Il ricorso è infondato.
Preliminarmente deve riconoscersi la sussistenza dell’interesse all’impugnazione, dovendo trovare applicazione il principio generale, dettato dall’art. 593 cod. pen.pen., secondo cui l’imputato può impugnare le sentenze di proscioglimento, salvo che si tratti di sentenze di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso.
Al di fuori delle suddette ipotesi, che escludono il rapporto tra l’imputato e il fatto storico in quanto tale e, quindi, inibiscono anche qualsivoglia ulteriore valutazione in ambito civile, amministrativo o disciplinare, le altre sentenze di proscioglimento possono far residuare un interesse all’impugnazione.
In particolare, per quanto concerne il profilo dell’incidenza della sentenza di assoluzione ai fini disciplinari, l’art. 653
cod. proc. pen. prevede che la sentenza penale ha efficacia di giudicato quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l’imputato non lo ha commesso.
Nel caso di specie, l’assoluzione per sopravvenuta abrogazione del reato, consentirebbe di far valere in sede disciplinare il giudicato circa l’insussistenza del reato, ma lascia impregiudicato l’accertamento sulla commissione del fatto storico.
Sul tema deve darsi atto dell’esistenza di un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui sussiste l’interesse dell’imputato all’impugnazione della sentenza di assoluzione, pronunciata con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, al fine di ottenere la più ampia formula liberatoria “perché il fatto non sussiste”, considerato che, a parte le conseguenze di natura morale, l’interesse giuridico risiede nei diversi e più favorevoli effetti che gli artt. 652 e 653 cod. proc. pen. connettono alla seconda nei giudizi civili o amministrativi di risarcimento del danno e nel giudizio disciplinare (Sez. 5, n. 29377 del 29/5/2019, Mussari, Rv. 276524-02; Sez.6, n. 49831 del 19/4/2018, Annese, Rv. 274285).
Tale principio è estensibile anche all’ipotesi, qual è quella in esame, in cui il proscioglimento sia stato pronunciato con la formula “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”, dato che anche in tal caso – per le ragioni in precedenza esposte – permane l’interesse dell’imputato ad ottenere una formula maggiormente liberatoria e idonea a far stato anche in sede disciplinare.
Superato tale aspetto preliminare, occorre soffermarsi sull’ulteriore profilo attinente alla legittimità del proscioglimento sulla base del motivo già accertato, a fronte della possibile sussistenza di una causa di assoluzione più favorevole.
Sul tema, la norma di riferimento è l’art. 129, cod. proc. pen. che, al primo comma, prescrive l’immediata declaratoria del proscioglimento e, al secondo comma, stabilisce la regola per cui il giudice è tenuto a dare prevalenza alle cause di proscioglimento nel merito, rispetto a quelle di estinzione del reato, solo se “dagli atti risulta evidente” l’innocenza dell’imputo.
Occorre premettere che, nel caso di specie, non si verte nell’ipotesi del concorso tra una possibile causa di assoluzione nel merito e l’accertata estinzione del reato, ipotesi per la quale l’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., richiede per l’assoluzione con formula più ampia l’evidenza dell’innocenza.
Nel caso in cui concorrano più possibili cause di assoluzione nel merito – qual è l’ipotesi in esame – l’art. 129, comma 1, cod. proc. pen. si limita a stabilire che il proscioglimento deve essere immediatamente dichiarato.
Pur in difetto di un’espressa previsione, analoga a quella contemplata al comma 2 dell’art. 129, cod. proc. pen., deve ritenersi che@ quest’ultima regola sia insita nel sistema.
A ben vedere, l’obbligo dell’immediata declaratoria di non punibilità contiene in sé l’implicito divieto di proseguire il giudizio al solo fine di addivenire all’eventuale assoluzione con una formula più favorevole, tanto più quan”o – come previsto nel comma 1 dell’art. 129 cod. proc. pen. – non si verte nel concorso tra assoluzione nel merito ed estinzione del reato, bensì tra più ipotesi che conducono ugualmente, sia pur per diverse ragioni, alla assoluzione dell’imputato.
Tale principio risulta già affermato, sia pur in risalenti pronunce di questa corte secondo cui, in ipotesi di sopravvenuta abolitio criminis, il giudice, qualora indichi le fonti di prova delle responsabilità dei prevenuti o almeno della loro non estraneità agli illeciti contestati, non deve farsi carico di acquisire la “prova certa” della responsabilità degli stessi, magari disponendo nuove indagini, ma deve opportunamente decidere allo stato degli atti sulla non evidente e manifesta innocenza degli imputati (Sez.3, n. 5302 del 18/2/1994, Rv. 197798).
Ne consegue che, quando risulti che il fatto per cui è stata esercitata l’azione
penale non è più previsto dalla legge come reato, il giudice, nel pronunciare la sentenza di assoluzione o di proscioglimento per tale causa, non è tenuto ad un preventivo accertamento per verificare l’insussistenza del fatto o la non attribuibilità dello stesso all’imputato (Sez.6, n. 5309 del 23/3/1992, Valpiani, Rv. 190262).
Applicando tali principi al caso di specie, deve sottolinearsi come l’accertamento compiuto in primo grado, conclusosi con la condanna della ricorrente per il reato di abuso d’ufficio, costituisce di per sé un elemento idoneo ad escludere la sussistenza di ragioni idonee a condurre, in via immediata e senza la necessità di ulteriori valutazioni, all’assoluzione dell’imputata perché il fatto non sussiste o per non averlo commesso.
A fronte di tale, sia pur non definitivo giudizio, la Corte di appello ha correttamente applicato la regola che impone l’immediata declaratoria dell’assoluzione con la clausola “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”, non sussistendo i presupposti “evidenti” per addivenire ad una diversa e più favorevole formula assolutoria.
L’equivalenza tra le formule assolutorie dettata dall’art. 129, comma 1, cod. proc. pen. e l’obbligo di immediata declaratoria di quella per la quale non occorre alcuna ulteriore valutazione, consentono di affermare il principio per cui quando risulti che il fatto per cui è intervenuta condanna in primo grado non è più previsto dalla legge come reato, il giudice è tenuto all’immediato proscioglimento dell’imputato, non dovendo proseguire il giudizio al fine di accertare l’insussistenza del fatto o la non attribuibilità dello stesso all’imputato, a meno che tali ipotesi di proscioglimento non richiedano una mera constatazione e, quindi, garantiscano ugualmente l’immediatezza della decisione.
Nel caso di specie, a fronte di una vicenda estremamente articolata e comportante l’esame della posizione di plurimi concorrenti nel reato, rispetto alla quale era già intervenuta una sentenza di condanna in primo grado, deve escludersi la possibilità di un immediato proscioglimento con formula più favorevole che, evidentemente, sarebbe potuta conseguire esclusivamente
all’esito di un più approfondito vaglio, in punto di fatto e di diritto, dei motivi di ricorso al fine di addivenire al ribaltamento della pronuncia di condanna.
Le argomentazioni esposte consentono anche di escludere che il dedotto vizio di motivazione possa condurre all’annullamento della sentenza impugnata.
Nel momento in cui si afferma il principio per cui il principio dettato dall’art.
129 cod. proc. pen., imponendo l’immediato proscioglimento, non consente la prosecuzione del giudizio al fine di valutare l’assoluzione con formule più favorevoli, ne consegue anche l’impossibilità di disporre l’annullamento con rinvio per vizio della motivazione.
Il tema è stato ampiamente esaminato con riguardo ai rapporti tra le cause
estintive e il proscioglimento nel merito, nel qual caso la giurisprudenza consolidata ritiene che, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in cassazione vizi di motivazione della sentenza perché l’inevitabile rinvio della causa all’esame del giudice di merito dopo la pronunzia di annullamento, è incompatibile con l’obbligo della immediata declaratoria di proscioglimento per intervenuta estinzione del reato (Sez.U, n. 1653 del 21/10/1993, Feliciangeli, Rv. 192471; Sez.U, n 35490 del 28/5/2009, Tettamanti, Rv. 244274; con riguardo alla prevalenza dell’estinzione rispetto ai dedotti vizi di nullità, si veda Sez.U, n.28954 del 27/4/2017, Iannelli, Rv. 269809).
Analogo principio deve essere affermato anche qualora il vizio di motivazione sia dedotto al fine di far valere, nel giudizio di rinvio, una formula assolutoria più favorevole rispetto a quella che è stata già pronunciata, proprio perché l’immediatezza della causa di proscioglimento già rilevata non consentirebbe una rivalutazione nel merito e l’eliminazione dei vizi di motivazione denunciati, al fine di pervenire ad una assoluzione con formula maggiormente liberatoria.
Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Cass. pen., VI, ud. dep. 06.08.2025, n. 29184