1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Firenze ha sollevato, in riferimento agli artt. 2,3,13 e 32 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 579 cod. pen., nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge n. 219 del 2017, attui materialmente la volontà suicidaria, autonomamente e liberamente formatasi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente, quando la stessa persona, per impossibilità fisica e per assenza di strumentazione idonea, non possa materialmente procedervi in autonomia o quando comunque le modalità alternative di autosomministrazione disponibili non siano accettate dalla persona sulla base di una scelta motivata che non possa ritenersi irragionevole.
1.1.– Il rimettente espone di essere chiamato a giudicare sul ricorso per provvedimento d’urgenza, ai sensi dell’art. 700 cod. proc. civ., presentato da M. S., persona affetta da sclerosi multipla a decorso progressivo primario, la quale chiede sia accertato il proprio «diritto fondamentale ad autodeterminarsi nelle scelte terapeutiche in materia di fine vita, nella sua declinazione del diritto di scegliere, in modo libero, consapevole e informato, di procedere alla somministrazione del farmaco letale in modalità eteronoma e dunque da parte del personale sanitario».
Il giudice a quo riferisce che la ricorrente versa nelle condizioni individuate da questa Corte, con la sentenza n. 242 del 2019, per l’accesso al suicidio medicalmente assistito, tanto essendo stato verificato dalla competente azienda sanitaria, su parere favorevole del comitato etico territorialmente competente.
Il rimettente aggiunge tuttavia che M. S., la cui malattia è progredita fino a completa tetraparesi, non è in grado di attivare manualmente la pompa infusionale del farmaco letale, sicché, non essendo disponibili sul mercato dispositivi di autosomministrazione azionabili con la voce o con movimenti della bocca o degli occhi, ella chiede che le venga riconosciuto il diritto di ricorrere alla somministrazione da parte di un terzo, indicato nella persona del suo medico di fiducia.
Il Tribunale di Firenze precisa infine che, pur essendo teoricamente possibile l’assunzione del farmaco per via orale, M. S., essendo affetta da disfagia, rifiuta questa modalità alternativa, perché rischiosa, e chiede di poter attuare la propria volontà di congedo dalla vita con una somministrazione per via endovenosa.
1.2.– Circa la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale, il rimettente assume che nulla osti sul piano dell’ammissibilità dell’invocata tutela cautelare, essendo la progressione della malattia neurodegenerativa incompatibile con i tempi della cognizione ordinaria, e avendo la ricorrente urgenza di sentire affermata la liceità dell’eterosomministrazione del farmaco, onde poter attuare l’eventuale scelta di fine vita.
Sempre ad avviso del rimettente, il giudizio principale e il giudizio incidentale non avrebbero petita coincidenti, le questioni di legittimità costituzionale riguardando una norma penale che incrimina la condotta del terzo, laddove il giudizio principale concerne l’accertamento del diritto della ricorrente all’autodeterminazione.
Nel medesimo tempo, la sanzione prevista dall’art. 579 cod. pen. per l’omicidio del consenziente impedirebbe alla ricorrente di ottenere la cooperazione di un terzo nell’attuazione materiale del proposito suicidario.
L’indisponibilità di un dispositivo di autosomministrazione del farmaco azionabile con la voce, tramite la bocca o con gli occhi renderebbe attuali le questioni, insieme al non irragionevole rifiuto della paziente di una modalità alternativa – l’assunzione orale – non immune da rischi e complicanze.
1.3.– La motivazione della non manifesta infondatezza delle questioni si basa sulla considerazione che la struttura sanitaria pubblica ha ritenuto che M. S. si trovi nelle condizioni previste dalla sentenza n. 242 del 2019, ipotesi nella quale è tutelato il diritto di autodeterminazione del malato tramite il suicidio medicalmente assistito, e sulla considerazione altresì che l’art. 579 cod. pen., nella parte in cui non esime da punibilità chi attui materialmente l’altrui volontà suicidaria nelle condizioni identificate dal caso di specie, impedisca al paziente di realizzare la sua scelta di fine vita in conseguenza di un dato puramente accidentale, qual è la compromissione dell’uso delle mani determinata dalla progressione della malattia.
Sarebbe dunque violato l’art. 3 Cost., per l’irragionevole disparità di trattamento che verrebbe a prodursi tra malato e malato, i quali pure versino in situazioni sostanzialmente identiche.
Sarebbero violati anche gli artt. 2,13 e 32 Cost., perché l’assolutezza del divieto sancito dall’art. 579 cod. pen. impedirebbe a chiunque di soccorrere il paziente nell’attuazione di una legittima scelta di fine vita, che il paziente stesso non è in grado di realizzare da sé.
2.– Va anzitutto ribadita l’ammissibilità dell’intervento di V. L. e M. G., per le ragioni indicate nell’ordinanza dibattimentale, letta in udienza e allegata alla presente sentenza.
3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio tramite l’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato plurime eccezioni di inammissibilità.
Analoghe eccezioni hanno formulato gli intervenienti V. L. e M. G., con argomenti che ricorrono anche in alcune opinioni degli amici curiae.
Involgenti i requisiti della rilevanza, dell’incidentalità e della pregiudizialità, tali eccezioni possono così sintetizzarsi:
1) sarebbe inammissibile la domanda cautelare avanzata nel giudizio principale, in quanto diretta a un accertamento non connesso a un interesse ad agire, atteso il carattere meramente soggettivo del dubbio manifestato dalla ricorrente;
2) la controversia nel cui ambito è stata emessa l’ordinanza di rimessione sarebbe una lis ficta, preordinata unicamente al promuovimento della questione di legittimità costituzionale, non essendovi invero differenza tra l’oggetto del giudizio principale e quello del giudizio incidentale;
3) l’accertamento chiesto da M. S. riguarderebbe una norma penale, sull’omicidio del consenziente, a lei inapplicabile quale soggetto passivo, una norma quindi estranea all’oggetto del procedimento ex art. 700 cod. proc. civ. che ella ha instaurato;
4) la pronuncia del giudice della cautela civile, ove pure di accoglimento della domanda di accertamento, sarebbe inidonea a vincolare l’autorità giudiziaria penale in ordine all’eventuale condotta del terzo, autore della somministrazione del farmaco;
5) sarebbe contraddittorio l’argomentare del rimettente circa l’impossibilità di M. S. di procedere al suicidio assistito, e quindi circa la necessità dell’intervento di un terzo, poiché l’ordinanza riferisce della possibilità dell’assunzione orale del farmaco;
6) l’indisponibilità sul mercato di una strumentazione idonea all’autosomministrazione del farmaco rappresenterebbe un mero fatto, insufficiente a fondare la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma censurata.
Queste tesi non colgono nel segno, e le eccezioni che vi corrispondono si rivelano, quindi, prive di fondamento.
È dovere di questa Corte darne conto, pur in una pronuncia di inammissibilità determinata da altra e differente ragione, in quanto, rispetto a quest’ultima, le eccezioni stesse si presentano come logicamente preliminari.
3.1.– Innanzitutto, per quanto riguarda l’interesse ad agire in accertamento, da tempo la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto non determinante l’attualità della lesione del diritto, essendo sufficiente uno stato di incertezza che sia rimovibile soltanto con l’intervento del giudice (ex multis, Corte di cassazione, prima sezione civile, ordinanza 30 gennaio 2023, n. 2765; sezione lavoro, sentenza 31 luglio 2015, n. 16262; seconda sezione civile, sentenza 26 luglio 2006, n. 17026).
Nel caso di specie, la ricorrente agisce per rimuovere un reale stato di incertezza sul fatto che il suo diritto di accedere alla procedura di suicidio assistito (già riconosciutole dall’Azienda sanitaria territorialmente competente) possa legittimare la somministrazione del farmaco letale da parte di personale sanitario, essendo ella impossibilitata a provvedervi da sola.
La configurabilità di questa specifica declinazione del diritto della paziente ad autodeterminarsi (ovvero, la sua effettiva riconducibilità a quanto statuito dalla sentenza n. 242 del 2019) è controversa e la ricorrente ha un evidente interesse a sapere se possa o meno chiedere a un terzo di aiutarla, senza esporlo con ciò stesso a responsabilità penale.
Il Tribunale di Firenze ha specificamente motivato sul punto: «la necessità di esperire un’azione di accertamento nel giudizio principale si fonda sulla necessità per la ricorrente di conoscere la effettiva possibilità di ottenere lecitamente la somministrazione eteronoma del farmaco per via endovenosa, circostanza rilevante al fine di potersi orientare e compiere consapevolmente le proprie scelte in materia di fine-vita».
Trattasi di una motivazione plausibile, in grado di superare il vaglio di questa Corte in punto di rilevanza, interesse ad agire e ricorrere, vaglio che – per costante giurisprudenza costituzionale – è limitato a un controllo esterno di non implausibilità (tra molte, sentenze n. 62 del 2025, n. 75 e n. 4 del 2024, n. 193 del 2022).
D’altronde, a partire dalle sentenze n. 1 del 2014 e n. 35 del 2017, questa Corte ha avuto modo di affermare, riguardo a questioni incidentali sollevate nei giudizi di accertamento sul diritto di voto per le elezioni politiche, che, se l’ordinanza di rimessione contiene una motivazione non implausibile circa la sussistenza dell’interesse ad agire nel giudizio principale e se questo verte su un diritto fondamentale, la rilevanza della questione è assicurata, purché giudizio principale e giudizio incidentale non abbiano oggetto coincidente e occorra evitare la creazione di una zona franca nel sistema di giustizia costituzionale.
Della non implausibilità della motivazione espressa dal Tribunale di Firenze in ordine all’interesse ad agire si è appena detto, né può dubitarsi del carattere fondamentale delle scelte che concernono la propria esistenza e la propria morte, implicate nell’autodeterminazione, quale situazione soggettiva tutelata, pur suscettibile di necessario bilanciamento col diritto al bene della vita, tale essendo il nucleo della giurisprudenza di questa Corte in tema di fine vita.
Quanto all’azione cautelare esperita da M. S., quest’ultima ha fatto valere la sua istanza di accertamento in via d’urgenza. D’altra parte, un controllo che intervenisse solo ex post, nel giudizio penale avente ad oggetto l’imputazione ex art. 579 cod. pen. nei confronti del terzo, riguarderebbe l’esistenza di una causa di non punibilità relativa al medesimo e non anche l’accertamento del diritto ad autodeterminarsi della persona già ammessa alla procedura di suicidio medicalmente assistito, situazione soggettiva rispetto alla quale si creerebbe, appunto, una zona franca dal sindacato costituzionale.
Sull’ultimo requisito indicato dalla giurisprudenza di questa Corte poc’anzi richiamata, ovvero che l’oggetto del giudizio principale non si esaurisca in quello del giudizio incidentale, vale anche quanto di seguito si osserva sull’eccezione di fictio litis.
3.2.– L’accertamento chiesto da M. S. al Tribunale di Firenze ha ad oggetto il ruolo causale del terzo, ricondotto alla previsione dell’art. 579 cod. pen., ovvero alla norma censurata nell’incidente di costituzionalità, ma non si limita ad esso, estendendosi invece a tutti gli altri requisiti di esercizio del diritto ad autodeterminarsi, sicché va esclusa la coincidenza dei petita, e potendosi altresì escludere che quella intrapresa dalla ricorrente sia una ficta lis.
La ricorrente, infatti, non agisce per ottenere la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma, ma per l’accertamento del diritto di autodeterminarsi anche al fine dell’esecuzione dell’eventuale proposito di congedarsi dalla vita. Sicché spetta al giudice a quo valutare se tale interesse possa essere tutelato già sulla base della normativa vigente, ovvero – in caso negativo – se sussistano i presupposti per una questione di legittimità costituzionale relativa alla disposizione che impedisce il soddisfacimento di quell’interesse. Il petitum prospettato dalla ricorrente nel giudizio principale e la questione sollevata nel giudizio incidentale hanno dunque oggetto ed estensione diversi.
La riprova si trae dalla persistenza di un margine di autonomia decisoria del giudice a quo pur dopo l’eventuale sentenza di accoglimento di questa Corte; infatti, anche ove fosse introdotta per additiva la scriminante oggetto dell’incidente di costituzionalità, quindi ammesso l’intervento attivo del terzo, potrebbe ancora quel giudice ritenere insussistenti gli altri requisiti di esercizio del diritto all’autodeterminazione, e quindi respingere la domanda di accertamento. Invero, allo stato della procedura, è intervenuto soltanto, e unicamente in sede amministrativa, l’accertamento della sussistenza dei requisiti, già definiti da questa Corte, per l’accesso al suicidio medicalmente assistito, sicché sussiste l’interesse a ottenere l’intervento del giudice al fine dell’accertamento del diritto della ricorrente ad autodeterminarsi nel senso da lei indicato. Questo profilo appare evidente riguardo alla decisione libera e consapevole, richiesta dalla sentenza n. 242 del 2019, la cui sussistenza deve essere verificata dal giudice in termini di attualità.
Non persuade l’argomento speso dall’Avvocatura dello Stato nella discussione in udienza, secondo il quale la natura fittizia dell’azione cautelare esercitata da M. S. dovrebbe evincersi dalla circostanza che ella, nel ricorso ex art. 700 cod. proc. civ., non avrebbe formulato domande specifiche nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro della salute, che pure ha chiamato a contraddire.
In realtà, nei confronti di queste amministrazioni una domanda è stata spiegata, seppur non di condanna, ma, appunto, di accertamento e tale domanda non poteva che indirizzarsi verso i soggetti potenzialmente coinvolti dalla successiva attuazione del diritto da accertare, mentre rientra nel potere del giudice a quo estendere il contraddittorio, come qui è avvenuto nei confronti dell’Azienda Usl Toscana Nord Ovest.
3.3.– Non è meritevole di accoglimento neppure l’argomento per cui l’art. 579 cod. pen. sarebbe estraneo alla fattispecie oggetto del giudizio principale, poiché esso sembra enfatizzare un aspetto – quello della natura penale della norma rispetto alla natura civile del giudizio – che non è, invece, dirimente, considerato il principio di unità dell’ordinamento giuridico.
In forza di tale principio, il giudice civile non potrebbe esprimere l’accertamento positivo richiestogli da M. S. senza avere verificato l’insussistenza di norme imperative, anche penali, contrarie al diritto che ne costituisce l’oggetto.
Per giurisprudenza costante di questa Corte, il requisito dell’incidentalità è integrato ove la questione investa una norma che il rimettente deve applicare come «passaggio obbligato» per risolvere la controversia oggetto del giudizio principale (ex multis, sentenze n. 169 del 2022, n. 46 del 2021 e n. 224 del 2020).
Nel caso di specie, l’art. 579 cod. pen. segna un passaggio obbligato sulla strada dell’accertamento chiesto al rimettente, in quanto la norma penale, vietando proprio la condotta integrativa del diritto reclamato da M. S., si pone come vero e proprio ostacolo giuridico alla sua affermazione.
3.4.– Inconsistente si rivela altresì, e per analoghi motivi, l’obiezione secondo la quale un provvedimento d’urgenza eventualmente favorevole a M. S., che ne accertasse il diritto ad autodeterminarsi nell’attuazione dell’eventuale proposito suicidario tramite intervento di un terzo, sarebbe inidoneo a vincolare l’autorità giudiziaria penale quanto alla condotta del terzo medesimo.
Anche questo argomento sconta la non condivisibile tendenza a compartimentare l’ordinamento per settori.
In realtà, ove questa Corte, entrando nel merito delle questioni, e accogliendole, riconoscesse la necessità costituzionale di un’area di non punibilità per una determinata fattispecie, la scriminante varrebbe anche in sede penale, ove pure il giudizio a quo sia stato di natura civile. Infatti, se la domanda oggetto del giudizio principale fosse accolta, in un eventuale futuro processo penale a carico dell’autore della somministrazione, quest’ultimo potrebbe certamente invocare una causa di non punibilità riferita al provvedimento di un giudice.
3.5.– Quanto all’ulteriore profilo di inammissibilità per contraddittorietà, è vero che il Tribunale di Firenze riferisce dell’astratta possibilità di M. S. di procedere al suicidio assistito senza l’intervento di un terzo, o almeno senza l’intervento di questi con una somministrazione endovenosa, ma ciò non inficia l’ordinanza di rimessione quando postula come inevitabile tale intervento per corrispondere alla volontà della paziente, una volta manifestata.
Nell’ordinanza medesima è infatti spiegato come, ad avviso del giudice a quo, «non pare che possa sindacarsi la scelta manifestata dalla paziente, non espressione di una mera preferenza immotivata, ma una scelta concordata con il medico di fiducia, sulla base delle possibili complicazioni della somministrazione orale, valutate anche le condizioni fisiche del malato».
Nella prospettiva del rimettente, pur entrambe teoricamente possibili, le due modalità di somministrazione attuative della volontà suicidaria – per vena o per bocca – non sono equivalenti rispetto all’esistenza dei rischi di complicanze, e allo stesso comprensibile desiderio della paziente di non avventurarsi in una procedura, quella di ingestione, resa incerta dalla disfagia per solidi e liquidi, dalla quale ella è parimenti affetta.
3.6.– La natura fattuale della ritenuta indisponibilità di una strumentazione idonea all’autosomministrazione del farmaco nel caso in esame, o in casi analoghi, non è di per sé ostativa all’accesso al merito delle questioni, poiché il fatto che paralizza l’esercizio di un diritto esibisce un’innegabile giuridicità, divenendo parte costitutiva di una fattispecie giuridica.
In altri termini, proprio per la stretta inerenza alla possibilità di esercizio del diritto all’autodeterminazione, la circostanza della quale trattasi non rappresenta un mero inconveniente di fatto, del quale– in base alla giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 35 del 2017 e n. 219 del 2016; ordinanze n. 66 del 2014 e n. 112 del 2013) – possa predicarsi l’irrilevanza ai fini del giudizio di legittimità costituzionale.
4.– Tuttavia, il giudice a quo non ha motivato in maniera né adeguata, né conclusiva, in merito alla reperibilità di un dispositivo di autosomministrazione farmacologica azionabile dal paziente che abbia perso l’uso degli arti e per tale ragione le questioni sono inammissibili.
4.1.– L’ordinanza di rimessione si esprime sul punto con esclusivo richiamo all’interlocuzione intercorsa con l’Azienda Usl Toscana Nord Ovest, la quale, tramite l’ente regionale di supporto tecnico-amministrativo, avrebbe constatato che «tali dispositivi non sono presenti sul mercato», riferendo che, di conseguenza, si è «pubblicato un avviso di consultazione di mercato, finalizzata a individuare potenziali fornitori, in modo da poter individuare un percorso di acquisto il più possibile confacente alle necessità espresse».
Tale esposizione appare carente e inadeguata, proprio su un aspetto che lo stesso rimettente presenta come essenziale alla definizione della fattispecie, ovvero – così nella formulazione del petitum – «l’assenza di strumentazione idonea».
In particolare, per quanto riferisce nell’ordinanza di rimessione, il Tribunale di Firenze sembra essersi arrestato al piano dell’azione di un ente locale di committenza, non andando oltre la presa d’atto delle semplici ricerche di mercato di una struttura operativa del Servizio sanitario regionale.
Le verifiche concernenti l’esistenza della strumentazione idonea e, in caso affermativo, la concreta disponibilità della stessa avrebbero richiesto il coinvolgimento di organismi specializzati operanti, col necessario grado di autorevolezza, a livello centrale, come, quanto meno, l’Istituto superiore di sanità, organo tecnico-scientifico del Servizio sanitario nazionale, al quale sono assegnate specifiche funzioni istituzionali di natura consultiva, anche per le aziende sanitarie locali (art. 9 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, recante «Istituzione del servizio sanitario nazionale»).
In proposito, non può non ricordarsi che, nell’ordinanza con la quale la Corte di assise di Milano ha rimesso a questa Corte la questione poi decisa con la sentenza n. 242 del 2019, si dava atto che il suicidio, agevolato in quella occasione, era avvenuto, in Svizzera, da parte di persona affetta da tetraplegia, mediante attivazione con la bocca di uno stantuffo, che aveva consentito l’infusione nelle sue vene del farmaco letale.
L’incompletezza dei riferimenti circa l’esistenza di idonei dispositivi di autosomministrazione, per di più nel sostanziale difetto di un’attività istruttoria amministrativa o giudiziale, rende perplessa la descrizione della fattispecie, il che ridonda in un difetto di motivazione sulla rilevanza della questione (ex multis, sentenze n. 187 del 2024, n. 198 del 2023 e n. 249 del 2022).
4.2.– Il mancato approfondimento, per quanto risulta dall’ordinanza di rimessione, in ordine alla reperibilità di strumenti di autosomministrazione per persone con tetraparesi, oltre a rendere inammissibili le questioni in scrutinio, rischia altresì di ledere l’autodeterminazione di M. S., la quale, ove tali dispositivi esistessero, e potessero essere reperiti in tempi ragionevolmente correlati al suo stato di sofferenza, avrebbe diritto ad avvalersene.
Deve infatti affermarsi che la persona rispetto alla quale sia stata positivamente verificata, nelle dovute forme procedurali, la sussistenza di tutte le condizioni da questa Corte indicate nella sentenza n. 242 del 2019 e precisate nella sentenza n. 135 del 2024 – ovvero, l’esistenza di una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, avvertite come assolutamente intollerabili da una persona tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, o per la quale simili trattamenti sono stati comunque indicati, anche se rifiutati, e tuttavia capace di prendere decisioni libere e consapevoli – ha una situazione soggettiva tutelata, quale consequenziale proiezione della sua libertà di autodeterminazione, e segnatamente ha diritto di essere accompagnata dal Servizio sanitario nazionale nella procedura di suicidio medicalmente assistito, diritto che, secondo i principi che regolano il servizio, include il reperimento dei dispositivi idonei, laddove esistenti, e l’ausilio nel relativo impiego.
Alla luce delle menzionate sentenze, è infatti la struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, affiancata dal comitato etico territorialmente competente, a verificare, insieme alle condizioni legittimanti, anche le modalità di esecuzione del suicidio medicalmente assistito, nell’esplicazione di un doveroso ruolo di garanzia che è, innanzitutto, presidio delle persone più fragili.
Giova in proposito ricordare che, nella citata sentenza n. 242 del 2019 (Considerato in diritto, punto 5), questa Corte ha già avuto modo di affermare che alle strutture pubbliche del Servizio sanitario nazionale «spetterà altresì verificare le relative modalità di esecuzione, le quali dovranno essere evidentemente tali da evitare abusi in danno di persone vulnerabili, da garantire la dignità del paziente e da evitare al medesimo sofferenze».
5.– Per tutto quanto esposto, le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Firenze devono essere dichiarate inammissibili.
Qualora da rinnovata e più estesa istruttoria emergesse la reperibilità, nei tempi ragionevoli sopra indicati, di strumenti di autosomministrazione della sostanza capace di porre fine alla vita attivabili da persone nello stato clinico di M. S., e qualora essi risultassero utilizzabili, nelle condizioni date, il Servizio sanitario nazionale dovrà prontamente acquisirli e metterli a disposizione del paziente che sia stato ammesso alla procedura di suicidio medicalmente assistito.
Corte Cost., sent., 25.07.2025, n. 132