Previdenza e assistenza – Fatti concludenti e risoluzione del rapporto di lavoro

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1. Il primo motivo di ricorso è fondato.

2. E’, innanzitutto, doveroso ricordare che «Nel giudizio di legittimità possono essere prodotti esclusivamente i documenti che l’interessato non sia stato in grado di esibire nei precedenti gradi di giudizio, sempre che essi non costituiscano “prova nuova” e non comportino un’attività di apprezzamento circa la loro validità formale e la loro efficacia nel contesto delle prove già raccolte e valutate dai giudici di merito» (Sez. 2, n. 42052 del 19/06/2019, PMT c/Moretti, Rv. 277609 – 01).

Ne consegue che, essendo il decreto di citazione a giudizio del precedente difensore dell’imputata (avv. Marras) in relazione all’ipotizzato reato di cui all’art. 481 cod. proc. pen. un elemento nuovo, indubbiamente pertinente ai fatti di cui è processo, ma che necessita un’attività di apprezzamento nel contesto delle prove raccolte nel giudizio di merito, detto documento non potrà essere direttamente utilizzato in questa sede di legittimità.

3. Risulta dalla sentenza impugnata che la difesa dell’imputata aveva eccepito in sede di gravame la nullità della procura speciale rilasciata all’avv. Ninetto Marras in data 14 febbraio 2019 in forza della quale il predetto difensore aveva chiesto ed ottenuto l’accesso della R.L. al rito abbreviato, assumendo che la firma dell’imputata era apocrifa e che la stessa non aveva mai prestato il proprio consenso alla definizione del procedimento con rito abbreviato avendo appreso di ciò solo dopo la revoca del mandato difensivo e successivamente alla presa visione dei documenti contenuti nel fascicolo processuale.

La Corte di appello (v. pagg. 9 e 10 della sentenza impugnata) dopo avere trattato del regime giuridico degli atti pubblici e delle scritture autenticate o riconosciute, ha affermato che l’attestazione di autenticità («la sovraestesa firma è autentica») contenuta nella procura rilasciata al difensore per l’accesso al rito abbreviato rientra nell’alveo del disposto dell’art. 2703 cod. civ. con la conseguenza che l’accertamento della dedotta falsità non potrebbe che avvenire a seguito della proposizione di una formale querela di falso, nel caso in esame non proposta, con la conseguenza che è del tutto irrilevante la circostanza che la firma appaia ictu oculi non riconducibile alla R.L. o che la falsità della sottoscrizione risulti dalla consulenza depositata dalla difesa.

La stessa Corte di appello ha, inoltre, aggiunto che non appare fondato l’assunto difensivo secondo il quale l’imputata venne a conoscenza del fatto che si procedeva con rito abbreviato solo quando ebbe la possibilità di prendere visione degli atti dato che, come detto, era stata presente alla udienza nella quale era stata raccolta la testimonianza di un teste alla cui ammissione era stata condizionata la richiesta di accesso al rito.

Ritiene, innanzitutto, il Collegio di ricordare che «Integra il reato di falso ideologico in certificati commesso da persona esercente un servizio di pubblica necessità (nella specie avvocato, art. 481 cod. pen.), la falsa attestazione dell’autenticità della sottoscrizione della procura “ad litem”» (Sez. 5, n. 6348 del 08/01/2021, Santarossa, Rv. 280420 – 01; Sez. 5, n. 15556 del 09/03/2011, Bruzzese, Rv. 250181 – 01).

L’avvocato o procuratore legale che autentica la sottoscrizione del mandato ad litem redatto in calce o a margine di taluni atti processuali (art. 83 cod. proc. civ.) assume la qualifica di pubblico ufficiale solo in quanto eserciti la corrispondente pubblica funzione certificatrice nelle forme essenziali perché l’atto di autenticazione da lui redatto possa valere come atto pubblico facente piena prova fino a querela di falso, vale a dire soltanto se egli attesti espressamente che la sottoscrizione e stata apposta in sua presenza previo accertamento della identità del sottoscrittore (art. 2703 cod. civ.), per modo che la falsità ideologica nella autenticazione può considerarsi commessa da pubblico ufficiale in atto pubblico (art. 479 cod. pen.) soltanto se esiste la predetta specifica attestazione. Se, invece, il difensore si limiti ad una mera declaratoria di genuinità della firma, egli enuncia una mera dichiarazione di verità in ordine a un fatto risultante dal documento, e pertanto, in mancanza delle condizioni formali essenziali perché in tale attestazione egli assume la persona esercente un servizio di pubblica necessita (art. 359 n. 1,cod. pen.): in tale caso la falsa dichiarazione di autografia costituisce il delitto previsto dall’art. 481 cod. pen. (falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessita) (Sez. 1, n. 839 del 09/10/1964, De Angelis, Rv. 099327 – 01).

Tutto ciò doverosamente premesso, ricorda il Collegio che questa Corte di legittimità ha già avuto modo di stabilire che «Qualora venga dedotta la falsità di un atto fidefacente (nella specie, un certificato medico), rilevante nel giudizio quale prova, il giudice penale deve verificare la fondatezza della questione e decidere su di essa in via incidentale nell’ambito del procedimento stesso; ne consegue che tale decisione non determina alcun effetto preclusivo da giudicato al fine di non pregiudicare l’accertamento eventuale di responsabilità per il delitto di falso» (Sez. 6, n. 26026 del 22/03/2018, L., Rv. 273415 – 01).

Nella motivazione della sentenza appena citata, sono state chiarite le modalità attraverso le quali il falso di un atto fidefacente è destinato a trovare ingresso nel giudizio penale precisando che l’accertamento che il giudice penale è chiamato a svolgere sulla falsità dell’atto nell’esercizio dei poteri suoi propri ha carattere incidentale, risultando definito nei termini e per gli effetti di cui all’art. 2, primo e secondo comma, cod. pen.

In sostanza, il giudice penale, chiamato a pronunciare sulla falsità di un documento fidefacente che rileva nel giudizio deve verificare la fondatezza della questione e decidere su di essa in via incidentale nell’ambito del procedimento stesso senza che la sua decisione faccia stato in altro processo al fine di non pregiudicare l’accertamento eventuale di responsabilità per il delitto di falso (Sez. 5, n. 38240 del 02/10/2002, Giardino, Rv. 222940).

La natura incidentale, con conseguente preclusione di ogni vincolo da giudicato, dell’accertamento condotto dal giudice penale quando il documento fidefacente non sia oggetto principale del giudizio, rinviene la propria giustificazione nella necessità che un giudicato sulla falsità dell’atto non intervenga all’esito di un giudizio rispetto al quale sia rimasto estraneo il suo preteso autore, che abbia conservato la posizione di mero terzo. Per l’esercizio dei poteri di cognizione suoi propri, il giudice penale è quindi chiamato a valutare del documento di cui si deduca la falsità la decisività.

E’ pertanto da considerarsi errata la prospettiva con cui la Corte territoriale ha onerato l’imputata della proposizione della querela di falso per l’accertamento incidentale della non genuinità della sottoscrizione della procura speciale al difensore per l’accesso al rito, ciò in quanto la Corte di appello avrebbe potuto e dovuto compiere direttamente gli accertamenti del caso al fine di dare risposta al motivo di gravame alla stessa sottoposto.

Corretta appare, inoltre, l’affermazione difensiva secondo la quale la mera presenza dell’imputata in una delle udienze nelle quali si è sviluppato il procedimento di primo grado non potrebbe certo valere come elemento tale da consentire la ratifica successiva all’accesso al rito perché è di tutta evidenza che la condizione processuale per l’accesso al rito (nella specie la presenza di una procura speciale rilasciata al difensore) doveva sussistere al momento del provvedimento di ammissione e l’eventuale vizio non poteva di certo essere sanato in un momento successivo.

Non compete a questa Corte di legittimità stabilire se la procura speciale di cui si discute porti in calce una sottoscrizione autentica (o meno) dell’imputata, trattandosi di una valutazione di merito che deve conseguire ad uno specifico accertamento processuale, ma è di tutta evidenza che tale accertamento nel caso in esame, ancorché richiesto, non risulta essere mai stato fatto, il che vizia la sentenza impugnata.

A ciò si aggiunge anche il profilo del vizio di motivazione sul punto della sentenza impugnata che, erroneamente respingendo per ragioni processuali la doglianza difensiva sulla falsità della sottoscrizione in calce alla procura rilasciata al difensore, ha finito per non spiegare le ragioni per le quali l’esito della consulenza grafologica di parte prodotta dalla difesa non è da ritenersi attendibile.

Quanto detto, impone l’annullamento della sentenza impugnata per un nuovo giudizio sul punto con rinvio alla Corte di appello di Cagliari.

2. Il secondo motivo di ricorso è, invece, manifestamente infondato.

Risulta, infatti, dalla sentenza impugnata (pagg. 10 e 11) che la querela depositata da C. S., a mezzo del fratello G., in data 19 maggio 2016 ai Carabinieri della Stazione di .., è stata poi integralmente ratificata dalla persona offesa in data 24 maggio 2016. Sul punto questa Corte di legittimità ha già avuto modo di precisare che «E’ valida la querela presentata da soggetto non legittimato in presenza di tempestiva ratifica da parte del soggetto legittimato, implicando tale atto successivo il recepimento integrale, con effetto “ex tunc”, della manifestazione di volontà contenuta nell’atto precedente» (Sez. 2, n. 35023 del 09/10/2020, PG c/Lo Grande, Rv. 280303 – 01).

Non risulta poi da alcun elemento, né parte ricorrente ne ha chiarito le ragioni, per le quali la querela originaria (che vale a confermare l’esistenza della condizione di procedibilità) non sarebbe stata tempestivamente presentata, né ha spiegato parte ricorrente l’incidenza che avrebbe nella vicenda l’integrazione della querela presentata il 31 agosto 2016, il che caratterizza di genericità e, conseguentemente, di inammissibilità tale profilo di ricorso.

3. Manifestamente infondato è, altresì, il terzo motivo di ricorso avendo la Corte territoriale (pagg. 11 e 12 della sentenza impugnata) debitamente motivato circa la positiva valutazione di attendibilità della persona offesa dal reato oltre che indicato gli elementi ritenuti riscontranti le dichiarazioni del S.

Inoltre, detta motivazione, non è certo apparente, né “manifestamente” illogica e tantomeno contraddittoria.

Per contro deve osservarsi che parte ricorrente, sotto il profilo del vizio di motivazione e dell’asseritamente connessa violazione di legge nella valutazione del materiale probatorio, tenta in realtà di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito.

In tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono, infatti, deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965).

A ciò si aggiunge che, in tema di prove, la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che, come tale, non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni (Sez. 2, n. 41505 del 24/09/2013, Terrusa, Rv. 257241), vizio non rilevabile nel caso in esame.

4. Deve, infine, rilevarsi che la non manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso ha comportato la corretta instaurazione del giudizio innanzi a questa Corte di legittimità con la conseguenza che, ad oggi, il termine di prescrizione del residuo reato in contestazione all’imputata risulterebbe essere decorso.

Infatti, essendo il momento di decorrenza della prescrizione al più tardi collocabile al 19 maggio 2016 (non 2015 come erroneamente indicato nel capo di imputazione), tenuto conto degli eventi interruttivi e dei periodi di sospensione, detto termine risulta maturato il 28 settembre 2024.

Non può tuttavia questa Corte dichiarare allo stato l’estinzione del reato in quanto, essendovi la presenza di costituita parte civile alla quale all’esito del giudizio di primo grado, irritualmente celebrato, è stato riconosciuto il diritto al risarcimento del danno, l’annullamento operato comporta una nuova valutazione dell’intera vicenda procedimentale che può avere incidenza anche sulle statuizioni relative alla parte civile.

Cass. pen., II, ud. dep. 25.07.2025, n. 27486

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