1. Questi i fatti per cui è causa.
La Flaminia Investimenti S.r.l. è titolare, a seguito di acquisto avvenuto nel 2008, di un immobile sito in via Flaminia n. 591, condotto in locazione dalla Toscano Immobiliare s.p.a., che se ne avvale per l’esercizio di attività di agenzia immobiliare.
Tale bene è stato interessato da interventi edilizi straordinari di demolizione e ricostruzione, giusta denuncia di inizio attività del 28.02.2008 e relativa documentazione di asseverazione degli interventi.
Il giorno 28.01.2016, la Polizia Locale di Roma Capitale ha eseguito un sopralluogo nei locali, a seguito del quale è stato riscontrato un “utilizzo ad uso ufficio del piano SI”.
Quindi, con atto dirigenziale n. 475/2016, la Direzione Tecnica del XV Municipio ha contestato la sussistenza di una “violazione urbanistico edilizia consistente nel cambio di destinazione d’uso del locale sottostante al negozio, allestito ad uso ufficio con diverse postazioni informatiche per il personale e impianti di condizionamento”. Contestualmente ha ingiunto l’immediata sospensione dei lavori e ha dato l’avviso di avvio del procedimento ai sensi degli artt. 7 e ss. L. 241/1990.
Il 31 maggio successivo la Flaminia Investimenti ha inviato le proprie osservazioni e il 7 dicembre 2017 la Direzione Tecnica ha emesso la determinazione di ingiunzione, rep. 1744/2017, con cui ha ordinato la rimozione o la demolizione degli abusi di cui è causa.
Nelle more, il procedimento penale per abuso edilizio è stato archiviato.
Con il ricorso in esame, la Società ha chiesto l’annullamento della predetta determina n. 1744/2017.
A sostegno della propria domanda ha articolato i motivi sintetizzati come segue:
– “I. Violazione / falsa applicazione art. 27 D. Lgs. 380 (2001 — violazione / falsa applicazione art. 2 L. 241/1990 — decadenza termini — annullamento”: la determina sarebbe stata adottata in data 5.05.2016, mentre il provvedimento in questa sede impugnato risale al 7.12.2017. Pertanto sarebbero trascorsi 19 mesi in luogo dei 45 giorni di cui all’art. 27 comma 3 D. Lgs. n. 380/2001 tra il provvedimento cautelare e quello definitivo;
– “II. Violazione / falsa applicazione art. 10 legge 241/1990 — vizio di motivazione — annullamento”: la D.D. n. 1744/2017 con cui il Municipio Roma XV ha concluso il proprio iter procedimentale comminando l’ingiunzione alla rimessione in pristino del sottonegozio non menzionerebbe le controdeduzioni della società del 31 maggio 2016, non prendendo quindi alcuna posizione sul loro contenuto;
– “III. Eccesso di potere — travisamento dei fatti — erronea presupposizione — illegittimità del provvedimento”: la presenza di postazioni computer e di un impianto di condizionamento non sarebbero elementi sufficienti ad avvalorare una tesi di cambio di destinazione d’uso di immobile.
Si è costituita Roma Capitale contestando tutto quanto ex adverso dedotto.
In estrema sintesi ha sostenuto che secondo giurisprudenza consolidata, il decorso del termine di quarantacinque giorni previsto dall’art. 27, comma 3, D. Lgs. n. 380/2001, non comporterebbe la decadenza del potere sanzionatorio dell’Amministrazione, che rimarrebbe esercitabile in ogni tempo in presenza di abusi accertati (T.A.R. Lazio, sez. II, 14 dicembre 2023, n. 18976).
Inoltre la giurisprudenza avrebbe affermato il principio per cui: “L’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce attività vincolata della pubblica amministrazione e, pertanto, i relativi provvedimenti, quali l’ordinanza di demolizione, costituiscono atti vincolati per la cui adozione non è necessario l’invio di comunicazione di avvio del procedimento, non essendovi spazio per momenti partecipativi del destinatario dell’atto” (Consiglio di Stato sez. II, 16/05/2024, n.4366).
Tale principio escluderebbe anche l’obbligo per l’Amministrazione di valutare espressamente le memorie difensive eventualmente presentate dal destinatario.
Sul punto, l’Adunanza Plenaria avrebbe statuito che: “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo […] non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) […], neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi” (Adunanza Plenaria, 17 ottobre 2017, n. 9).
Infine, l’accertamento effettuato dagli organi di vigilanza avrebbe evidenziato la presenza di un ambiente attrezzato a uso ufficio, con postazioni informatiche, sedute operative e impianto di climatizzazione, idoneo a configurare un effettivo mutamento della destinazione funzionale da sotto negozio a zona lavorativa. In base all’art. 23-ter del d.P.R. n. 380/2001, infatti, costituirebbe mutamento rilevante ogni variazione della finalità d’uso di un’unità immobiliare comportante il passaggio tra diverse categorie funzionali (residenziale, turistico-ricettiva, commerciale, direzionale, produttiva, rurale), anche in assenza di opere edilizie.
All’udienza di smaltimento dell’arretrato dell’11 luglio 2025 la causa è stata trattenuta in decisione.
2. Il ricorso è infondato e deve essere respinto per le ragioni che si vengono ad illustrare.
3. Con il primo motivo, parte ricorrente deduce l’illegittimità del provvedimento gravato, in quanto sarebbe stato adottato oltre il termine di 45 giorni tra il provvedimento cautelare e quello definitivo previsto dall’art. 27 comma 3 D. Lgs. n. 380/2001.
La censura è infondata.
Come pacificamente ritenuto dalla giurisprudenza, infatti, “Il decorso del termine di 45 giorni dall’adozione del provvedimento di sospensione dei lavori determina unicamente la perdita di efficacia del provvedimento cautelare, ma non incide sulla legittimità della successiva ordinanza di demolizione, della quale il primo non rappresenta nemmeno un antecedente necessario che il privato abbia l’onere di impugnare. L’ordinanza di sospensione dei lavori, infatti, è un provvedimento eccezionale a finalità cautelare, destinato a perdere comunque efficacia laddove, a seguito dello spirare del termine di 45 giorni, l’amministrazione non abbia emanato alcun provvedimento sanzionatorio definitivo, mentre, nell’ipotesi in cui il provvedimento sanzionatorio sia stato emanato, è in virtù di quest’ultimo che viene a determinarsi la lesione della sfera giuridica del destinatario, con conseguente assorbimento dell’ordine di sospensione dei lavori” (cfr. Consiglio di Stato n. 5605/2024. Nello stesso senso, TAR Roma n. 18976/2023).
In buona sostanza, quindi, il decorso del termine di quarantacinque giorni previsto dall’art. 27, comma 3, citato, non comporta la decadenza del potere sanzionatorio dell’Amministrazione, che rimane esercitabile in ogni tempo in presenza di abusi accertati.
Pertanto la censura non può trovare accoglimento.
4. Con il secondo motivo, parte ricorrente assume che il provvedimento sarebbe viziato per difetto di motivazione in quanto non menzionerebbe le controdeduzioni della società del 31 maggio 2016, non prendendo quindi alcuna posizione sul loro contenuto.
Anche questa censura non può essere condivisa.
In relazione all’obbligo di motivazione, è pacifico l’orientamento giurisprudenziale che afferma che: “Il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino” (ex multis: C. di St. n. 3934/2025; n. 374/2025).
E’ stato ulteriormente precisato che “l’attività di repressione degli abusi edilizi ha natura vincolata, con la conseguenza che l’ordinanza di demolizione costituisce un atto dovuto e rigorosamente vincolato, dove la repressione dell’abuso corrisponde per definizione all’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi illecitamente alterato; per l’effetto, il provvedimento ripristinatorio è già dotato di un’adeguata e sufficiente motivazione, consistente nella descrizione delle opere abusive e nella constatazione della loro abusività, senza che il decorso del tempo possa implicare il radicarsi di alcun legittimo affidamento, la cui tutela presuppone provvedimenti amministrativi favorevoli che generino aspettative e non può pertanto operare in carenza di titolo” (cfr. TAR Roma n. 794/2025).
Non riveste pertanto rilevanza la circostanza dedotta dalla parte ricorrente che lamenta che il provvedimento de quo non avrebbe preso posizione sui chiarimenti resi dall’odierna ricorrente, atteso che, come visto, l’ordinanza di demolizione non richiede una specifica motivazione circa le ragioni della sanzione, essendo sufficiente, a tal fine, la constatazione della natura abusiva del manufatto.
5. Neppure può essere accolto il terzo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente contesta la sussistenza di un cambio di destinazione.
Invero, l’art. 23-ter del d.P.R. n. 380/2001 prevede che costituisce mutamento rilevante ogni variazione della finalità d’uso di un’unità immobiliare comportante il passaggio tra diverse categorie funzionali (residenziale, turistico-ricettiva, commerciale, direzionale, produttiva, rurale), anche in assenza di opere edilizie.
La giurisprudenza sul punto ha evidenziato che:
– Il cambio di destinazione d’uso consiste nella modifica della finalità di utilizzo di un’unità immobiliare ed è urbanisticamente rilevante laddove si richieda il passaggio a una diversa categoria funzionale, nell’ambito di quanto disposto dall’ art. 23-ter d.P.R. n. 380 del 2001, secondo cui, salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d’uso ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra le seguenti: a) residenziale; a-bis) turistico-ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale. Ne deriva la legittimità dell’ingiunzione di demolizione di un sottotetto avente in origine destinazione produttiva, poi mutata in residenziale/abitativa, dal momento che il cambio di destinazione d’uso comporta un aumento del carico urbanistico e configura un intervento di ristrutturazione edilizia, con modifiche dell’assetto della costruzione (Consiglio di Stato n. 7609/2024);
– Il mutamento di destinazione d’uso di un immobile che determini, dal punto di vista urbanistico, il passaggio tra diverse categorie in rapporto di reciproca autonomia funzionale comporta inevitabilmente un differente carico ed un maggiore impatto urbanistico, da valutare in relazione ai servizi e agli standard ivi esistenti; tale cambio di destinazione d’uso tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee comporta la necessità di un previo permesso di costruire, senza che rilevi l’avvenuta esecuzione di opere strutturali, essendo a tal fine sufficiente la sussistenza di elementi univoci idonei ad imprimere chiaramente ed inequivocabilmente la diversa destinazione, rilevando l’uso che dell’immobile viene fatto in concreto, anche laddove tale uso sia evincibile dalla mera apposizione di mobilio che risulti inequivocabilmente incompatibile con l’originaria destinazione e chiaramente funzionale ad una diversa destinazione (T.A.R. Ancona n. 688/2024).
Orbene, nella fattispecie in esame, gli accertamenti eseguiti dalla Polizia Locale hanno evidenziato e documentato in modo puntuale l’allestimento del piano interrato con postazioni informatiche, sedute operative, scrivanie e impianto di climatizzazione.
Tali elementi materiali rappresentano concretamente l’organizzazione di un ambiente di lavoro stabile, funzionalmente destinato ad attività di ufficio, costituente passaggio dalla categoria funzionale commerciale a cui era destinato il sotto negozio, a categoria direzionale.
Trattasi, dunque, di un mutamento urbanisticamente rilevante in assenza di titolo abilitativo, seppure senza realizzazione di opere edilizie, e, in quanto tale, sanzionabile ai sensi degli artt. 33 del d.P.R. n. 380/2001 e 16 della L.R. Lazio n. 15/2008.
6. In conclusione il ricorso è infondato e deve essere respinto.
7. La spese possono essere compensate.
TAR LAZIO – ROMA, II BIS – sentenza 25.07.2025 n. 14807