*Concessioni e autorizzazioni – Demanio marittimo, proroga della concessione balneare fino al 31 dicembre 2033 e pretese patrimoniale per gli investimenti economici compiuti

*Concessioni e autorizzazioni – Demanio marittimo, proroga della concessione balneare fino al 31 dicembre 2033 e pretese patrimoniale per gli investimenti economici compiuti

5. Il primo motivo d’appello lamenta che, nell’occorso, l’amministrazione avrebbe violato l’art. 49 del codice della navigazione, nonché gli artt. 3 e 6 della L. n. 241 del 1990.

Secondo la parte appellante l’incameramento delle opere facenti parte dello stabilimento balneare da parte dell’autorità demaniale sarebbe illegittimo perché le concessioni di cui era titolare si sono susseguite senza soluzione di continuità dal 1994 ad oggi; di tal che non sarebbe configurabile una cessazione definitiva del relativo rapporto, ossia il fatto idoneo ad integrare i presupposti di cui all’art. 49 del Codice della navigazione di cui al r. d. n. 327 del 1942.

Il quarto motivo d’appello – che può essere trattato congiuntamente al primo, perché presuppone la medesima ricostruzione della vicenda amministrativa, per come operata dalla parte – contesta all’amministrazione di aver redatto il testimoniale di stato, con cui ha disposto l’acquisizione dei beni, prima della cessazione della concessione.

La parte appellante rappresenta in questa doglianza che, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, il rapporto concessorio sarebbe stato prorogato, prima al 31 dicembre del 2015, e poi al 31 dicembre del 2020, dunque che esso non si era ancora definitivamente concluso al 10 dicembre del 2012, ossia alla data in cui il ridetto verbale venne redatto.

Il quinto motivo d’appello, infine, in modo consimile al precedente, contesta la contraddittorietà degli atti gravati per non aver rilevato che, perdurando l’efficacia della concessione, era precluso l’acquisto del bene.

5.1. I tre motivi, che possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.

5.1.1. Occorre ripercorrere sinteticamente la vicenda giuridico-amministrativa che ha preceduto l’odierna controversia perché le doglianze in esame non considerano che:

a) la parte appellante ha ottenuto, nel corso del tempo, almeno tre provvedimenti concessori aventi ad oggetto l’area demaniale sita nel comune di Arenzano, in via Lungomare Stati Uniti 3, destinata a stabilimento balneare;

b) le opere oggetto di devoluzione erano state realizzate in costanza della prima concessione e, di conseguenza, l’effetto acquisitivo si era già avuto, una volta cessata quest’ultima.

5.1.2. La prima concessione ottenuta dalla parte, la n.163/1994 ha dispiegato la sua efficacia dall’1 maggio del 1994 al 31 dicembre del 1997; essa aveva ad oggetto una superficie complessiva pari a mq. 2516,00.

La seconda concessione, la n.609/98, ebbe efficacia dall’11 gennaio del 1998 al 31 dicembre del 2001, e fu successivamente prorogata dall’1 gennaio del 2002 al 31 dicembre del 2003. Diversamente dalla prima, questo secondo provvedimento aveva ad oggetto una superficie pari a 4114 mq. .

Infine, la parte è stata attributaria di una terza concessione, la n. 97/2005, del 22 marzo del 2005, ottenuta in seguito ad una espressa istanza di rinnovo da lei formulata, il 28 novembre del 2003, con efficacia dal 1 gennaio del 2004 al 31 dicembre del 2009.

In seguito quest’ultimo rapporto concessorio è stato oggetto delle proroghe, rilasciate prima, in via amministrativa, e poi per via legale, ex lege n.145 del 2018

5.1.3. Dalla ridetta ricostruzione emergono due circostanze di fatto che, in via autonoma l’una dall’altra, ostano all’accoglimento della prospettazione, in fatto ed in diritto, della parte appellante.

La prima di esse è la constatazione che, al di là di ogni ragionevole dubbio, in occasione del rilascio della seconda concessione, l’amministrazione comunale emise un nuovo provvedimento, frutto di un rinnovato esercizio del potere discrezionale; tanto ciò è vero che la superficie concessa alla richiedente, in quell’occasione, corrispose ad una misura pari quasi al doppio di quella precedente (metri quadri 4414, invece che metri quadri 2516).

E poiché è nel corso della prima che, incontestatamente, la parte appellante ha edificato i beni che sono poi stati oggetto dell’acquisizione – la circostanza trova inequivoca conferma nella relazione allegata al Testimoniale di stato del 10 dicembre del 2012, nella quale si dà conto anche della regolarità urbanistico-edilizia dei relativi edifici – e poiché l’efficacia di questa prima concessione è definitivamente cessata al 31 dicembre del 1997, a quest’ultima data deve farsi irreversibilmente risalire l’effetto acquisitivo ex lege, in favore del demanio statale, dei beni ivi insistenti.

Non è revocabile in dubbio che, in ragione del mutamento di oggetto, con la seconda concessione il comune ebbe a rinnovare il titolo concessorio, con conseguente cessazione del precedente rapporto e verificazione del presupposto di cui all’art. 49 del codice della navigazione, laddove è evidente la differenza tra proroga, che non comporta caducazione degli effetti, e rinnovo, che, anche testualmente, evoca la sostituzione del precedente rapporto con uno nuovo, configurante un autonomo titulus possidendi in capo al concessionario (cfr. in questo senso Consiglio di Stato sezione sesta n.6852/2018).

Inoltre, che il rinnovo sia equivalente al primo rilascio di una concessione, è stato confermato anche dalla Corte di giustizia UE sez. III, nella decisione n. 598 dell’11 luglio del 2024, che ha contemporaneamente affermato che, in parte qua, l’art. 49 del R.D. n.327 del 1942 non contrasta con le norme sul TFUE.

5.1.4. Del resto, è incontestato che il comune non ritenne di disporre, in quell’occasione, la demolizione delle opere, di tal che risulta integrato anche il secondo presupposto richiesto per l’acquisizione al demanio, dall’art. 49 del codice della navigazione.

5.1.5. Seppure si volesse ravvisare – malgrado l’evidente diversità di oggetto dei due provvedimenti – l’esistenza di una continuità tra la concessione n.163 del 1994 e la concessione n. 609 del 1998, certamente tale successione giuridica andrebbe esclusa con riferimento alla terza concessione ottenuta dalla parte il 22 marzo del 2005, dal momento che quest’ultima conseguiva ad un’autonoma e nuova domanda della parte appellante e che dallo stesso testo del provvedimento (vedasi allegato 008 documenti depositati dall’appellante nel corso del giudizio di primo grado) si evince il carattere novativo del titolo rilasciato nell’occasione.

Di conseguenza, a tutto concedere, l’effetto acquisitivo in favore dell’autorità demaniale si sarebbe verificato al momento della cessazione del rapporto concessorio, registrato in data 29 giugno del 1998, fatto giuridico che, in assenza di ulteriori indicazioni, deve farsi risalire al 28 novembre del 2003, allorquando la parte presentò l’istanza per ottenere la terza concessione.

5.1.6. In conclusione, non vi è alcun elemento dal quale inferire che le concessioni fossero in corso al momento della redazione del testimoniale di stato, il quale, peraltro, avendo valenza solo dichiarativa, si è limitato a prendere atto, correttamente, che l’effetto devolutivo in favore del demanio, avente ad oggetto le opere realizzate sull’area dalla parte appellante, si era già verificato in epoca antecedente.

5.1.7. Del resto, con la citata decisione n.598 del 2024 la Corte di giustizia ha affermato che la devoluzione prevista dall’art. 49 del codice della navigazione è un effetto riflesso del principio della naturale inalienabilità dei beni del demanio statale e che dunque la conseguente accessione rappresenta l’automatica conseguenza della cessazione del rapporto concessorio, con statuizione che conferma che il testimoniale di stato ha natura meramente dichiarativa, con efficacia ex tunc, di un fatto giuridico, e cioè l’acquisizione al demanio dei beni realizzati sull’area in concessione, che si è già verificato prima.

5.2. Poiché la cessazione del rapporto concessorio, alla quale è conseguito l’acquisto in capo allo Stato dei suddetti beni, risale ad un periodo di molto anteriore rispetto a quello indicato con il quarto motivo d’appello – che, erroneamente, sostiene che la concessione originaria fosse in corso nel 2012 ossia al momento della redazione del testimoniale – anche quest’ultima doglianza è da ritenersi infondata.

Come appena osservato, infatti, con detto testimoniale la parte appellata si è limitata a prendere atto dell’avvenuto trasferimento dei beni in proprietà demaniale, fatto verificatosi anni addietro, pertanto la relativa determinazione non avrebbe potuto essere incisa dalla pendenza di un altro rapporto concessorio, che, pur essendo relativo, in parte, alla medesima area, era sorretto da titoli del tutto diversi, ossia la concessione del 2005, prorogata successivamente dall’amministrazione, solo oggettivamente connessi all’originaria concessione del 1994 che rappresentava invece l’ unico ambito logico-giuridico all’interno del quale erano maturati i presupposti per la devoluzione dei beni al demanio marittimo.

5.3. Per gli stessi motivi è altresì infondato il quinto motivo d’appello; infatti la suddetta ricostruzione esclude in radice la continuità del rapporto concessorio, che si è invece caratterizzato come detto per la presenza di almeno tre titoli autorizzativi diversi, se non di quattro, laddove si consideri che la concessione del 2005, come appena ricordato, ha ottenuto, in via amministrativa, una proroga di sei anni.

Va infatti ribadito che, trattandosi di provvedimenti con diversa efficacia, la decorrenza dell’acquisizione al demanio va fatta risalire alla cessazione del primo di essi, perché durante la sua efficacia i suddetti beni furono realizzati, mentre i successivi rapporti, ai fini che qui ci occupano, sono del tutto irrilevanti.

6. Il secondo motivo d’appello contesta che le opere oggetto di acquisizione fossero non amovibili.

La parte appellante sostiene che il TAR avrebbe apoditticamente attribuito tale caratteristica ai beni insistenti sull’area, estraendola solo dalla superficiale descrizione di essi contenuta nel testimoniale di stato.

A parte la sommarietà del giudizio, la doglianza in esame ne stigmatizza i relativi esiti, rappresentando che essi non considerano che l’evoluzione delle tecniche costruttive ha significativamente ridotto l’area della corrispondente nozione, rendendo agevolmente amovibili strutture che, in un recente passato, erano classificate come stabilmente ancorate al suolo.

Inoltre – aggiunge – la concessione de qua è stata rilasciata ai sensi dell’art. 8 del Regolamento navigazione marittima, e dunque non avrebbe potuto essere assentita, se avesse acconsentito alla realizzazione di impianti di difficile rimozione

6.1. Il motivo è infondato.

Va premesso che si tratta di valutazioni tecniche della pubblica amministrazione, permeate da un elevato tasso di discrezionalità e che pertanto possono essere sindacate nei limiti in cui risultino palesemente irragionevoli o frutto di un giudizio dis-funzionale.

Entrambe evenienze – converrà anticiparlo – che non sono riscontrabili nel caso di specie.

6.1.1. Valendosi della circolare prot. n.7162 del 21 febbraio del 2007 dell’Agenzia del Demanio Direzione Area Operativa, si possono utilizzare tre parametri (e cioè: strutturale, funzionale, di ancoraggio al suolo) per individuare la nozione di opere di difficile rimozione.

Da un punto di vista strutturale, possono definirsi opere di difficile rimozione i manufatti che hanno struttura stabile, che sono realizzati in muratura, in cemento armato, o in sistema misto e che presentano un peso rilevante.

Funzionalmente rientrano fra le opere non amovibili quelle che, per essere rimosse, devono essere totalmente o parzialmente distrutte, o la cui rimozione renda comunque impossibile il loro recupero o riutilizzo.

Quanto alla maggiore o minore stabilità del manufatto rispetto al suolo, si ritengono amovibili quelle strutture le cui fondazioni non oltrepassino, verso il basso, il piano di campagna, o che comunque possano essere recuperate, riposizionandole altrove, con una semplice operazione di rimontaggio e con conservazione pressoché integrale delle caratteristiche edilizie. Detto più semplicemente sono amovibili quelle strutture che, ad ogni fine stagione, possono essere facilmente smontate o rimosse.

6.1.2. La parte ha realizzato sull’area demaniale in questione delle opere che – alla luce delle descrizioni contenute nel verbale del testimoniale di stato del 10 dicembre del 2012 – presentano le configurazioni tecnico-costruttive descritte nei paragrafi che seguono.

6.1.2.1. La prima di esse, il blocco uffici e servizi, consiste in un edificio realizzato in calcestruzzo armato, ancorché alleggerito con argilla espansa, che è stato posizionato su travi di basamento interrate.

Pertanto, in relazione a questo manufatto, ricorrono certamente due dei tre caratteri che fanno propendere per la sua qualificazione quale bene non amovibile, e cioè la tecnologia costruttiva (calcestruzzo armato) e il solido ancoraggio al terreno (travi di basamento interrato).

In ragione di queste caratteristiche, l’opera non sarebbe facilmente smontabile, né tanto meno riposizionabile in altra area, conservando le stesse caratteristiche strutturali e funzionali. Pertanto ricorre anche il terzo parametro di riferimento che consente di inglobare senz’altro l’opus in esame nella classificazione attribuitagli dall’amministrazione appellata.

Contrariamente a quanto sostenuto dalla parte appellante, sia la tecnica di costruzione, di tipo misto, calcestruzzo unito a cemento armato, sia il solido ancoraggio al suolo tramite basamento sottostante il piano di campagna, escludono che questo intervento sia di facile amovibilità, anche perché la sua rimozione ne implicherebbe la distruzione o, nella ipotesi migliore, per il suo trasporto sarebbe necessaria una sostanziale destrutturazione del bene che ne azzererebbe le possibilità di recupero funzionale.

6.1.2.2. Il secondo gruppo di opere realizzato sull’area è rappresentato dal compendio immobiliare che comprende la sala ristorante e la cucina, collocate in un edificio monopiano a pianta circolare. Dalla relazione allegata al testimoniale di stato si apprende che il manufatto è costituito da 16 colonne infisse al suolo a mezzo bulloni, fissate ad una piastra in ferro, affogata nel calcestruzzo di un cordolo e in una piattaforma in cemento armato, mediante ancoraggi di ferro, chiuso da pannelli laterali e da un manto impermeabile in tegole canadesi.

Dunque, a parte questi ultimi due elementi, che conferiscono una apparente leggerezza all’edificio, in realtà tutti gli altri rappresentano componenti strutturali, indizi di un manufatto stabilmente installato sul terreno. Soprattutto tutto l’impalco statico-architettonico ruota attorno, oltre che alle colonne infisse al suolo, alla piattaforma in cemento armato che svolge evidentemente il ruolo di base di supporto dell’intera struttura.

Anche in questo caso, dunque, queste caratteristiche costruttive, e, in particolare, il saldo ancoraggio al terreno che presenta, escludono che il compendio in esame possa ritenersi facilmente amovibile e che pertanto si sottragga all’operatività della devoluzione al demanio prevista dall’art. 49 del D.P.R. m.327 del 1942.

6.1.2.3. Infine la terza struttura che è stata oggetto di devoluzione è rappresentata da un magazzino interrato, realizzato sotto la quota di calpestio, consistente, oltre che nel suddetto volume, in un basamento, con muratura in cemento armato

Anche a voler trascurare che, anche in questo caso, si tratta di struttura in cemento armato che, in quanto tale, come nelle altre due ipotesi, é refrattaria ad una amozione che sia in grado di preservarne struttura e funzionalità, il saldo ancoraggio al terreno ed il suo posizionamento al di sotto del piano-campagna, valida il giudizio tecnico dell’amministrazione che ha ritenuto non facilmente amovibile neppure questo intervento.

6.1.2.4. In definitiva, poiché con tutta evidenza, né ciascuno per suo conto, né a maggior ragione tutti e tre i suddetti manufatti avrebbero potuto essere agevolmente rimossi alla fine di ogni stagione estiva – ed infatti non risulta che ciò sia mai stato fatto – anche quest’ultimo dato empirico conferma la correttezza, ad un giudizio estrinseco di legittimità, delle scelte operate in merito dall’amministrazione appellata.

6.2. Ai ridetti elementi di prova tecnici, vanno altresì aggiunti i seguenti ulteriori dati: a) il rappresentante legale della parte appellante, nell’istanza del 28 novembre del 2003 rivolta al comune di Arenzano, avente ad oggetto il rinnovo della concessione, con una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, ha espressamente dichiarato che un’area pari a mq.1599 era occupata da impianti di difficile rimozione, ed è evidente che si riferisse a quelli appena descritti; b) nella stessa concessione rilasciata in data 22 marzo del 2005 è rappresentato che sull’area in concessione esistono edifici di difficile amovibilità; c) fino al 21 marzo del 2012, data dell’incameramento, la stessa parte appellante, senza muovere in merito contestazioni di sorta, ha corrisposto un canone demaniale parametrato alla tariffa prevista per la difficile rimozione.

6.3. Infine, per quel che concerne la natura della concessione rilasciata alla parte che, in quanto concessione per licenza, secondo l’eccezione della parte appellante, non le avrebbe consentito di realizzare interventi di difficile rimozione, le circostanze sopra indicate dimostrano che, in realtà, proprio costei ha inadempiuto a tale prescrizione, essendo processualmente acclarato che siffatta tipologia di opera risulta, al contrario, essere stata realizzata su detta area.

La relativa deduzione, dunque, essendo smentita in fatto, non ha alcuna valenza probatoria, contrariamente a quanto sostenuto dal motivo in esame.

7. Il terzo motivo d’appello contesta il difetto di motivazione del verbale del testimoniale di stato.

Sostiene la parte appellante che dall’atto non sarebbero evincibili le ragioni per le quali dette opere siano state ritenute non amovibili.

7.1. Il motivo è infondato.

A tal proposito va ricordato che il suddetto atto ha un valore meramente ricognitivo perché, con esso, la competente commissione per l’incameramento deve solo verificare che sull’area oggetto della concessione cessata, insistono delle opere che non sono facilmente amovibili e che il concedente non ne ha disposto la demolizione.

Ciò significa che le operazioni materiali con le quali si esercita il relativo potere non si devono necessariamente concludere con un provvedimento amministrativo nel senso stretto del termine; di tal che anche i relativi oneri motivazionali sono meno stringenti rispetto a quelli imposti dall’art. 3 della L. n.241 del 1990.

Infatti l’amministrazione in questo caso non è tenuta ad indicare specificamente i motivi di interesse pubblico che giustificano l’apprensione del bene, eventualmente esplicitando le ragioni che lo fanno prevalere sul corrispondente interesse privato, ma deve solo dare atto dei presupposti, poco sopra ricordati, in presenza dei quali scatta automaticamente, in virtù dell’accessione prevista dalla legge, la devoluzione del bene al demanio. La quale, come pure ricordato, rappresenta la naturale conseguenza della inalienabilità dei beni demaniali.

Nel caso di specie questi ridotti obblighi motivazionali sono stati rispettati. Ed infatti, nel verbale del testimoniale, i predetti beni risultano descritti, dandosi conto delle caratteristiche strutturali e tecniche degli stessi, dalle quali, a sua volta, si desume la non facile amovibilità degli interventi.

In sintesi in quell’atto sono contenuti, in modo esaustivo, tutti gli elementi necessari a far ritenere realizzato l’effetto acquisitivo in favore del demanio, che, al contempo, sono anche idonei a rendere edotto il concessionario delle ragioni dell’apprensione. Il che dequota definitivamente la doglianza in esame.

8. Il sesto motivo d’appello contesta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non ha rilevato la contraddittorietà del provvedimento impugnato con la nota della Capitaneria di porto del 6 marzo del 2013 prot. 320400/10816, la quale, nel sollecitare una risposta alla competente direzione centrale del demanio, rappresentava che l’art. 49 non era applicabile al caso di specie perché non si era verificata una cessazione della concessione.

8.1. Il motivo è infondato innanzitutto perché nella suddetta nota l’organo ufficio non rappresentava la propria definitiva volontà, ma si era limitato a prospettare un quesito all’ente funzionalmente superiore. In quanto mera richiesta di chiarimenti, quell’atto non aveva dunque i requisiti di stabilità e definitività, e dunque tanto meno rispetto ad esso le determinazioni finali assunte dall’amministrazione potevano essere contraddittorie.

8.2. In secondo luogo, anche a voler trascurare il, per vero assorbente rilievo che precede, a tutto concedere la posizione espressa dalla Capitaneria rappresentava una legittima, ancorché erronea, ricostruzione in fatto della fattispecie, alla quale bene fece il provvedimento impugnato a non aderire.

Infatti in detta nota la Capitaneria omise di considerare che la parte appellante aveva ottenuto nel tempo non una sola, ma più concessioni e che l’oggetto della devoluzione riguardava la cessazione degli effetti della prima di esse.

Di conseguenza, anche laddove si volesse ritenere quell’interlocuzione della Capitaneria quale espressione di volontà definitiva, si dovrebbe concludere per la correttezza del successivo operato dell’amministrazione, e, per essa, della commissione di incameramento, che ha ritenuto di discostarsi da essa, motivando sulle ragioni che non consentivano di condividerla.

Dunque nessuna contraddittorietà si rivela nella sua azione, che, al contrario, rivela una coerente correzione di rotta, in seguito ai dovuti approfondimenti istruttori.

In altre parole, a tutto concedere, il provvedimento impugnato si sarebbe discostato, opportunamente motivando dalla pregressa posizione della sua articolazione periferica, e questo solo fatto certamente non può integrare il vizio di contraddittorietà della determinazione così assunta.

9. Il settimo motivo d’appello contesta alle amministrazioni, e per essa, alla sentenza impugnata, di non aver applicato al procedimento di devoluzione – che la parte appellante riteneva essere in corso nel 2020, perché il verbale di incameramento non era ancora stato redatto – il comma 2 dell’art. 182 del d.l. n.34/2020, convertito in legge n. 77 del 2020, a norma del quale le amministrazioni non potevano avviare, o comunque proseguire, nei confronti dei concessionari che volessero continuare la loro attività, i procedimenti amministrativi di cui all’art. 49 del codice della navigazione.

9.1. Il motivo è infondato perché, come correttamente ritenuto dal primo giudice, la suddetta norma non era applicabile al caso di specie.

Infatti, come ricordato sopra, la vicenda acquisitiva riguardante la presente controversia risale ad anni orsono; come detto, essa, nell’ipotesi più benevola per la parte appellante, risalirebbe al 2003, se non addirittura al 1998.

Ciò esclude che, al momento dell’entrata in vigore del citato decreto legge n. 34/2020, il relativo procedimento devolutivo fosse ancora pendente con conseguente inapplicabilità della moratoria da esso prevista.

9.2. Tanto meno il fatto che il verbale di incameramento non fosse stato ancora redatto implica che il relativo procedimento non si fosse concluso.

L’obiezione in esame, infatti, omette di considerare che la relativa operazione amministrativa ha, come poc’anzi osservato, natura meramente dichiarativa e che il comma 2 dell’art. 182 del citato decreto legge n.34 fa espresso riferimento alla devoluzione delle opere (la frase testuale è “impedisce il verificarsi della devoluzione delle opere”), ossia limita temporalmente l’operatività della sospensione disponendola fino alla (e non oltre la) verificazione dell’effetto acquisitivo, effetto che, nel caso di specie, si era invece irreversibilmente già verificato al momento dell’entrata in vigore della legge, conseguentemente impedendo l’applicazione della moratoria.

10. L’ottavo motivo d’appello contesta alla sentenza impugnata la violazione dell’art. 267 del TFUE.

A parere dell’appellante, per come interpretata dall’amministrazione, con lettura validata dal primo giudice, la disciplina prevista dall’articolo 49 del codice della navigazione contrasterebbe con gli articoli 49 e 56 del TFUE.

A tal proposito, la parte appellante rappresenta che, nel periodo intercorrente tra il 31 dicembre del 2018 e il 9 novembre del 2021, ha sostenuto spese per complessivi euro 960.616,55 ai quali vanno sommati impegni economici per esposizione verso le banche, per complessivi euro 1.155.000,00; il che, tenuto conto dell’esistenza di debiti residui a medio termine, per euro 164.617,40, prospetta un piano di ammortamento riassorbibile non prima del 31 dicembre del 2033.

Ciò premesso, la doglianza in esame ricorda che la sentenza CGUE del 14 luglio del 2016, dopo aver ritenuto l’illegittimità, per contrasto con l’art. 12 paragrafi 1 e 2 della Direttiva 2006/123/CE, di una generalizzata proroga automatica delle autorizzazioni demaniali, ha statuito comunque che ogni proroga deve essere fondata sul principio del legittimo affidamento, previa valutazione caso per caso, ossia che è autorizzabile, purché si dimostri che il titolare poteva legittimamente aspettarsi il rinnovo della propria autorizzazione e che, a conferma, abbia effettuato i relativi investimenti.

Poiché nella fattispecie – aggiunge la parte appellante – sussistono entrambi i presupposti, perché ella è titolare di un legittimo affidamento sulla scadenza del titolo al 31 dicembre del 2033 ed ha dimostrato di avere effettuato i relativi investimenti, la durata della concessione deve tener conto della necessità di ammortizzare le spese sostenute, e di remunerare i capitali investiti.

Laddove, in ragione del meccanismo acquisitivo previsto dall’art. 49 del codice della navigazione, tale possibilità non le venisse garantita, venendo privata dei beni attraverso i quali gestiva la suddetta attività, si dovrebbe concludere per l’illegittimità unionale della relativa disciplina.

10.1. Il motivo è infondato.

La sentenza della III Sezione della Corte di giustizia UE dell’11 luglio del 2024, n. 598 ha infatti ritenuto non fondata la relativa questione di pregiudizialità, affermando, in particolare, che “Poiché il primo comma dell’articolo 49 TFUE prevede espressamente la possibilità di derogare per contratto al principio dell’acquisizione immediata senza alcun indennizzo o rimborso delle opere non amovibili costruite dal concessionario sul demanio pubblico marittimo, tale disposizione evidenzia la dimensione contrattuale, e dunque consensuale, di una concessione di occupazione del demanio pubblico. Ne consegue che l’acquisizione immediata, gratuita e senza indennizzo delle opere non amovibili costruite dal concessionario su tale demanio non può essere considerata come una modalità di cessione forzosa delle opere suddette.

La Corte ha poi sottolineato che “La questione se si tratti di un rinnovo o della prima attribuzione di una concessione non può avere alcuna incidenza.”

La pronuncia ha ribadito che la devoluzione al demanio dei beni realizzati sull’area in concessione, quale conseguenza della inalienabilità del demanio, rende ontologicamente precari, non solo l’occupazione dell’area, ma anche il possesso dei beni edificati dal concessionario sul sito.

L’origine consensualistica del rapporto concessorio rende pienamente intellegibile al concessionario quale contenuto esso abbia, compresa la suddetta naturale temporaneità del possesso del bene demaniale nonché delle opere ivi installate.

La consapevolezza dell’indicata temporaneità della disponibilità dei beni e della loro destinazione allo Stato conduce pacificamente ad escludere che sia ravvisabile, in capo al concessionario, un legittimo affidamento, comportante pretese di carattere patrimoniale.

Non vi è legittimo affidamento anche perché, come pure specificato dalla CGUE, diversamente da quello che accade per la diversa fattispecie della concessione per la gestione del gioco d’azzardo, oggetto di altra decisione dell’organo U.E. (Cd. sentenza Laezza Causa C375-14 del 28 gennaio del 2016), dove i beni strumentali che passano in proprietà dello Stato sono originariamente in proprietà dei concessionari, la devoluzione prevista dall’art. 49 del codice della navigazione non presenta natura sanzionatoria, né ha valore di acquisizione forzosa, ma costituisce coerente manifestazione dell’ordinario effetto accessivo, conseguente alla naturale inalienabilità di tutto ciò che appartiene al demanio statale.

10.2. Non essendo configurabile un affidamento legittimo in capo alla parte appellante, quindi, è infondata anche la prospettata richiesta di risarcimento dei danni asseritamente patiti in relazione ai costi sostenuti e agli impegni assunti per la realizzazione delle opere.

10.2.1. In ogni caso, non essendo stata dimostrata alcuna illegittimità negli atti e nei comportamenti assunti dall’ amministrazione appellata, mancano, nella fattispecie, gli elementi costitutivi del fatto illecito di cui all’art. 2043 del codice civile.

Né risulta ascrivibile all’amministrazione una condotta violativa dei canoni di correttezza e di buona fede, tale da determinare una lesione della sfera giuridico patrimoniale della società appellante.

11. Quanto all’ulteriore obiezione opposta in via subordinata, con la quale la parte rappresenta di aver sostenuto dei costi per la realizzazione di opere, calcolati in ragione di un periodo di ammortamento protratto fino al 2033, in disparte che la stessa, per come formulata, non trova fondamento nel diritto unionale, per quanto poc’anzi considerato, si osserva che, verosimilmente, parte di questi ultimi, potranno/dovranno essere calcolati a rivalersi, nell’ambito della gara che dovrà essere bandita, a carico del futuro concessionario.

Il che significa che la corrispondente pretesa non ha da essere esercitata in questa sede processuale, anche perché, a quanto consta, il decreto ministeriale del Ministro delle Infrastrutture che è in corso di approvazione in sede governativa, introdurrà dei nuovi criteri per la determinazione degli indennizzi da corrispondere al termine delle concessioni, calcolati sugli investimenti effettuati e non ancora ammortizzati maggiorati, per quanto riguarda quelli effettuati nell’ultimo quinquennio, da un’equa remunerazione. Decreto che, evidentemente, una volta approvato, fungerà da parametro, sia in relazione all’”an” che al “quantum” della pretesa che la parte appellante potràe far valere nei confronti dell’amministrazione, in una sede diversa da quella processuale odierna.

12. In definitiva questi motivi inducono al rigetto dell’appello.

I profili di novità delle questioni giuridiche esaminate, correlate anche alla soluzione di questioni pregiudiziali sottoposte all’esame della CGUE, giustificano la compensazione delle spese processuali del grado.

CONSIGLIO DI STATO, VII – sentenza 06.08.2025 n. 6966 

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