è tenuto, secondo quanto previsto dagli artt. 143 e 316-bis, primo comma, c.c., a concorrere in misura proporzionale alle proprie sostanze e, a seguito della separazione, non sussiste il diritto al rimborso di un coniuge nei confronti dell’altro per le spese così sostenute in modo indifferenziato; il menzionato principio è, tuttavia, suscettibile di deroga tramite un accordo contrattuale tra le stesse parti, in quanto lo stesso può meglio rispecchiare le singole capacità economiche di ciascun coniuge o modulare forme di generosità spontanea tra i coniugi ed è, comunque, finalizzato al soddisfacimento delle primarie esigenze familiari e dei figli, nel rispetto dei doveri solidaristici che trovano la loro fonte nel rapporto matrimoniale”.

In Cass. 18843/2024, si è affermato che le pattuizioni che, sebbene contenute in un patto aggiunto e contestuale all’accordo di divorzio congiunto, strettamente connesse a questo per volontà delle parti e che non abbiano ad oggetto diritti indisponibili o in contrasto con norme inderogabili, non possono essere oggetto di intervento diretto da parte del giudice, in quanto espressione della libera determinazione negoziale delle parti, ma devono essere prese in considerazione nel giudizio di revisione delle condizioni economiche del divorzio ex art. 9 della L. n. 898 del 1970. Solo qualora il patto in vista della rottura familiare riguardi i rapporti personali e patrimoniali relativi a figlie o figli minori di età, la sua validità ed efficacia sarà sempre soggetta a un controllo di legittimità volto a verificare la sua rispondenza al miglior interesse della persona minore di età e, dunque, che i coniugi non abbiano assunto nessuna decisione che possa incidere negativamente sulla condizione personale e patrimoniale delle figlie o dei figli. La Corte territoriale ha ritenuto che dovesse prevalere l’autonomia negoziale delle parti e, per l’effetto, ha riconosciuto la convenzione sottoscritta dai coniugi Me.Ma./Be.Ma. quale accordo meritevole di tutela da parte dell’ordinamento, in quanto contratto atipico, con condizione sospensiva lecita.

Quanto all’eccezione relativa all’assenza di un prestito tra le parti, giova precisare che il contratto di mutuo non richiede, in via tassativa, che la cosa mutuata sia materialmente consegnata dal mutuante al mutuatario, potendosi ritenere soddisfatta l’esigenza del requisito della traditio anche allorquando il risultato pratico raggiunto in sua assenza si identifichi con quello che si sarebbe realizzato con la consegna materiale del bene mutuato e, nel caso di specie, il marito ha avuto la disponibilità giuridica dell’importo mutuato in quanto il suo patrimonio è stato evidentemente accresciuto.

La scrittura in parola risulta perfettamente lecita, perché prevede un riconoscimento di debito in favore della moglie, a fronte dell’apporto finanziario della stessa per il restauro dell’immobile di proprietà del marito e per l’acquisto del mobilio e di beni mobili registrati, ma riconosce anche al marito un’imbarcazione, un motociclo, l’arredamento della casa familiare nonché una somma di denaro, regolamentando in modo libero, ragionato ed equilibrato l’assetto patrimoniale dei coniugi in caso di scioglimento della comunione legale.

Peraltro, l’attribuzione patrimoniale al Me.Ma. non può integrare adempimento di un’obbligazione naturale e nemmeno può essere inquadrata nell’ambito dei principi di solidarietà familiare in quanto non si riferisce all’acquisto di beni primari.

A norma dell’art. 1354 c.c., comma 1, è nullo il contratto al quale è apposta una condizione, sospensiva o risolutiva, contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume. Tale ipotesi non ricorre nel caso di specie, in quanto la condizione sospensiva è certamente lecita.

Infatti, pur essendo pacifico che la consegna o un prestito di denaro tra coniugi avviene generalmente nella riservatezza della vita familiare, non c’è nessuna norma imperativa che impedisca ai coniugi, prima o durante il matrimonio, di riconoscere l’esistenza di un debito verso l’altro e di subordinarne la restituzione all’evento, futuro ed incerto, della separazione coniugale (cfr. Cass. sentenza 21 dicembre 2012, n. 23713).

Neppure l’importo in questione rappresenta una somma “una tantum” tale da interferire con la disciplina dell’assegno divorzile, in quanto nella scrittura non si rinviene né la dicitura “una tantum”, né una rinuncia esplicita all’assegno di mantenimento.

3. La seconda doglianza denuncia violazione dei principi di ermeneutica contrattuale, senza specificare i canoni in concreto violati ed il punto, nonché il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato.

La censura è inammissibile, non potendo i motivi di ricorso per cassazione risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (cfr. Cass. civ., Sez. I, Ordinanza, 11/06/2024, n. 16183Cass., n. 15798/2005; n.25728/2013; n. 9461/2021).

Il ricorso in esame contiene nella sostanza censure di puro merito, sostenendo una interpretazione dell’accordo diversa da quella assunta dalla Corte d’Appello, senza individuare in concreto alcuna specifica violazione di norme ermeneutiche da parte di quest’ultima 3. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Cass. civ., I, ord., 21.07.2025, n. 20415

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