1. Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente deduce la «violazione di legge per falsa e/o mancata applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.». Per il ricorrente, con l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo si instaura un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il creditore opposto, nella specie il Comune di Lentini, da ritenersi attore in senso sostanziale, ha l’onere di fornire la prova della sussistenza dei fatti costitutivi del diritto azionato. La prova deve essere adeguata a tale dimostrazione. Nella specie, invece, ad avviso del Comune di Lentini, a fronte delle contestazioni mosse dal Comune di Francofonte, in sede di Corte di Cassazione – copia non ufficiale 5 RG n. 6612/2020 Cons. Est. Luigi D’Orazio opposizione, in merito all’esistenza del credito e alla determinazione di liquidazioni poste alla base del decreto ingiuntivo, il Comune di Lentini non ha fornito «alcuna adeguata prova del credito azionato ai sensi dell’art. 2697 c.c.». Proprio perché era stata contestata la legittimità della documentazione prodotta (determinazione di liquidazione e ripartizione) nella fase sommaria, la stessa non poteva avere valore di prova scritta nel giudizio di opposizione. Il creditore opposto non ha provveduto ad integrare la documentazione, non avendo dunque fornito la piena prova del credito. 2. Il primo motivo è inammissibile. 2.1. In primo luogo, il motivo non coglie la ratio decidendi della sentenza della Corte d’appello, che si è soffermata esclusivamente sulla circostanza che il Comune di Francofonte non ha impugnato i decreti dirigenziali contenenti le note del Comune di Lentini dinanzi al giudice amministrativo nei termini di legge, non essendo utilizzabile neppure il potere di disapplicazione. 2.2. In secondo luogo, poi, la dedotta violazione dell’art. 2697 c.c. attiene esclusivamente alla violazione delle regole di riparto dell’onere della prova, mentre, nel caso in esame, il ricorrente si lamenta dell’erronea valutazione delle prove da parte della Corte d’appello, in quanto il Comune di Lentini non avrebbe fornito la documentazione adeguata alla dimostrazione del fatto costitutivo del proprio diritto. Ed infatti, mentre la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ., configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma, integra motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360, Corte di Cassazione – copia non ufficiale 6 RG n. 6612/2020 Cons. Est. Luigi D’Orazio primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la censura che investe la valutazione (attività regolata, invece, dagli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.) può essere fatta valere ai sensi del n. 5 del medesimo art. 360 (Cass., sez. 6-3, 31/8/2020, n. 18092; Cass., sez. 3, 17/6/2013, n. 15107). 3. Con il secondo motivo di impugnazione si deduce la «violazione di legge per falsa applicazione dell’art. 5 legge 2248/1865 All. E (legge sul contenzioso amministrativo) nonché per falsa applicazione dell’art. 7 del d.lgs. 104/2010 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.». La Corte d’appello erroneamente – ad avviso del ricorrente – avrebbe ritenuto dirimente la circostanza che il Comune di Francofonte non avesse proposto ricorso dinanzi al giudice amministrativo nel termine di decadenza. Tale affermazione si fonderebbe su un’erronea interpretazione o applicazione dell’art. 7 del d.lgs. n. 104 del 2010. La fonte del credito, costituito da un diritto soggettivo, è rappresentata dall’avvenuto esborso e dalla determinazione dirigenziale di liquidazione e riparto del responsabile del Comune di Lentini, ai sensi dell’art. 62 del d.P.R. n. 223 del 1967. Nella circolare del Ministero dell’Interno del 1° febbraio 1986 si prevede che la delibera di liquidazione delle spese sia corredata dalla nota analitica di tutte le spese sostenute dalla commissione elettorale, debitamente vistata dal presidente e del segretario. Il visto del presidente e del segretario nella nota analitica è un elemento essenziale del procedimento di ripartizione delle spese. Attraverso il visto «viene verificato prima che l’atto acquista efficacia l’esistenza di legittimità dell’atto stesso in assenza del visto, a parere del ricorrente, l’atto non può acquisire efficacia». Corte di Cassazione – copia non ufficiale 7 RG n. 6612/2020 Cons. Est. Luigi D’Orazio La Corte territoriale avrebbe ritenuto illegittimi i decreti dirigenziali in quanto viziati da eccesso di potere perché non conformi alle prescrizioni imposte nella circolare citata. Tuttavia, la decisione della Corte territoriale sarebbe erronea nella parte in cui ha ritenuto che il Comune di Francofonte avrebbe dovuto proporre ricorso dinanzi al giudice amministrativo nel termine decadenziale di legge. Per il ricorrente, però, non si è in presenza di atti autoritativi, come erroneamente ritenuto dalla Corte territoriale, ma di atti amministrativi paritetici. Pertanto, gli stessi non sono sottoposti ai termini di decadenza propri dei giudizi impugnatorio, ma al termine di prescrizione. 4. Il motivo è infondato. 4.1. L’art. 62 del d.P.R. 20/3/1967, n. 223 prevede che «le spese per la tenuta e la revisione annuale delle liste elettorali sono a carico dei comuni. Le spese per il funzionamento delle Commissioni elettorali mandamentali e delle eventuali Sottocommissioni gravano sul bilancio dei Comuni compresi nella circoscrizione del mandamento giudiziario e sono ripartite tra i comuni medesimi in base alla rispettiva popolazione elettorale. Il riparto è reso esecutorio dal prefetto». Nella circolare del 1° febbraio 2002 del Ministero dell’Interno si occupa proprio delle «spese per il funzionamento delle commissioni e delle sottocommissioni elettorali mandamentali», al paragrafo 22. Si prevede che la deliberazione del Comune capoluogo concernente la liquidazione delle spese sostenute globalmente per il funzionamento dell’organo di cui trattasi è soggetta al generale controllo di legittimità. La deliberazione stessa, ovviamente, deve essere corredata dalla nota analitica di tutte le spese sostenute dalla Corte di Cassazione – copia non ufficiale 8 RG n. 6612/2020 Cons. Est. Luigi D’Orazio commissione elettorale mandamentale, debitamente vistata dal presidente e dal segretario. 4.2. Va affrontata la questione sollevata dal ricorrente con riferimento alla asserita erronea pronuncia da parte della Corte di merito, in ordine alla impossibilità per il giudice ordinario di disapplicare i provvedimenti amministrativi, nei giudizi in cui sia parte la PA. Va chiarito, sul punto, che il potere del giudice ordinario di disapplicare gli atti amministrativi, ex art. 5 della l. n. 2248 del 1865, all. E, può essere esercitato anche nelle controversie in cui è parte la pubblica amministrazione e non soltanto nelle liti tra privati, a condizione che l’atto illegittimo venga in rilievo come mero antecedente logico e non già come fondamento del diritto dedotto in giudizio – e, cioè, che la questione della sua legittimità sia prospettata come pregiudiziale in senso tecnico e non come principale – e che il provvedimento sia affetto da vizi di legittimità, come tali lesivi di diritti, dovendosi invece escludere il sindacato del giudice con riguardo alle valutazioni di merito attinenti all’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione (Cass. Sez.U., 25/5/2018, n. 13193; Cass., Sez.U., 6/8/1975, n. 2987; 10/9/2004, n. 18263; 9/1/2007, n. 116; 5/6/2014, n. 12644; di recente Cass., sez. 1, 14/3/2025, n. 6834). Tuttavia, ai fini della disapplicazione è necessario che ricorrano due condizioni oggettive: a) il provvedimento amministrativo non può costituire l’oggetto diretto della controversia, cioè non può venire in rilievo come fondamento del diritto dedotto in giudizio, ma solo se la questione della sua legittimità si prospetti come pregiudiziale in senso tecnico e non come principale (Cass., n. 13193 del 2018; Cass., Sez.U., n. 2987 del 1975; n. 2244 del 2015; Cass., nn. 22/2/2002, n. 2588; 13/9/2006, n. 19659; 10/1/2017, n. 276; Corte di Cassazione – copia non ufficiale 9 RG n. 6612/2020 Cons. Est. Luigi D’Orazio di recente in materia tributaria Cass., sez. 5, 2/10/2024, n. 25935 in ordine al potere del giudice tributario di disapplicare tutti gli atti amministrativi che costituiscono il presupposto dell’imposizione, quale espressione di un principio generale dell’ordinamento, fissato dall’art. 5 della legge n. 2248 del 1865, allegato E); b) il provvedimento deve essere affetto da vizi di legittimità, come tali lesivi di diritti, mentre il sindacato del giudice è escluso con riguardo alle valutazioni di merito attinenti all’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione (Cass., sez. U., n. 13193 del 2018; Cass., Sez.U., n. 18263 del 2004 e n. 116 del 2007). 4.3. Nella specie, però, i provvedimenti dirigenziali del Comune di Lentini, di riparto delle somme dovute dai vari comuni (e segnatamente quello di Francofonte), per le spese relative alle commissioni elettorali mandamentali, vengono in rilievo nella fattispecie in esame proprio come fondamento del diritto dedotto in giudizio (si discute se i decreti dirigenziali siano muniti del visto di esecutorietà del prefetto e del visto sulle notule di spesa del presidente e del segretario della commissione elettorale), rappresentando il titolo utilizzato per conseguire il pagamento del dovuto, sicché si rientra nell’ambito della pregiudizialità logica e non tecnica. Ciò non consente la disapplicazione dei provvedimenti amministrativi da parte del giudice ordinario. 5. Del pari non condivisibile è la tesi del ricorrente per cui si sarebbe in presenza di atti paritetici, per i quali non si applicherebbe il termine di decadenza per proporre ricorso dinanzi al giudice amministrativo, ma unicamente il termine di prescrizione. Tale tesi è sconfessata dalla giurisprudenza granitica di questa Corte che riferisce la natura paritetica degli atti esclusivamente nel Corte di Cassazione – copia non ufficiale 10 RG n. 6612/2020 Cons. Est. Luigi D’Orazio rapporto tra la PA ed i privati, nella peculiare ipotesi in cui sia stato stipulato un contratto e, quindi, nella fase a valle della stipulazione. Si è ritenuto, infatti che, con riferimento all’attività negoziale della P.A., devono ritenersi devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo tutte le controversie che attengono alla fase preliminare, antecedente e prodromica al contratto, inerenti alla formazione della volontà e alla scelta del contraente privato in base alle regole della cd. evidenza pubblica, mentre appartengono alla giurisdizione ordinaria quelle che radicano le loro ragioni nella serie negoziale successiva, che va dalla stipulazione del contratto fino alle vicende del suo adempimento, e riguardano la disciplina dei rapporti scaturenti dal contratto, senza che l’asse della giurisdizione sia spostato dall’adozione, nel corso del rapporto contrattuale, di determinazioni della parte pubblica in attuazione di sopravvenienze normative, che comunque si collocano nell’alveo di un rapporto ormai paritetico (Cass., Sez.U., 29/1/2018, n. 2144). Solo nell’ambito degli atti negoziali si instaura un rapporto paritetico, non potendo la PA esercitare i poteri di supremazia e di imperio tipici dell’attività amministrativa (Cass., Sez.U., 12/6/2015, n. 12177; Cass., Sez.U., 24/5/2013, n. 12901; Cass., Sez.U., 14/6/2006, n. 13690). Nella specie, invece, vi è un rapporto tra pubblica amministrazione, e segnatamente tra comuni, nell’ambito del quale uno dei comuni ha anticipato le spese relative alle commissioni elettorali ed ha chiesto il rimborso, in proporzione alla popolazione elettorale, delle somme erogate. 5. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico del ricorrente si liquidano come da dispositivo.
CORTE DI CASSAZIONE, I CIVILE – ordinanza 05.08.2025 n. 22663