Procedimento – Diritto di accesso agli atti relativi ad un procedimento disciplinare nei confronti di un avvocato per esigenze difensive, ragioni e limiti

Procedimento – Diritto di accesso agli atti relativi ad un procedimento disciplinare nei confronti di un avvocato per esigenze difensive, ragioni e limiti

0.1. – Preliminarmente il Collegio deve pronunciarsi rispetto all’eccezione svolta da parte ricorrente nella propria memoria di replica del 12 giugno 2025 relativamente al difetto di legittimazione passiva del COA de L’Aquila rispetto alla causa di che trattasi.

Al riguardo parte ricorrente, preso atto della costituzione in giudizio del COA de L’Aquila in data 2-OMISSIS- e della sua memoria del 6 giugno 2025, ha affermato che lo stesso non è legittimato nel presente giudizio rilevando, come già esposto nella parte in fatto, che lo stesso COA non ha preso posizione espressa circa la propria legittimazione e ciò nonostante già al punto 4 del ricorso introduttivo parte ricorrente avesse dedotto in merito sostenendo che la parte resistente nel presente giudizio era il (solo) CDD in quanto “Ente che emesso il provvedimento impugnato e che detiene la documentazione richiesta” e che risulta essere “un autonomo soggetto di diritto rispetto al COA…”, richiamando al riguardo varie pronunce della giurisprudenza.

Sul punto parte ricorrente ha affermato nel ricorso introduttivo che “Su tutto, rileva che ai CDD è attribuito in via esclusiva il potere disciplinare e che, nell’ambito del procedimento disciplinare, i due organi hanno distinti compiti che “non avrebbero senso se non presupponessero una distinta soggettività giuridica del COA e del CDD”, come emerge: dalla regola dell’art. 50, c. 4, che prevede che quando è presentato un esposto a un COA, lo stesso COA deve “trasmettere immediatamente gli atti al consiglio distrettuale di disciplina, che è competente, in via esclusiva, per ogni ulteriore atto procedimentale”; dalle regole che vogliono i provvedimenti di archiviazione (art. 58, c. 4) e di adozione di misure cautelari (art. 60, c. 7) comunicati al COA di appartenenza dell’incolpato; dalla norma che impone da parte del CDD la notifica al COA del provvedimento definitivo (art. 59, co. 1, lett. m); dall’art. 61 che attribuisce al COA la legittimazione a proporre il ricorso avverso le decisioni del CDD. D’altra parte, in questo senso depone anche la disposizione dell’art. 2 del Regolamento del CCD, in cui si legge che “sebbene formalmente organo dell’ente Consiglio dell’Ordine Distrettuale, ad esso [il CDD, n.d.r.] sono state ex lege attribuite le funzioni relative ai procedimenti disciplinari, dei quali ex lege è sottratta la disponibilità finanche al Consiglio dell’Ordine Distrettuale.”.

0.2. – L’eccezione è fondata.

Il Collegio osserva che il COA de L’Aquila non ha legittimazione passiva nel presente giudizio e, conseguentemente, lo stesso deve essere estromesso per difetto di legittimazione passiva atteso che l’unico soggetto che ne può essere parte in qualità di parte resistente è il Consiglio Distrettuale di Disciplina in quanto soggetto che ha emesso il provvedimento di diniego di accesso impugnato e che è soggetto distinto rispetto al COA.

Al riguardo, difatti, il Collegio rileva che il CDD risulta essere soggetto distinto rispetto al COA per le ragioni espresse da condivisibile giurisprudenza secondo cui “nella legge n. 247 del 2012 sono rinvenibili numerosi indici normativi che depongono a favore della tesi secondo cui il CDD ha una soggettività, dunque una legittimazione processuale, distinta e autonoma da quella del COA. Innanzitutto, la legge attribuisce al CDD una propria funzione esclusiva, stabilendo all’art. 50 che «il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense», nonché una propria legittimazione, affermando che i suoi membri sono «eletti su base capitaria e democratica» in numero complessivo pari ai componenti dei consigli dell’Ordine del distretto, approssimato per difetto all’unità. Questa autonomia si specifica poi, nella trattazione delle questioni disciplinarmente rilevanti, in una serie di norme che mettono in relazione COA e CDD tanto all’inizio quanto al termine del procedimento, stabilendo che «quando è presentato un esposto o una denuncia a un consiglio dell’ordine» il COA deve «trasmettere immediatamente gli atti al consiglio distrettuale di disciplina, che è competente, in via esclusiva, per ogni ulteriore atto procedimentale» (art. 50, co. 4) e prevedendo la comunicazione al COA dei provvedimenti di archiviazione (art. 58, co. 4) e di adozione di misure cautelari (art. 60, co. 7), nonché persino la “notificazione” del provvedimento definitivo (art. 59, co. 1, lett. m) e art. 31 del Regolamento n. 2 del 2014 del CNF) da parte del CDD: si tratta di norme che non avrebbero senso se non presupponessero una distinta soggettività giuridica del COA e del CDD. La tesi è suffragata dall’art. 61, secondo cui avverso le decisioni del CDD è ammesso ricorso, tra l’altro, «da parte del consiglio dell’ordine presso cui l’incolpato è iscritto», norma sulla base della quale le Sezioni Unite Civili della Corte di cassazione sono pervenute ad affermare che «è appunto l’alterità organica tra il CDD, detentore del potere disciplinare (art. 50, comma 1, l.p.f.) e il COA, portatore dell’interesse collettivo dell’ordine locale (art. 50, comma 4, l.p.f.), che differenzia nettamente l’assetto attuale da quello della vecchia disciplina dell’ordinamento della professione forense, laddove era il COA stesso a sommare i due ruoli» (sent. n. 16993 del 2017, opportunamente richiamata dalla difesa del COA). In questo quadro, il fatto che il CDD sia istituito «presso ogni Ordine distrettuale», come dispone l’art. 1 del regolamento del CNF n. 2 del 2014, appare più propriamente da intendere come un riferimento al luogo in cui è collocata la relativa sede e come una conferma dell’ambito territoriale di competenza, piuttosto che quale affermazione della sua natura di organo del COA. Ne deriva quindi che CDD e COA hanno una distinta soggettività giuridica e una distinta legittimazione processuale, con la conseguenza che, qualora siano impugnati atti riconducibili unicamente al primo, il secondo è privo di legittimazione passiva. Tale è il caso di specie, nel quale il ricorrente ha presentato istanza di accesso agli atti al solo CDD, cui è riconducibile in via esclusiva il diniego impugnato; pertanto, la domanda di estromissione dal giudizio del COA merita di essere accolta.” (TAR Liguria, Sez. II, sentenza n. 529/2021).

Sul punto il Collegio rileva come la sopra riportata sentenza, chiara ed esaustiva nel dirimere la questione rispetto alla legittimazione passiva in un caso del tutto sovrapponibile a quello oggetto del presente giudizio, risulta essere in sintonia con successive pronunce giurisprudenziali, fra cui merita di essere citata la sentenza n. 3505/2024 del TAR Catania, richiamata anche da parte ricorrente, secondo cui “Ai CDD è stata, infatti, riconosciuta dalle SS.UU della Cassazione autonoma soggettività e, dunque, capacità processuale rispetto al COA nel cui distretto sono incardinati (cfr. Cass. civ., Sez. Unite, Sent. del 10/07/2017, n.16993; così anche T.A.R. Liguria Genova, Sez. II, Sent. del 07/06/2021, n. 529), sulla base di motivazioni che questo Collegio ritiene condivisibili. Ed invero, l’autonoma soggettività e capacità processuale dei CDD può ricavarsi da numerosi indici normativi, contenuti nella legge n. 247 del 2012 (Nuova disciplina dell’ordinamento professionale forense). A detti organi è innanzitutto attribuita una propria funzione esclusiva (cfr. l’art. 50, ove dispone che «il potere disciplinare appartiene ai consigli distrettuali di disciplina forense»), e l’alterità organica degli stessi rispetto ai COA emerge altresì dalla distinta composizione, essendo i loro membri «eletti su base capitaria e democratica» in numero complessivo pari ai componenti dei consigli dell’Ordine del distretto, approssimato per difetto all’unità. La distinta soggettività tra COA e CDD, inoltre, è ricavabile da una serie di norme che mettono in relazione i due organi nell’ambito del procedimento disciplinare, distinguendone compiti e poteri, e stabilendo in particolare che: – «quando è presentato un esposto o una denuncia a un consiglio dell’ordine» il COA deve «trasmettere immediatamente gli atti al consiglio distrettuale di disciplina, che è competente, in via esclusiva, per ogni ulteriore atto procedimentale» (art. 50, co. 4); – i provvedimenti di archiviazione (art. 58, co. 4) e di adozione di misure cautelari (art. 60, co. 7) devono essere comunicati al COA di appartenenza dell’incolpato; – il provvedimento definitivo deve essere persino notificato al COA di appartenenza da parte del CDD (art. 59, co. 1, lett. m) e art. 31 del Regolamento n. 2 del 2014 del CNF); – l’art. 61 della L. 247/2012 attribuisce al COA presso cui l’incolpato è iscritto la legittimazione a proporre il ricorso avverso le decisioni del CDD. Si tratta di norme che non avrebbero senso se non presupponessero una distinta soggettività giuridica del COA e del CDD. Appare definitivamente superato, pertanto, l’assetto delineato dalla precedente disciplina, laddove era il COA a sommare in sé il potere disciplinare e la rappresentatività dell’interesse collettivo dell’ordine locale (cfr. Cass. Civ.SS.UU. sent. n. 16993 del 2017)…Ne deriva quindi che i CDD e i COA hanno una distinta soggettività giuridica, da cui si ricava una altrettanto distinta e autonoma legittimazione processuale, con la conseguenza che, qualora vengano impugnati atti riconducibili unicamente al primo, il secondo è privo di legittimazione passiva. Così è nel caso di specie, avendo il ricorrente presentato istanza di accesso agli atti al solo CDD, cui è riconducibile in via esclusiva il diniego impugnato.”.

Per tutto quanto sopra esposto, dunque, il Collegio ritiene che vada disposta l’estromissione del COA di L’Aquila dal presente giudizio per difetto di legittimazione passiva dello stesso.

1. – Statuito quanto sopra con riferimento all’eccezione di difetto di legittimazione passiva del COA di L’Aquila, il Collegio può passare all’esame del ricorso nel merito e, al riguardo, osserva che lo stesso è fondato e va accolto.

2.1. – Col primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce l’illegittimità dell’impugnato diniego affermando che “La motivazione con cui il CCD ha rigettato l’istanza di accesso del ricorrente è inesistente o, se si preferisce, solo apparente, in violazione della regola dell’art. 3 L. 241/1990”.

Nello specifico parte ricorrente ricorda che l’istanza di accesso agli atti del procedimento disciplinare dell’Avv. -OMISSIS- era motivata con due ordini di ragioni: la prima era relativa alla necessità per parte ricorrente di poter svolgere appieno le proprie difese nella causa civile pendente fra parte ricorrente ed il controinteressato in appello e ciò in quanto in tale causa “il provvedimento di archiviazione di questo Consiglio, reso all’esito dell’istruttoria i cui atti il Dott. -OMISSIS-intende acquisire, è stato depositato dall’Avv. -OMISSIS- in sede giudiziale all’evidente fine di corroborare la di lui tesi che vorrebbe esente da profili di illiceità il deposito di una memoria contenente false prospettazioni e dati sensibili in un giudizio diverso da quello in cui avrebbe dovuto essere depositata.” mentre la seconda, invece, era “ funzionale alla tutela dell’immagine, dell’onore e della reputazione del Dott. -OMISSIS-. Considerato, invero, che l’Avv. -OMISSIS- sembrerebbe ancora oggi ribadire che l’esponente avrebbe commesso i gravi fatti che, invece, il Dott. -OMISSIS-non ha mai commesso per accertamento giudiziale coperto da giudicato”.

A fronte di tali esplicazioni svolte dal Dott. -OMISSIS-nella propria istanza di accesso il CDD però “si è limitato ad affermare che l’istanza del -OMISSIS-sarebbe “generica e con una funzione esplorativa, senza una chiara indicazione del concreto interesse giuridico a supporto dell’istanza di ostensione”. È evidente l’apparenza della motivazione, concretantesi nella mera proposizione di solo vaghe formule “stilistiche”, prive di qualsiasi apprezzabile aggancio al concreto interesse rappresentato e documentato dall’istante.”.

2.2. – Il motivo è infondato.

Il Collegio osserva che la motivazione resa nel diniego di accesso da parte del CDD è la seguente: “l’istanza è del tutto generica e con una funzione esplorativa, senza una chiara indicazione del concreto interesse giuridico a supporto dell’istanza di ostensione”.

La sopra riportata motivazione non integra, a giudizio del Collegio, l’ipotesi di una motivazione apparente che riporta formule di stile atteso che la stessa, estremamente sintetica, afferma che l’istanza di accesso del ricorrente risulta essere generica ed esplorativa, ossia non dettagliata nell’individuare l’oggetto dell’accesso, e che inoltre essa non indicherebbe quale sia il concreto interesse di parte ricorrente ai fini dell’accesso.

Da quanto sopra riportato ne deriva, dunque, che il diniego di che trattasi risulta motivato, benchè in maniera molto sintetica, con riferimento all’istanza di accesso del Dott. -OMISSIS-e, dunque, lo stesso non può essere ritenuto illegittimo per mancanza di motivazione atteso che una motivazione esiste ed è puntuale nell’affermare che l’istanza di accesso di parte ricorrente sarebbe generica ed esplorativa e senza l’indicazione dell’interesse concreto della parte ad ottenere tale accesso.

3.1. – Col secondo motivo di ricorso parte ricorrente afferma che, ove non si ritenesse il diniego impugnato affetto dal vizio del difetto totale di motivazione, lo stesso sarebbe comunque illegittimo “per eccesso di potere in ragione di una motivazione quantomeno insufficiente o incongruente ed illogica, alla luce di quanto appena evidenziato in merito alla puntuale indicazione e documentazione da parte del -OMISSIS-del suo diretto, concreto ed attuale interesse all’accesso, rispetto al quale il CDD ha preso posizione in termini del tutto oscuri e concretamente non comprensibili, o comunque con formule generiche e non sufficientemente esplicative dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che sarebbero sottese al rigetto della domanda.”.

3.2. – Il motivo è fondato.

Il Collegio osserva che la sintetica motivazione addotta dal CDD nel provvedimento di diniego di accesso impugnato risulta del tutto illogica ed incongruente rispetto all’istanza di accesso del Dott. -OMISSIS-e, pertanto, la stessa rende illegittimo il predetto provvedimento di diniego emesso sulla base della stessa.

A tal riguardo, difatti, il Collegio osserva che l’istanza del Dott. -OMISSIS-non era certo generica od esplorativa, avendo la stessa pienamente e puntualmente individuato gli atti di cui chiedeva l’ostensione, né tale istanza difettava di una “una chiara indicazione del concreto interesse giuridico a supporto dell’istanza di ostensione”, atteso che la stessa dava pieno conto della causa in corso fra l’Avv. -OMISSIS- ed il Dott. -OMISSIS-(e della conseguente necessità di quest’ultimo di poter disporre di tutta la documentazione relativa al procedimento disciplinare a fronte della produzione nel giudizio civile di una sola parte di tale documentazione da parte dell’Avv. -OMISSIS-) nonchè della necessità di tutela dell’immagine e della reputazione del Dott. -OMISSIS-mediante ostensione degli atti richiesti e, in particolare, della memoria difensiva dell’Avv. -OMISSIS- del 21 novembre 2024, atteso che “se ivi dovesse risultare che l’Avv. -OMISSIS- ha nuovamente addebitato all’esponente illeciti mai consumati, il Dott. -OMISSIS-intende agire in giudizio per la tutela della sua immagine e onorabilità.”.

L’istanza di accesso del Dott. -OMISSIS-del -OMISSIS- risultava, dunque, completa in quanto poneva pienamente in luce quali erano le ragioni per cui l’odierno ricorrente aveva interesse all’ostensione della documentazione puntualmente individuata, ragioni che, come si dirà più diffusamente nello scrutinio del terzo motivo di ricorso, sono pienamente fondate e, inoltre, individuava precisamente gli atti per cui veniva chiesto l’accesso e, pertanto, la stessa non era minimamente esplorativa o generica ma concreta nell’individuare gli atti richiesti e nel rappresentare il proprio personale ed effettivo interesse per la documentazione richiesta.

Per quanto sopra esposto, dunque, il diniego risulta illegittimo per eccesso di potere in quanto la motivazione alla base dello stesso è del tutto illogica ed insufficiente perché non tiene conto del fatto che l’istanza di accesso del Dott. -OMISSIS-individuava esattamente gli atti per cui richiedeva l’accesso e, inoltre, che la stessa ricostruiva compiutamente la vicenda processuale civile in corso fra l’odierno ricorrente e l’Avv. -OMISSIS- che giustificava, già di per sé, l’ostensione degli atti richiesti per la posizione in cui si trova rispetto a tale causa il Dott. -OMISSIS-, come più diffusamente si dirà nell’esame del terzo motivo di ricorso.

4.1. – Col terzo motivo di ricorso parte ricorrente afferma dapprima che “il giudizio ex art. 116 c.p.a., ancorché configurato come impugnatorio, costituisce un giudizio di merito volto all’accertamento della fondatezza del diritto del ricorrente all’ostensione della documentazione negata dall’amministrazione, indipendentemente dalla correttezza delle ragioni addotte per giustificarne il diniego” e, poi, che, nel presente caso, ricorrono tutti i tratti caratteristici richiesti per l’accesso difensivo per le ragioni addotte nell’istanza di accesso del -OMISSIS-.

4.2. – Il motivo è fondato.

Il Collegio osserva che risulta acclarato che fra parte ricorrente e l’Avv. -OMISSIS- pende causa civile in grado di appello e che in tale causa l’Avv. -OMISSIS- ha depositato parte degli atti relativi al suo procedimento disciplinare, con l’evidente fine di sostenere la sua posizione in tale giudizio.

Da quanto sopra espresso ne deriva che, chiaramente, anche il Dott. -OMISSIS-ha diritto di accedere agli atti di tale procedimento disciplinare al fine di poter pienamente sostenere la propria posizione in tale giudizio e meglio difendersi a fronte di una produzione – si ribadisce – solo parziale degli atti del medesimo procedimento da parte dell’Avv. -OMISSIS-.

A tal riguardo va rimarcato che nell’istanza di accesso del -OMISSIS- il Dott. -OMISSIS-aveva in primis chiaramente indicato che “L’accesso, in altri termini, è funzionale alla tutela delle ragioni sostanziali del Dott. -OMISSIS-nel pendente giudizio risarcitorio, in cui l’Avv. -OMISSIS- ha depositato solamente i provvedimenti conclusivi del procedimento disciplinare. A tale riguardo, peraltro, è interesse del Dott. -OMISSIS-conoscere se l’Avv. -OMISSIS- ha offerto al Consiglio di disciplina la Sentenza di condanna n. -OMISSIS- del Tribunale di Chieti, che, essendo stata pubblicata in data -OMISSIS-, poteva e doveva (anche in considerazione dell’obbligo deontologico di verità; art. 50 codice) essere da questi prodotta con la di lui memoria difensiva del 21.11.2024.”.

La sopra riportata prima ragione dell’istanza di accesso è, a giudizio del Collegio, pienamente fondata e condivisibile, atteso che con essa il Dott. -OMISSIS-evidenzia la necessità di poter compiutamente svolgere la propria difesa nel giudizio civile di appello in corso fra le parti e chiarisce, fra l’altro, la necessità per lo stesso, al fine di svolgere al meglio la predetta difesa, di comprendere se l’archiviazione del procedimento disciplinare, depositata dall’Avv. -OMISSIS- nel giudizio civile quale documentazione a suo favore, è stata assunta dal CDD nella piena conoscenza di tutti i fatti relativi a tale procedimento e, dunque, tale esigenza difensiva radica di per sé, in capo al ricorrente, la posizione di soggetto avente diritto all’accesso a tutti gli atti del procedimento disciplinare dell’Avv. -OMISSIS- per il pieno svolgimento delle sue difese nel processo civile in corso.

Inoltre il Dott. -OMISSIS-ha evidenziato nella propria istanza di accesso che lo stesso ha anche la necessità di tutelare la propria immagine ed onorabilità e, per questo, risulta fondamentale per lo stesso accedere agli atti del procedimento disciplinare, con particolare riguardo alla memoria dell’Avv. -OMISSIS- del 21 novembre 2024, al fine di verificare se in tale atto lo stesso abbia “nuovamente addebitato all’esponente illeciti mai consumati”; al riguardo, il Collegio rileva che anche tale seconda ragione, posta alla base dell’istanza di accesso del Dott. -OMISSIS-del -OMISSIS-, costituisce, di per sé, motivo sufficiente per ottenere l’accesso agli atti richiesti in quanto la necessità di verificare se negli atti del procedimento disciplinare, fra cui vi è anche la memoria procedimentale del 21 novembre 2024 dell’Avv. -OMISSIS-, vi siano dichiarazioni del controinteressato che recano lesioni all’immagine o all’onorabilità del ricorrente radica in capo al Dott. -OMISSIS-una posizione di soggetto avente diritto all’accesso ai predetti atti per poter compiutamente svolgere la difesa della propria persona.

Al riguardo il Collegio osserva che, in un caso analogo, condivisibile giurisprudenza ha affermato che “non può essere revocata in dubbio la legittimazione della parte lesa di un comportamento (almeno in potenza) disciplinarmente rilevante, oltretutto autrice di un esposto che ha dato corso al procedimento in questione, a promuovere l’ostensione degli atti del relativo procedimento, avendo ad essi un interesse qualificato, nella specie correttamente perimetrato dal giudice di prime cure che ne ha evidenziato i tratti qualificanti della rilevanza e della specificità siccome correlato alla qualità di esponente del ricorrente, corroborata dagli “ulteriori elementi” che collegano gli episodi oggetto del procedimento disciplinare alla sua vita privata e familiare, alla luce dei quali l’esigenza conoscitiva permane pur dopo la conclusione del procedimento disciplinare, anche al fine d’instaurare eventuali contenziosi a tutela dei propri diritti e interessi (come indicato anche nell’istanza del -OMISSIS-, doc. 2 di parte attrice)…. Nel caso di specie, la parte nella propria istanza ha, peraltro, paventato l’intenzione di introdurre, previa verifica dei relativi presupposti, azioni a tutela della propria onorabilità e a ristoro di danni morali e reputazionali. E rispetto a tale intenzioni non può di certo ritenersi superflua la conoscenza dei dati di cui l’avv. -OMISSIS– rivendica l’ostensione ben potendo orientare le ulteriori iniziative di difesa dei propri interessi che tale parte potrebbe muovere sia rafforzando i suoi propositi di tutela sia anche nel senso diametralmente opposto di indurlo a recedere da tali propositi con esito, dunque, finanche deflattivo di eventuali giudizi.” (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza n. 1121/2022).

5. – Per tutto quanto sopra rappresentato, dunque, il ricorso è fondato e va accolto, disponendo, previa estromissione dal giudizio del COA de L’Aquila, l’annullamento del diniego del CDD del -OMISSIS-, di cui in epigrafe, ed affermando il diritto del ricorrente ad accedere a tutti gli atti e documenti del procedimento disciplinare svolto dal CDD a carico dell’Avv. -OMISSIS-, ivi compreso l’atto di opposizione dello stesso, con obbligo per il CDD di consentire al ricorrente, entro trenta giorni dalla comunicazione della presente sentenza o dalla notificazione se anteriore, l’accesso agli atti richiesti.

6. – Le spese, ex art. 91 c.p.c., seguono la soccombenza nei confronti del CDD e vengono liquidate come da dispositivo mentre le stesse vanno compensate con riferimento al COA de L’Aquila e dichiarate nulle nei confronti del COA di Chieti.

TAR ABRUZZO – L’AQUILA, I – sentenza 5 agosto 2025 n. 383 

Scrivici una domanda su questo Articolo

Le domande saranno affrontate nel prossimo incontro live